Corriere del Ticino - Ch - 2 luglio 2001

I POPOLI DI SEATTLE - Prima puntata di un viaggio alla scoperta delle
principali anime del cosiddetto «Popolo di Seattle»

Perché tanto astio attorno al G8?

Clima sempre più incandescente in vista del vertice di luglio a Genova



A cura di Osvaldo Migotto e Carlo Silini

Da parecchi giorni ormai i mass media della vicina penisola sembrano aver dimenticato ogni
altro avvenimento (dal nuovo azzurrissimo governo al campionato di calcio archiviato dalle
carnosità della Ferilli) per concentrarsi su quello che si annuncia come l’evento estivo non solo
italiano: il vertice del G8 a Genova. I capi di Stato degli otto Paesi più industrializzati si
incontreranno nel capoluogo ligure dal 20 al 22 luglio. Discuteranno - stando all’agenda - del
modo migliore per ridurre la povertà, di ambiente, di prevenzione dei conflitti, di riciclaggio di
denaro sporco e di crimini tecnologici. Ma i temi trattati, come spesso avviene dalla fine del
‘99 ogniqualvolta i potenti della terra si incontrano, rischieranno di passare in secondo piano
perché l’attenzione dell’opinione pubblica più che sui lavori dentro al G8 è concentrata su ciò
che in quei giorni accadrà fuori, in città. Si prevede infatti che possano essere addirittura 100
mila i contestatori che in occasione del vertice cercheranno di manifestare a Genova la loro
opposizione alle politiche decise dal gruppo degli otto. È il cosiddetto «popolo di Seattle» che
riappare per dire il suo no alla globalizzazione (della quale il G8 è un importante strumento).
Malgrado la maggior parte dei manifestanti professi la non-violenza si temono scontri fisici e
in questi giorni le autorità italiane stanno cercando di mettersi d’accordo con gli
anti-globalizzatori per evitare scontri fisici da una parte e censure dall’altra. Ce la faranno? Si
vedrà. Per ora anche il Corriere del Ticino si prepara all’evento proponendo una serie di
approfondimenti per capire che cosa sta succedendo. In particolare per capire che cos’è e che
cosa vuole in fin dei conti questo «Popolo di Seattle» di cui si parla da più di un anno. Oggi
cominceremo con l’esporre l’ABC della questione: cos’è il G8 e chi lo contesta. Nelle prossime
puntate cercheremo di presentare le principali anime della contestazione. Perché il «Popolo di
Seattle» è molto più composito di quanto si possa credere. Si potrebbe anzi parlare di «Popoli
di Seattle», che è appunto il titolo che abbiamo scelto per queste pagine di approfondimento.





GLI ANTI-G8 - "L'uomo viene prima del capitale". Chi sono e che cosa vogliono i contestatori

Seattle, notte del primo dicembre 1999: l'hotel dove è ospitato il presidente degli Stati Uniti Bill
Clinton in occasione del vertice del WTO viene isolato dalle forze dell'ordine. La polizia cittadina,
1230 agenti, è nervosa. Per la prima volta dagli anni '70 fa ricorso ai lacrimogeni. Certo, deve far
fronte a 30 mila manifestanti, troppi. Un popolo. Anzi, quello che da lì in avanti tutti chiameranno il
"popolo di Seattle".

Da quel giorno "loro" riappaiono puntualmente ogni volta che si riuniscono gli organismi che
esprimono le massime istanze del potere economico e politico mondiale. L'ultima volta è successo al
vertice Ue di Göteborg e da noi tutti ricordano il clamore che ha circondato il forum di Davos.
Prossimo appuntamento è il G8 di Genova.

