Manifesto 17 giugno 2001

"Andiamo a Genova"
Stefano Rodotà: occorre sottrarre a "ogni" logica militare le ragioni di un movimento che ha già cambiato l'agenda politica mondiale, con cui le istituzioni devono misurarsi
CARLA CASALINI

Da Gotegorg si infittiscono le voci sulla morte del ragazzo colpito dalla polizia. Ineludibile è partire di qui con Stefano Rodotà, che è appena intervenuto sulle tematiche politiche del "popolo di Seattle" in vista del G8 di Genova (su Repubblica), e sul "diritto costituzionale di manifestare in pubblico".

A Goteborg, al vertice di quell'Unione europea che "deve avvicinarsi sempre più ai suoi cittadini", come insiste Prodi, per onorare il "dialogo sociale" che pretende a proprio fondamento, la prova di dialogo si fa con le armi, la polizia spara sui manifestanti...

Questo è il primo problema: da molto tempo queste occasioni vengono considerate soprattutto come un problema d'ordine pubblico, creando una deformazione in partenza, tanto che la discussione preventiva, la possibilità di assicurare spazi per discussioni, manifestazioni, viene considerata, come dire, più una concessione che il rispetto di un diritto. Naturalmente, tutto ciò non giustifica forme deliberate di violenza, e però, ripeto, qui siamo di fronte a un fenomeno politico, pubblico, rilevante, stabile e bisogna trovare da parte dei responsabili politici, e non da parte della polizia, una maniera adeguata di dialogo.

Dopo Göteborg, i politici italiani non parlano d'altro: la necessità del dialogo con i portavoce del global forum in vista del G8 di Genova. Ma mi pare si oscuri la natura, la legittimità del partner del "dialogo". Chi è il G8, chi l'ha eletto?

E' un problema effettivo, perché in questi anni la fine delle sovranità nazionali, l'internazionalizzazione di mercati e capitali, ha provocato - uso un'espressione molto semplificata - un deficit di governo. Intendo un deficit di governo democratico. E' cresciuto infatti il peso delle sedi informali, ma sostanzialmente e politicamente molto forti, nelle quali si cerca un modo di regolare le grandi partite del mondo. Sedi che non sono democraticamente legittimate, come il Fondo monetario, l'Organizzazione mondiale del commercio, il G7 e poi G8, e perciò si inibisce quell'aspetto che non è rituale ma che è sostanza delle procedure democratiche. Ci sono singoli gruppi, organismi tecnico-burocratici che prendono decisioni per tutto.

Però questi organismi sono legittimati da istituzioni politiche: la stessa Unione europea e i governi nazionali più potenti...

Sono legittimate da istituzioni politiche, gli Stati, talune organizzazioni internazionali, ma non c'è una legittimazione adeguata al ruolo che svolgono. Se il Fondo monetario impone determinate condizioni ad alcuni paesi perché possano avere determinati finanziamenti, beh, qui ci troviamo di fronte a una forma di governo del mondo che non conosce nessuna delle procedure che abbiamo finora ritenuto essere sostanza della democrazia. E il movimento che è nato a Seattle è il risultato di una riflessione collettiva, in qualche momento perfino istintiva, sulla necessità di ricostituire equilibri democratici.

D'accordo, e perciò insisto: non siamo solo di fronte a poteri anonimi. C'è una legittimazione all'arbitrio da parte di istituzioni politiche che partecipano a questa sottrazione democratica, privatizzazione di "oggetti" del discorso pubblico. Chi ne risponde? Quali responsabilità istituzionali, politiche entrano in gioco?

Certo, qui ci sono non solo problemi di dialogo nell'imminenza di eventi come il G8, ma una questione ulteriore, di fondo. Al di là delle singole occasioni, questo movimento, che è molto più maturo e ricco di idee di quanto non appaia, ha messo a punto, e io sostengo che ha già imposto, una nuova agenda politica mondiale. Il punto cruciale è la necessità di fare i conti con questa agenda, anche fuori dalle occasioni delle manifestazioni. C'è bisogno che i governi nazionali, le organizzazioni regionali - penso all'Unione europea - le istituzioni sovrazionali si convincano che c'è questa novità.

La presa dell'evento Seattle, la sua potenza simbolica è stata proprio lo squarcio aperto su questo nuovo secolo, le grandi tematiche ineludibili...Ma 'ineludibili' per quale politica?

Io dico: sono assolutamente ineludibili. Le valutazioni e i giudizi possono essere diversi ma l'agenda politica è quella, non è solo quella evidentemente, ma è quella. Penso che se non si acquisisce questa nuova consapevolezza politica, se non si cominciano a dare risposte istituzionali... Io credo che risposte istituzionali siano necessarie su terreni che sono non solo quelli abituali, ma sono per esempio il terreno della proprietà.

La messa in questione della proprietà accomuna chi non accetta l'indecenza capitalistica di questa 'globalizzazione'. Seattle ha riproposto lo statuto pubblico dei beni comuni, l'acqua... e si deve contendere fin l'inviolabilità del vivente. Eppure c'è ancora chi dice "la proprietà è superata"

In gioco oggi ci sono effettivamente i grandi beni comuni, le informazioni personali, la salute... C'è chi dice che la proprietà è superata, che l'"accesso" ha cancellato la proprietà, come Rifkin nel suo libro, pieno per altro di cose intelligenti e importanti, ebbene noi lo vediamo ogni giorno come non sia vero. Secondo me una delle smentite più istruttive è la vicenda della ragazza siciliana che rischiava di morire perché avendo una malattia, "orfana", rara, il farmaco per salvarla era uscito di produzione. Qui il diritto alla salute fa i conti con il diritto alla proprietà. E alla faccia di quelli che parlano tutti i giorni di diritto alla vita, questa ragazza sarebbe morta se non fosse intervenuto qualcosa a rompere la logica della proprietà privata. Insisto, perché mi sembra importante. Oggi pare che il Ministero della sanità italiano abbia trattato con questa società americana i diritti di brevetto, e quindi si potrà produrre il farmaco per far sopravvivere la ragazza. Non ho paura della brutalità in questo caso: la pura logica proprietaria avrebbe fatto morire questa ragazza. L'intervento pubblico - perché di questo si tratta - ha rotto la logica proprietaria. Ritenere che tutto sia privatizzabile, tutto possa essere affidato al mercato è smentito da questa apparentemente piccola vicenda che abbiamo davanti agli occhi. Io ripeto sempre che negli stessi anni in cui usciva Il manifesto dei comunisti di Marx e Engels, nei suoi ricordi Tocqueville scriveva: il grande campo di battaglia sarà la proprietà. Questa è una cosa ancora vera, più di un secolo dopo.

Quindi non solo "furori" ideologici?

Temi come questo non sono certo soltanto, come si dice, frutto di una ubriacatura ideologica: hanno radici profonde che ancora non sono state tagliate.

Un'ultima domanda contingente su Genova. C'è chi comincia ad avere paura, ma se si rinuncia ad andare in tanti non si consegnano forse le pubbliche piazze al dominio militare: poliziotti e 'uomini del movimento' nel povero monotono gioco della guerra?

Io credo che l'appuntamento di Genova debba essere mantenuto. Insisto che è un'occasione per dare ancora una volta visibilità a idee e proposte. E non mi stanco di dire che introdurre in tutto questo elementi di violenza da ogni parte è un tradimento di una realtà ineludibile.