Vertice,
caccia al colpevole per i ritardi
Genova, ancora da definire
misure di sicurezza e accoglienza. Sindaco e prefetto: da Roma solo caos
- DAL NOSTRO INVIATO
GENOVA - L’unica certezza è il colpevole. Dovesse andar male (disagi e disordini), a
Genova hanno già deciso di chi sarà la responsabilità: del ministro per il G8, Achille
Vinci Giacchi, e della struttura di missione da lui presieduta, incaricata di preparare il
vertice. Il presidente della Regione Liguria, Sandro Biasotti (Fi): «Questa struttura di
missione è l’ultimo debole anello di una catena debolissima che ha prodotto
disorganizzazione e ritardi». Il sindaco di Genova, Giuseppe Pericu (Ds): «Fin qui, la
struttura di missione ha lavorato in modo discontinuo, molto discontinuo».
«RITARDI» - Non c’è mai stata grande intesa, tra le istituzioni locali e i
«romani», come viene chiamata qui la struttura di missione. Incomprensioni, accuse e
silenzi reciproci. La questione dell’accoglienza delle migliaia di persone che
parteciperanno al vertice è ancora aperta. Tra un mese, a Genova arriveranno 1.500
delegati. Verranno sistemati sulle navi da crociera. Come e dove, ancora non si sa. I
6.000 giornalisti in arrivo dovrebbero rimanere a terra, negli alberghi della città.
Piccolo dettaglio: rischiano di non avere un letto. Mauro Bolognesi, presidente dell’Associazione
albergatori genovesi, annuncerà oggi il «liberi tutti»: «Finora avevamo tenuto le
stanze vuote, come richiesto dalla struttura di missione. Ma adesso, ognuno faccia come
vuole. E’ più di un anno che siamo in ballo, e non abbiamo ancora ricevuto nessuna
conferma. Alla luce di questa disorganizzazione, non me la sento di imporre a nessuno di
tenere ancora libere le stanze».
I PERCORSI - Gli altri nodi da sciogliere riguardano i percorsi delle due manifestazioni
in programma durante il vertice. Quello per il corteo dei migranti (19 luglio) era già
stato deciso, poi si è scoperto che «violava» la zona gialla, una delle due fasce di
città off limits , e lambiva addirittura quella rossa, impenetrabile per chiunque
non ci abiti o non si chiami Bush, Berlusconi, Jospin. Tutto ancora da decidere, così
come un dettaglio non da poco: dove sistemare gli attivisti, gli anti G-8 non violenti.
Qualcosa come centomila persone, per le quali dovranno essere allestiti - a questo punto a
tempo di record - letti, servizi sanitari e igienici. Il Comune fa sapere di avere un
ventaglio di soluzioni, ma che la decisione spetta ad altri. Le aree «candidate» sono l’ex
ospedale psichiatrico di Quarto (a levante della città) oppure l’area industriale
della ex Sanac a Bolzaneto (a ponente), vicina ad un casello dell’autostrada A7.
LA LETTERA - A conferma del clima non proprio armonioso nel quale lavorano gli
organizzatori del vertice c’è anche un documento. Una lettera datata 23 maggio,
protocollo 4959, indirizzata al segretario generale della Farnesina, l’ambasciatore
Umberto Vattani. A scrivere è il prefetto di Genova, Antonio Di Giovine. Che, in modo
garbato, si lamenta: «Sono convinto che una migliore comunicazione e un efficace
coordinamento tra i due soggetti, prefetto e struttura di missione, deputati all’organizzazione
del summit, avrebbero senz’altro contribuito ad evitare molte delle situazioni che ci
hanno preoccupato». Di Giovine ripercorre quelli che definisce «i momenti più delicati
vissuti in questi mesi»: «Ebbene, nel confermarle la mia incondizionata collaborazione -
scrive - mi sento di farle presente come gli accennati problemi, alcuni dei quali, inutile
nasconderlo, hanno provocato nervosismo e incomprensioni, avrebbero potuto essere evitati
se quel coordinamento da sempre auspicato si fosse potuto in concreto realizzare». Di
Giovine conclude: «C’è non tanto l’opportunità, quanto piuttosto la
necessità, di momenti di incontro ravvicinati nel tempo, indispensabili per fare in modo
che scelte e decisioni siano immediatamente e reciprocamente conosciute, quindi
condivise». Solo così, afferma, «si eviteranno situazioni di imbarazzo e nervosismo,
certo non utili a nessuno e tanto meno al risultato».
LA REPLICA - Il ministro per il G8, Achille Vinci Giacchi, ammette qualche difficoltà nei
rapporti con la città: «A Genova si lamentano spesso, e senza molta ragione, e c’è
chi non perde occasione per sottolineare i momenti di divergenza». Nega di essere in
ritardo sulla tabella di marcia: «Ci sono molte cose da fare, è vero. Però manca più
di un mese al vertice e l’urgenza sempre più pressante della questione sicurezza ha
cambiato molte carte in tavola». E’ un uomo calmo e cortese. Usa parole pacate per
rispondere a chi lo critica: «Per il vertice sarà tutto a posto. A chi mi considera un
gentiluomo rimbecillito rispondo dando appuntamento a Genova per il 20 luglio. E se
qualcosa andrà male, sarò io il primo a risponderne».
IL SINDACO - «Vuole fare una scommessa? Il G8 resta dov’è, non si cambia». Ma
anche se dovesse arrivare il trasloco, Giuseppe Pericu giura che non perderà il sorriso.
«I miei cittadini ne sarebbero felici, e qualunque cosa succederà, non si sentirebbero
umiliati». C’è solo un’eventualità che potrebbe smuovere l’ aplomb dei
genovesi: «Il trasferimento del vertice in un’altra città, equivalente a questa per
prestigio e grandezza. Quello sì sarebbe il vero sgarbo». Perché vorrebbe dire che è
proprio Genova il problema. Ma un anno di preparazione al vertice ha dato certezze. Dice
il sindaco: «Dal punto di vista della sicurezza, questa città è uguale a tutte le
altre, e chi la critica commette un errore». L’eventuale spostamento del summit in
luoghi «riparati», zone di confine o «villaggi turistici» lo lascia indifferente:
«Non avrei nulla da obiettare. E’ evidente che Genova non avrebbe a che fare con
questa decisione. Sarebbe piuttosto una resa: questi vertici non si possono più fare
nelle grandi città. Sarebbe l’ammissione di una sconfitta che riguarda il sistema
G8, non Genova».
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Marco
Imarisio |
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