Il loro obiettivo? Poter dire alto e forte che non condividono le decisioni di questi gruppi di potenti da
cui dipendono i destini del pianeta e di milioni di persone. Semplificando: non condividono la
globalizzazione. O perlomeno non ne condividono le implicazioni sociali e politiche.
Conseguentemente contestano quegli enti e quei governi nei quali si decidono le politiche della
globalizzazione, Stati Uniti in primis. Aborriscono il Fondo monetario internazionale, la Banca
mondiale, l'Organizzazione mondiale del commercio, il G8, il forum di Davos, ma anche la Nato e
certi accordi di libero scambio come il Nafta. Chiedono di non essere esclusi dai meccanismi
decisionali. "Gli organismi sopranazionali - si legge nel sito Internet del Genoa Social Forum, una sigla
che riunisce qualcosa come 750 organizzazioni di varia estrazione - non potranno più decidere senza
tener conto di una popolazione sempre più decisa che chiede processi democratici certi e nuovi
orizzonti di giustizia sociale ed economica".

I temi e gli ideali per cui si battono sono numerosissimi e vanno dal pacifismo alla fine degli embarghi
contro paesi come l'Iraq o Cuba, dalla difesa dell'ambiente (con un grosso capitolo sugli organismi
modificati geneticamente) all'annullamento del debito dei paesi poveri, dalla lotta al razzismo alla
chiusura dei paradisi fiscali, dalla battaglia contro le multinazionali all'introduzione di tasse sulle
transazioni finanziarie. Vogliono un sistema di commercio più equo e il riconoscimento dei diritti dei
sindacati. "Facciamo parte di un movimento che, a partire da Seattle sta crescendo - si legge
nell'Appello di Porto Alegre, una sorta di magna carta degli antiglobalizzatori -.Siamo donne e uomini:
contadine e contadini, lavoratrici e lavoratori, professionisti, studenti, disoccupate e disoccupati,
popoli indigeni e neri, proveniamo dal Sud e dal Nord, siamo impegnati a lottare per i diritti dei
popoli, la libertà, la sicurezza, il lavoro e l'educazione. Siamo contro l'egemonia del capitale, la
distruzione delle nostre culture, il degrado della natura e il deterioramento della qualità della vita da
parte delle imprese transnazionali e delle politiche antidemocratiche. (...) Riaffermiamo la supremazia
dei diritti umani, ambientali e sociali sulle esigenze dei capitali e degli investimenti".

Insomma, rappresentano una critica radicale e non più marginale e minoritaria all'economia di
mercato.

La cosa più difficile quando si parla di loro è rispondere alla domanda: chi sono? (Ammesso che
qualcuno la ponga). Passano semplicemente per "il popolo di Seattle" spesso descritto, a tinte
caricaturali, come un insieme variegato di estremisti di sinistra, ambientalisti scatenati, contestatori
violenti, gruppi piantagrane e in genere nemici dell'ordine costituito. Ma presentarli così sarebbe una
grossolana riduzione ad alcune frange (che, sia chiaro, esistono, ma sono minoritarie). La maggior
parte di queste realtà, per dirne una, professa la non-violenza. Fra le oltre 750 associazioni che
aderiscono al controvertice del Genoa Social Forum assieme ai centri sociali autogestiti, ai collettivi
d'estrazione comunista, a rappresentanze di partiti di sinistra e verdi, figurano anche alcune sezioni
locali della Caritas, gruppi ecumenici, ambientalisti, sindacati e associazioni di volontariato. Perché le
anime di questo "popolo" sono tantissime. Il loro comune denominatore è una visione alternativa del
mondo rispetto a quella dominante. Le risposte, a seconda delle varie componenti, vanno dalla
contestazione non violenta alla disobbedienza civile. Solo alcune frange estreme cercano (e trovano)
lo scontro fisico. Ma sarebbe un errore identificare l'intera rete dei contestatori con queste sue parti
brute, che giustamente preoccupano le autorità e le forze dell'ordine.





Il G8 - Otto potenze che decidono insieme le linee direttrici dello sviluppo mondiale

Per capire come siano nati i summit internazionali come quello previsto a Genova dal 20 al 22 luglio
bisogna fare un salto indietro nel passato fino al 1975. Nel mese di novembre di quell'anno i
rappresentanti di Francia, Gran Bretagna, Germania, Italia, Stati Uniti e Giappone si riunirono per tre
giorni nella località francese di Rambouillet per stabilire una strategia comune di fronte alla crisi
petrolifera scatenatasi a seguito del conflitto arabo-israeliano del 1973. In occasione di tale riunione
viene accolta la proposta di istituire, una volta all'anno, un incontro tra i rappresentanti delle principali
potenze industriali, onde studiare e valutare le principali questioni politiche ed economiche e il loro
influsso sulla comunità internazionale.

