Corriere della sera 8 luglio 2001
TRA I RAGAZZI

«La nostra vita? Vestiamo al mercato, in vacanza aiutiamo gli altri»

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
GENOVA - Oltre Palazzo Ducale e la piazza addobbata per il G8, i vicoli d’angiporto della città vecchia si mostrano come quelli cantati da De Andrè, solo che invece della prostituta di via del Campo, «gli occhi grandi, color di foglia», ci sono le ragazze africane o slave sedute sulla soglia in attesa dei clienti e i ragazzi diretti ai dibattiti nelle chiese del centro le considerano un po’ stupiti, «talvolta si parla dei guasti della globalizzazione senza pensare che la miseria l’abbiamo dietro casa». Nella Basilica delle Vigne, di là dai vicoli, Elisa Baccarini porta ancora la maglietta delle Giornate mondiali della gioventù: «Io c’ero, quella sera, quando il Papa ci ha parlato. Un discorso forte, risentirlo oggi mi ha fatto pensare. Perché se vuoi essere una sentinella del mattino, come ci ha chiesto lui, non basta godersi la festa dei due milioni: devi saper essere un cristiano tutti i giorni, anche fra chi non crede, capire il mondo e compiere il mandato che il Papa ci ha dato. Io oggi sono qui per questo».
Lo aveva detto, la mattina, il cardinale Tettamanzi: «C’è un filo rosso che collega Tor Vergata a oggi». Ed è un filo che si dipana nel racconto di questa ragazza di Forlì che ha 19 anni, studia psicologia alla Cattolica di Milano e ieri ha rivisto sul maxischermo l’immagine di Wojtyla: «Difenderete la pace, pagando anche di persona se necessario. Voi non vi rassegnerete a un mondo in cui gli altri esseri umani muoiono di fame». Come si fa, un anno dopo? Elisa s’attorciglia una ciocca, timida: «Con l’esempio, credo. Mica mi presento come una sentinella! Quando ti parlano dei Paesi poveri, a volte ti senti impotente. Ma l’essenziale è non essere indifferenti e cercare di essere concreti: uno stile di vita il più sobrio possibile, ad esempio. Che so, prendere una maglietta al mercato, i prodotti del commercio equo e solidale, o evitare le multinazionali che sfruttano il lavoro del terzo Mondo». La mamma è casalinga, il papà insegna religione, ma non vuol dire: «La famiglia è importante ma quando cresci le scelte la fai tu». Elisa racconta le sue con pudore: «Sì, ho fatto qualche campo estivo con i bimbi handicappati, ma sono loro che hanno dato a me: hanno una capacità di amarti che gli altri non possiedono». Ora andrà in montagna con i bambini dell’Azione cattolica: «Beh, faccio l’educatrice, li porto in vacanza».
C’è chi tornerà, invece. Davide Arrighi, 30 anni, laurea in Teologia, insegna religione a Casalmaggiore: «Certo che verrò il 20, ci è stata affidata una missione: Tor Vergata ha significato un’assunzione di responsabilità, altro che papa boys. E poi la gente ha una visione distorta di Seattle, quasi fossero tutti anarchici». Papà operaio, mamma impegnata nel volontariato, Davide non sfonderà la zona rossa: «Ma va’, il G8 non va demonizzato: piuttosto bisogna dialogare e mettere i "grandi" di fronte alle loro responsabilità, che sono gravi. Fare a botte con la polizia è più facile. Ma ho i miei dubbi che serva». Daniela, 17 anni, studia al classico, ha l’occhio fino («Guarda! Il giornale del non profit che hanno distribuito è sponsorizzato da Nike e Coca Cola! Ma si può?») e se è per questo ha dubbi pure sulla fede, «non so bene come sono messa». Però, dice, «quando sento delle donne afgane che non possono manco sorridere o dei bimbi denutriti mi sento una merda. Mi viene da piangere, sul serio. E mi chiedo: me lo merito, è giusto?». Così è venuta a Genova e ci tornerà, «anche se si dovrebbe arrivare motivati, per capire: ho passato una notte a discutere con ragazzi che sarebbero venuti così, solo per menare le mani». Il pericolo, comunque, è un altro: «Ormai andare al G8 è diventata una figata, molto di tendenza. Ma allora è meglio il mercatino dell’usato di Bologna...».
Gian Guido Vecchi