La Repubblica 10 luglio 2001

Kant, Thoreau, Morel
gli "antenati" del movimento

Due secoli di teoria dietro le proteste di oggi. Parla il politologo Mario Pianta

FRANCESCO MALGAROLI


roma - Cosmopolita, sostenitore del principio di uguale dignità di tutti gli uomini, pacifista. E' il biglietto da visita di chi si riconosce nelle organizzazioni che attaccano la globalizzazione condotta da organismi come Fondo monetario internazionale, o Banca mondiale, o Wto. Ma è anche il ritratto, o almeno un pezzetto, del filosofo Immanuel Kant. Il suo nome sta a buon diritto tra quelli dei più lontani ispiratori del movimento che chiede una «globalizzazione dal basso», formula che è anche il titolo del libro più recente, pubblicato da Manifestolibri, di Mario Pianta, professore di politica economica a Urbino.
Il movimento pacifista nasce lontano. Da dove possiamo partire?
«Possiamo anche partire da Kant. Le pagine di "Per la pace perpetua" possono essere prese come base teorica del pacifismo. Possiamo cominciare dal primo antimilitarismo novecentesco e arrivare fino al movimento pacifista come lo abbiamo conosciuto negli anni ‘80, nelle campagne contro i missili, ma che in passato aveva attraversato l'epoca degli armamenti nucleari e della politica della deterrenza»
Come si delinea il pensiero di Kant su dimensione globale?
«E' una dimensione relativa, com'è naturale che sia, determinata all'epoca in cui vive. Ma la forza del suo pensiero sta nel rappresentare i problemi su scala globale. Si pone il problema di quale sia l'ordine di pace al di là degli stati, così come qualche decennio dopo Karl Marx si porrà il problema dell'ordine sociale al di là dello spazio statale dato. Kant parla del ruolo degli eserciti e della necessità di abolirli: "Gli eserciti permanenti devono con il tempo scomparire del tutto" scrive. E siamo nel 1795. Più in generale a lui si può ricondurre il concetto di società civile come espressione autonoma dalle strutture di governo».
Individuato l'ispiratore pacifista, proviamo a fare qualche altro nome, per esempio quello di Henry David Thoreau. Possiamo collocarlo tra i padri del moderno ambientalismo?
«A una condizione: tenerlo fermamente collegato al fronte americano, degli Stati Uniti, del movimento pacifista. Se parliamo delle proteste di Seattle o di Washington, e quindi delle strutture ambientaliste americane, allora va benissimo rifarsi anche a Thoreau, il suo "Walden" entra nel catalogo delle fonti. Ma se usciamo da questo ambito, Thoreau appare più estraneo».
Andiamo avanti. Edmund Dene Morel tra la fine dell'800 e gli inizi del ‘900 ha combattuto quasi da solo - e vinto - contro la feroce occupazione e sfruttamento del Congo da parte di Leopoldo II del Belgio. Anche Morel era un "globalizzatore dal basso"?
«Direi che rientra in un altro filone di società civile che oggi conosciamo come Amnesty International. Prima di Morel c'era la lotta contro lo schiavismo, per esempio in Francia già nel Settecento con il marchese di Condorcet. Morel riuscì a mettere in piedi, partendo dalla raccolta di documentazione e testimonianze dirette, una vera e propria campagna contro Leopoldo. Fondò la Congo Reform Association e alla prima uscita pubblica, a Liverpool, raccolse alcune migliaia di persone».
Stiamo parlando di esempi, molto diversi tra loro, in cui però il fuoco è su una singola questione. E questa è una delle obiezioni che viene fatta anche ai movimenti attuali della società civile. Non c'è una tendenza a muoversi per singoli temi, una incapacità a costruire un disegno più articolato?
«Non è più così. Il mutamento di questi ultimi tempi è che la società civile non agisce più per singoli temi. Da Seattle in poi i singoli temi diventano temi complessivi. C'è una progressiva integrazione tra le diverse componenti. Sindacati e ambientalisti un tempo quasi non si parlavano. Oggi c'è un percorso di avvicinamento. C'è stato un passaggio dall'assemblaggio in modo poco organico di questioni differenti alla difesa di una alternativa di sviluppo. I documenti elaborati sono lì a dimostrarlo. Non si difende più un interesse specifico. E' un po' quanto è accaduto nell'800, quando nel pieno della rivoluzione industriale le prime risposte furono disomogenee, non organizzate, finché poco alla volta quelle risposte seppero trovarsi per dare forma a quello che conosciamo come movimento operaio».