Da "Umanità Nova" n.21 del 10 giugno 2001 Gli anarchici contro il G8I tentativi di contrapporre a questa globalizzazione capitalistica e neoliberista un "altro mondo possibile" (lo slogan invero non originale del Forum sociale di Porto Alegre dello scorso gennaio) non risalgono certamente a Seattle (novembre 1999), ma sono stati messi in campo, con tenacia e passione ai limiti del sacrificio, da innumerevoli schiere di uomini e di donne in ogni angolo del pianeta, sin dai suoi esordi. Indubbiamente, però, l'esito mediatico di quanto è successo a Seattle e, sia pure in modo ogni volta diverso, si è poi ripetuto in ogni occasione successiva (Davos febbraio 2000, Washington aprile 2000, Bangkok giugno 2000, Melbourne luglio 2000, Praga settembre 2000, Nizza dicembre 2000, Palermo dicembre 2000, Davos febbraio 2001, Trieste marzo 2001, Napoli marzo 2001, e qualche altra tappa sfuggita alla memoria) ha scolpito ormai dappertutto un fatto inedito: i padroni del pianeta non sono più invisibili, i loro vertici non saranno più noiosi e indisturbati, coloro che subiscono gli effetti delle loro decisioni intendono farsi sentire, al limite impedendo fisicamente a quei signori di riunirsi senza una buone dose di fatica e di timore.
Le proteste di massa hanno il compito di far sentire il fiato dei popoli sul collo di questa élite ultraminoritaria che si crede onnipotente solo perché ha soldi, armamenti letali, mezzi informativi e potere politico per dettare gli indirizzi di sviluppo all'intero pianeta, strafregandosene delle popolazioni che quel pianeta lo vivono quotidianamente subendone gli squilibri ambientali, le ingiustizie sociali, le disuguaglianze politiche, gli scarti di ricchezza, l'omogeneizzazione violenta delle culture, l'accesso negato all'istruzione pubblica, alla salute collettiva, insomma ad un benessere frutto del lavoro, delle intelligenze, delle scoperte scientifiche, dei progressi tecnici che servono a tutti quanti e non solo a una infima minoranza di privilegiati ricchi-e-potenti.
Queste ragioni motivano le proteste di massa contro il capitale globale, contro il potere politico dei G8, contro il dominio statuale che ancora oggi incombe violentemente sulla pelle dei popoli. Il prezzo di questa violenza viene pagato anonimamente e senza clamori mediatici: ma ogni ferita al cuore di un essere umano è una ferita a ciascuno di noi. Ecco perché scendere in piazza contro i padroni del pianeta è giusto e legittimo, senza cedere al ricatto moralistico di ritenere che il dissenso democratico sia l'unica arma sufficiente a esprimere la propria opposizione, poiché la delega ai partiti di opposizione ai governi non rende adeguatamente conto delle complicità interne alle élite che dominano il mondo, opposizioni di sua maestà incluse.
Solo una presenza massiccia di corpi e cervelli umani, uomini e donne, sottrae legittimità simbolica ai padroni della terra, denudandoli per ciò che sono: una cricca al potere che non esita a usare quotidianamente violenza impunita in ogni luogo del pianeta, con strumenti sofisticati, con mezzi economici, con omicidi veri e propri, con la miseria, lo sfruttamento bestiale, la schiavitù, il ricatto del lavoro nero, l'affamamento, la rapina dei beni di sopravvivenza (la privatizzazione dell'acqua, ad esempio).
La presenza degli anarchici nel movimento contro la globalizzazione è significativa per diversi aspetti, non solo e non tanto legati alla quantità di gruppi, collettivi, uomini e donne che attivamente si impegnano a contrastare una deriva impazzita ed anche, e soprattutto, a praticare nei limiti del possibile uno stile di vita, una affermazione di valori, una rete di comportamenti pubblici diversi, alternativi, che proiettano una immagine di mondo fondato su un tessuto di relazioni libere, orizzontali, senza gerarchie, senza padroni. Gli anarchici non hanno mai adottato una politica incoerente di lingua biforcuta, ossia una pratica per il tempo presente ed una pratica per l'indomani rivoluzionato. Lo stile degli anarchici e delle anarchiche è sempre quello di coniugare contemporaneamente gli obiettivi ultimi di una idea di società libertaria, con una pratica di politica libertaria insieme ad altre formazioni. In tal senso la presenza anarchica nei movimenti antiglobali, diffusa sui territori, si pone come segno visibile di una progettualità pratica sin da ora, nei limiti del possibile ovviamente, ma protesa a far vedere subito quali sono i principi, i valori, le pratiche di organizzazione che l'anarchismo individua per prefigurare una società diversa, libera ed eguale pur mantenendo le differenze che contraddistinguono ciascun essere umano, ma senza che queste differenze si distribuiscano e si ordinino secondo una graduatoria di gerarchie.
