Manifesto 30 giugno 2001 L'ecologia
dello sviluppo
"Lettera aperta agli economisti", a
cura di Carla Ravaioli
ANTONIO SCIOTTO
Un appello agli economisti: non guardate solo al Pil, al Dow Jones e al
Nasdaq. La terra, le risorse idriche, l'aria che respiriamo, non possono essere trascurate
perché l'ambiente, proprio a causa della crescita economica forsennata, va verso il
collasso. E se qualcuno, tra gli intellettuali, si deve porre seriamente il problema,
questo deve essere proprio l'economista. Al G8 di Genova di cosa si parlerà, se non
soprattutto della globalizzazione dell'economia? E il popolo di Seattle cosa contesterà,
se non proprio il poco rispetto che il capitale sempre più senza barriere ormai dimostra
verso il lavoro, l'ambiente, i cittadini-consumatori? L'appello è venuto da una lettera
pubblicata nel giugno dello scorso anno sulle pagine economiche del manifesto,
firmata da Carla Ravaioli, dall'Associazione per il rinnovamento della sinistra e da altri
intellettuali attenti alle problematiche ambientali. Si è sviluppato un dibattito nelle
stesse pagine che è durato per parecchi mesi, e oggi quel dibattito è diventato un
libro: Lettera aperta agli economisti (manifestolibri, pp. 159, L. . 18.000), a
cura di Carla Ravaioli.
E' possibile conciliare i modi dell'attuale crescita economica con il rispetto
dell'ambiente? Secondo gli autori dell'appello, no. Sarebbe anzi proprio la massa
crescente della produzione e dei consumi a causare problemi "microecologici" -
fiumi e laghi inquinati, lo smog nelle città, l'avvelenamento dei cibi, risolvibili tutti
localmente - e i più preoccupanti e devastanti problemi "macroecologici" -
l'effetto serra, la desertificazione, il buco dell'ozono, le frequenti alluvioni,
risolvibili soltanto con soluzioni "planetarie". Bisogna allora porsi un freno,
e ipotizzare anche "un arresto o un forte contenimento della crescita", almeno a
livello continentale, perché per un solo paese sarebbe pura follia. Creare insomma un
nuovo sistema della produzione e dei consumi, che sia maggiormente rispettoso dei ritmi e
delle risorse disponibili in natura, facendo espandere, per compensare le conseguenti
perdite, la produzione dei cosiddetti "beni sociali". Che potrebbero essere, per
dirla con l'economista Giorgio Lunghini - che non firma l'appello, pur ponendosi
interrogativi consonanti con esso - cure alla persona o all'ambiente, non prodotti dal
sistema capitalistico perché ritenuti beni di poca profittabilità, ma che nondimeno
rappresentano bisogni non secondari di tutte le collettività. E la produzione dovrebbe
provenire dal pubblico, dal politico, chiamato a colmare le lacune dell'economico, del
privato.
Posizioni, soprattutto quelle che ipotizzano un rallentamento della crescita, fortemente
avversate da altri studiosi. A titolo di esempio si può portare quella dell'economista
Augusto Graziani che vede in queste proposte "un inconfondibile sapore di destra
conservatrice; il blocco della produzione materiale si tradurrebbe in un aumento della
povertà diffusa, con la salvaguardia di limitate isole di privilegio". Molti dei
critici, comunque, non hanno potuto esimersi dal riconoscere che l'attuale situazione
ambientale è davvero grave e che la soluzione va trovata nel conciliare gli attuali
livelli di produzione con un maggiore controllo della politica sull'economia, convertendo
qualitativamente le produzioni, tassando i prodotti inquinanti, inserendo all'interno
della pura contabilità economica il nuovo concetto di "contabilità
ambientale", che tenga conto cioè anche dei costi e dei guadagni che un determinato
tipo di produzione arreca all'equilibrio del territorio.
La politica, si è detto. Perché il libro ci suggerisce che, se è vero che gli
economisti contano sempre di più nel mondo di oggi, è anche vero che tanti spazi,
tradizionalmente della politica, non possono essere delegati agli economisti stessi. Bush
rigetta il protocollo di Kyoto sulla riduzione dei gas serra, proprio perché non vuole
intaccare di un punto la produttività degli Usa. In Italia, chiunque abbia posizioni di
attenzione verso l'ambiente che vadano anche poco al di là di quelle dei responsabili
dell'immagine dei grossi gruppi industriali, viene subito bollato, da parte dei
politici-imprenditori oggi al governo, come conservatore, nemico dello sviluppo e del
lavoro. E intanto, in nome dello sviluppo, l'alta velocità ferroviaria ha devastato il
Mugello, mentre a Taranto, Genova, Marghera, Brindisi, decine di cittadini e operai sono
morti in questi anni a causa di una crescita decisamente poco "sostenibile". La Lettera
agli economisti fa riflettere gli economisti e non solo: la politica deve riprendersi
i suoi spazi, e l'economia, già dal prossimo G8, deve farsi un po' più politica.
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