Alle sei potenze riunitesi a Rambouillet si aggiunge poi il Canada nel 1976. Nasce così il G7,
composto dalle 7 principali potenze industriali. La Russia dovrà attendere invece fino al 1998 per
essere ammessa a pieno titolo ai vertici internazionali su questioni politiche ed economiche, denominati ormai, a seguito dell'entrata in campo di Mosca, G8. Col passare degli anni e con l'avvento sempre più marcato della globalizzazione, il gruppo degli otto principali Paesi industrializzati assume sempre più il ruolo di centro decisionale nel quale vengono tracciate le linee direttrici dello sviluppo mondiale.

Con l'aumento del numero di partecipanti a tali summit cresce di pari passo anche il numero di
questioni affrontate. Alle tradizionali analisi sul commercio internazionale vengono ad aggiungersi le
relazioni con i Paesi in via di sviluppo, i problemi occupazionali, la tutela dell'ambiente, la lotta al
crimine organizzato, il terrorismo e altro ancora.

Per studiare a fondo tali problemi vengono istituiti anche degli incontri, a livello ministeriale, nel corso
dei quali sono affrontate emergenze specifiche, quali la sicurezza nucleare e il riciclaggio di denaro
proveniente dal narcotraffico. I Paesi aderenti al G8 si avvalgono inoltre della collaborazione di esperti che vengono convocati appositamente per esprimersi su determinati argomenti. Del resto la stessa preparazione di un vertice G8 comporta tutta una serie di fasi preliminari, caratterizzate da riunioni su questioni specifiche da parte di appositi gruppi di lavoro.

Da qualche anno a questa parte i vertici del G8, così come ogni altro summit a carattere
sovranazionale, devono fare i conti con il cosiddetto "popolo di Seattle"; ossia una variegata alleanza
di gruppi e associazioni provenienti da varie parti del mondo, sempre pronta a scendere in piazza per
denunciare le distorsioni prodotte dalla globalizzazione. Distorsioni la cui esistenza è ormai
riconosciuta anche dai governanti dei Paesi membri del G8. Non è un caso se in uno dei documenti
("Drugs and international crime") stesi in occasione del vertice G8 di Birmingham (15-17 maggio del
1998) si sottolineasse come la globalizzazione sia stata accompagnata da un drammatico aumento del
crimine transnazionale. E non è neppure un caso se nell'elenco dei temi suggeriti dalle autorità italiane
per il vertice G8 di Genova figurano ad esempio l'eliminazione delle barriere commerciali esistenti nei
confronti dei Paesi più poveri, il trasferimento di tecnologie e la promozione di investimenti privati nei
Paesi meno sviluppati, così come l'istituzione di un fondo destinato a finanziare i progetti educativi nei
Paesi più poveri.

Queste ed altre proposte analoghe nascono dalla consapevolezza che la globalizzazione non ha
distribuito i suoi indubbi frutti in modo omogeneo. La spaccatura tra Paesi ricchi e Paesi poveri si è
fatta, nella maggior parte dei casi, più netta. Ma anche all'interno dei cosiddetti Paesi ricchi vi è il
rischio di veder accrescere il fossato tra chi riesce a sfruttare al meglio le opportunità offerte dalla
globalizzazione e chi invece ne sopporta i costi; si pensi ad esempio alle decine di migliaia di
disoccupati prodotti dalle continue fusioni societarie e dal processo di razionalizzazione produttiva che tali fusioni implicano.

Di tali rischi e contraddizioni hanno ormai preso atto numerosi esponenti del mondo politico. Ora, per
voce del ministro degli Esteri italiano Ruggero, anche il G8 si dice pronto a dialogare con il "Popolo di Seattle" sugli aspetti più controversi della globalizzazione. Solo al termine del vertice di Genova sarà possibile capire fino a che punto un dialogo in tal senso sarà possibile e costruttivo.