All'interno dei movimenti antiglobali, gli anarchici e le anarchiche si pongono con l'intento costruttivo di allargare gli spazi di libertà e di eguaglianza nella solidarietà tra popolazioni diverse, tra individui diversi, propugnando una politica orizzontale che sappia fare a meno della mediazione istituzionale con partiti di regime, sia al governo che all'opposizione, che appartengono o aspirano a fare parte di quella élite criminale che insanguina il mondo ma che ha grande potere di influenza, sino a farsi imitare anche da parte di coloro che sembrano irriducibili nel contrastarla, mentre in realtà ne studiano ogni minimo atto per copiarla e arrivare a sostituirla al suo posto. I movimenti anarchici, sia pure nelle loro diversità e sensibilità interne, non mimano l'autorità diffusa, la rigidità gerarchica, la verticalità nella presa delle decisioni collettive. Essi agiscono alla luce del sole, con procedure trasparenti e orizzontali, in maniera che tutto sia comprensibile e chiunque possa aggregarsi e partecipare con pari dignità e con sensibilità genuinamente libertaria.
All'interno dei movimenti antiglobali, gli anarchici e le anarchiche si battono per affermare un mondo diverso privo sia della forza inquietante del capitale globale che ha l'arroganza di pensare di poter acquistare ogni cosa, dignità delle persone inclusa; e privo altresì della potenza statuale che non si contrappone alla cosiddette regole di mercato, ma anzi le favorisce e le rende possibili. Stato e mercato sono due volti distinti e congiunti di un unico dominio: quello dell'uomo sull'uomo (e sulla donna, sull'infanzia abbandonata e venduta, sui vecchi considerati vuoti a perdere e non risorsa di memoria dell'umanità, su interi popoli relegati in condizioni di esclusione totale da ogni beneficio conquistato dall'umanità al prezzo di tante sofferenze e tante lotte sociali).
All'interno dei movimenti antiglobali, gli anarchici e le anarchiche non rappresentano una fazione politica insieme alle tante altre, ma si espongono in prima persona affinché il radicamento sociale della battaglia contro questa globalizzazione si diffonda per tutti gli strati della popolazione, poiché le politiche del G8 e degli altri organismi del dominio globale hanno per oggetto le condizioni di vita delle maggioranze dei popoli, in buona parte anche di quelle residenti nel nord affluente del pianeta sempre più strette in un angolo dalle ingiustizie, dalle disuguaglianze, dagli squilibri. Solo un movimento diffuso e allargato, che non venga costretto ad una immagine mediatica e interessata di settore "giovanilistico" e "violento", quando vediamo giorno dopo giorno dove sta la vera violenza, quando subiamo giorno dopo giorno gli effetti nefasti della globalizzazione, un reale movimento sociale, fatto di giovani e meno giovani, uomini e donne, potrà portare dentro di sé quei valori e quelle esperienze di memoria e di solidarietà capaci di far invertire la rotta ad una società massificata e anomica al tempo stesso, omogenea e apparentemente individualista in maniera forzatamente egoistica, a tal punto da essere immemore della propria storia di paese di emigranti, proprio oggi che l'emigrazione sud-nord ricomincia a far capolino sulla nostra penisola, mentre già da alcuni anni siamo terra poco ospitale verso altri migranti di pelle un po' più scura della nostra, almeno se stiamo a guardare le leggi statali e le pratiche poliziesche di repressione.
L'anarchismo non è un ideale di una società disordinata e senza valori, se non altro perché già ci troviamo in una società siffatta, la cui condizione è aggravata dal privilegio del comando dei pochissimi sui molti, anche se la chiamano democrazia (parlamentare rappresentativa, ossia delegata ad una élite e fittizia in quanto non partecipata). La società che portiamo nei nostri cuori, invece, è una società di libertà e di giustizia, di solidarietà e di differenze, di pratiche egualitarie e orizzontali, di processi decisionali trasparenti e partecipati, dove ciascun individuo può ritagliarsi la traiettoria di vita che più gli aggrada nell'arco della propria esistenza, trovando nell'altro accanto a lui la migliore garanzia della propria libera affermazione non invasiva della libertà altrui. In una società libertaria quale la immaginiamo, l'anarchismo è una pratica di vita quotidiana e non una ideologia insieme alle altre, ma un condensato di memoria e di utopia, per non dimenticare ma per non ripetere, per cambiare ma per non copiare, giacché la libertà non vuol dire essere costretti a scegliere tra bianco e nero, ma nel sottrarsi a questa scelta prescritta. Commissione globalaffairs della Federazione Anarchica Italiana |