La Repubblica 21 giugno 2001

Grida, assalti, lacrimogeni al camposcuola antisommossa

Da un mese a Roma si stanno allenando gli uomini della polizia destinati al servizio per il G8

CLAUDIA FUSANI


ROMA - Sirene, spari, grida. Ordini urlati: «Allineati, compatti, a muro, vi ho detto formazione a muuuroooo....caricaaaa». Il nemico è immaginario, a venti metri, lo scatto non è proprio felino. «Riprovare». Contemporaneamente, all'altro lato del piazzale di cemento grande due volte un campo di calcio. Sei squadre, sessanta persone, fanno gli autonomi, si riconoscono perché la prima fila tiene strette tre traversine di legno a cui sono legati quattro enormi camere d'aria, l'arma passiva invenzione del popolo di Seattle. Altre sei squadre fanno i poliziotti in assetto da ordine pubblico. Si fronteggiano, muro contro muro, pochi secondi che sembrano infiniti, poi parte, dal lato ribelli, il lancio d'acqua, di cubetti che saranno di porfido ora solo di legno. Volteggiano i manganelli: «Eh - si minimizza - ma i nostri sfollagente sono vuoti, fanno solo lividi, mica come quelli dei tedeschi o dei francesi che con un colpo dato bene spezzano un braccio». I gruppi in campo fanno a turno, quasi un gioco di ruolo: una volta accerchiano e vincono gli autonomi, la volta dopo i poliziotti.
Ponte Galeria, sede del reparto mobile di Roma, tre del pomeriggio, prove tecniche di antisommossa. Da un mese, in gran segreto, questo posto buttato nel nulla, da un lato la ferrovia, dall'altra sterpaglie, è il camposcuola per le squadre d'intervento di poliziotti che il Viminale invierà a Genova, a proteggere il summit dei grandi, a tenere lontani i 150 mila noglobal. Qui, da un mese, ispettoriistruttori allenano gli uomini agli scontri con piglio decisamente militare. «Simulazioni G8Ponte Galeria» è scritto sulle loro cartelline. Il controspionaggio racconta che anche le Tute bianche si stanno addestrando: in piscina, in palestra. Vero? Falso? Qui è tutto vero, si chiama «riqualificazione professionale».
Cominciamo dalle armi. Ogni squadra, dieci persone, ha un assetto preordinato: guidano due agenti con scudi lunghi, seguono altri due con scudi tondi, uno armato di GL40 per i lacrimogeni con scorta di dieci cartucce, chiudono i generici che, rispetto ai colleghi, hanno solo sfollagente, casco e scudo indistruttibili, tuta antitaglio, calibro 7.65 d'ordinanza. E gli idranti? «Non li possiamo usare, sono anticostituzionali in ordine pubblico. E dire che una volta si usavano quelli che sparavano tinta indelebile, un marchio che anche dopo giorni ti permetteva di identificare i dimostranti».
Non si parla, si urla. Perché tutto, anche i suoni e i rumori devono simulare le giornate di Genova, il caldo, le tute che non fanno traspirare, il caos, lo stress psicologico che non può essere un alibi per perdere la testa e magari tirare fuori la pistola. Come è succeso a Goteborg. Vietato isolarsi dal gruppo: se perdi la tua squadra durante o dopo una carica fai la fine del topo in trappola. «Formazione a scacchiera» urla l'ispettore. Le otto squadre si dispongono in file sfalzate. «Allineati e scudi avanti. Dovete lasciare spazio per vedere se vi lanciano qualcosa». Poi di nuovo a muro, e poi giù a chiocciola, tutti in ginocchio con gli scudi che proteggono davanti e sopra le teste dalla pioggia di cubetti di legno, «caricate». E giù botte. Si torna indietro. Gli agenti in fila si tengono per i cinturoni, quello dietro agganciato a quello davanti. Urla ancora l'ispettore, come quei sergenti dei marines nei film americani: «Strusciate i piedi, sennò come fate a sapere se c'è qualcosa in terra». Si provano gli ostacoli di fuoco, ora pezzi di legno, fra un mese cassonetti o altro, su cui passa sopra l'autoblindo Utc con estintori sotto le ruote. Poi la salita e discesa dai mezzi in corsa. Cariche di alleggerimento e per disperdere. Le formazioni a cuneo e a cordone. Alla fine si levano i caschi, teste spesso rasate, molto sudate: «Genova? Peggio certe domeniche in certi stadi». Ne stanno preparando diecimila così, in tutta Italia.