La Repubblica 17 giugno 2001
Il summit chiude in tragedia
un manifestante in fin di vita
Goteborg, accuse alla polizia.Troika per l'emergenza
MARCO MAROZZI
GOTEBORG - Voci fino a notte che il manifestante ferito era morto. «No, è molto grave. -
ripetevano quasi ogni ora all'ospedale Sahlgrenska - E in pericolo, rischia la vita, ma ci
sono ancora speranze. I prossimi due giorni saranno decisivi». Migliaia e migliaia di
ragazzi intanto sfilavano per le strade con il loro no al vertice europeo, a un mondo che
non vogliono: marciavano sotto la pioggia, cercando allegria e difficili solidarietà in
un immenso corteo pacifico. Nello stesso momento, barricati alla fiera, i Grandi d'Europa
finivano il loro summit. Goran Persson, il padrone di casa, tirava amarissime
considerazioni, mentre Tony Blair dichiarava guerra al «circo viaggiante dell'anarchia».
Ai guerriglieri dell'antiglobalizzazione che ancora ieri sera scorrazzavano per le vie di
Goteborg.
Sotto un cielo cupo, è scivolato ancora per le vie, le piazze un incubo. Il vertice si è
chiuso, le angosce per la città sul fiordo, la Svezia, la stessa Europa restano. C'è la
sorte del ferito appesa a un filo. C'è la rabbia dei suoi compagni che cova come una
bomba e può esplodere in molti paesi. Ci sono ripensamenti dolorosi. «E' stato
terribile, una cosa mai vista in Svezia» ha mormorato davanti ai microfoni un Persson che
sperava in ben altro dai sei mesi di presidenza dell'Unione». Evocava i giorni di
violenza. «Hanno agito frange ben organizzate. - diceva - Vanno contrastate in modo più
efficace». Blair chiamava a una vera e propria mobilitazione dei governi, delle polizie.
«Non dobbiamo concedere un'unghia a questa gente. Dobbiamo combattere gli anarchici con
tutti i mezzi a disposizione. Non possiamo permettere che cerchino di distruggere il
vertice dei G8 a Genova come hanno promesso».
Intanto in un letto di ospedale un ragazzo di 20 anni lottava fra la vita e la morte. E'
svedese, è stato colpito al fegato e al rene, è nel reparto di terapia intensiva dopo
una lunga operazione. Aveva tirato un pietrone contro la polizia, si è voltato
sorridendo. Così è stato colpito da due proiettili da 9 mm, così è caduto, ripreso
dalla tv. L'agente ha sparato con la pistola ad altezza d'uomo in uno scontro con i
manifestanti che coprivano di sassi la polizia. Un ragazzo tedesco è stato preso ad una
gamba, un altro svedese di striscio: loro non sono gravi. Ieri sera gruppetti di loro
compagni giravano per Goteborg giurando di vendicarli.
E' in questo clima che il vertice lascia Goteborg. Seicento fermati, 96 rimasti in galera,
otto processati nei prossimi giorni rischiano fino a quattro anni, in 61 sono stati
espulsi, cinque sono italiani bloccati nel ginnasio che era il quartier generale degli
antiglobalizzatori. Irruzione fatta da una polizia malaccorta di fronte ad eventi mai
visti, retata che - cacciando nel mazzo tutti insieme duri e pacifici - è stata presa
come scusa per la discesa violenta in piazza. I poliziotti feriti sono 56. Sui danni si
sparano cifre senza controllo: molti miliardi comunque. I Grandi se ne vanno con nuove
paure. «Gli scontri di piazza rischiano di oscurare i risultati del vertice» masticava
amaro Gerhard Schroeder. E Chirac a Persson ha sussurrato: «Grave l'uso delle armi,
qualcuno poteva essere ucciso».
Il premier svedese e il suo ministro Tomas Bodstroem hanno dovuto spiegare che in Svezia
non si usano alle manifestazioni idranti e lacrimogeni. Bon ton da democrazia evoluta
diventata impreparata. «Abbiamo autorizzato l'uso di armi tradizionali» ha confessato
Bodstroem. «Ci sono disposizioni da ripensare» ha tagliato corto Persson. Il premier ha
poi annunciato una task force composta da Francia, Svezia e Belgio (le due ultime
presidenze Ue e la prossima) per stendere un piano antiincidenti futuri. Una strategia fra
ministri degli esteri, degli interni, le polizie. Altro compito per un'Europa amara, dove
Persson a chi gli chiede se gli svedesi adesso sentiranno crescere la loro diffidenza
sull'Unione, risponde: «Spero non vadano dalla parte sbagliata, ma purtroppo non ne sono
sicuro».
Molti modi per dire addio a Goteborg. Il popolo di Seattle, quello vero, senza pietre, lo
ha fatto con un corteo di 15 mila persone, dall'università a un parco, dall'altra parte
della città rispetto al vertice di un'Europa contestata in tutte le sue forme. C'erano
sindacalisti rivoluzionari e marxistileninisti danesi, femministe che ballavano e bande
con l'Internazionale, tute bianche e duri in nero, i turchi di Ocalan e quelli di
"boicotta la Nestlé", i fan del Chiapas e i postini rivoluzionari. Bandiere
rosse, verdi, stendardi, musiche: dice Uve Aronetzer, leader del movimento
antiglobalizzazione pacifico Attac Svezia: «E' la festa che avremmo voluto fare e la
polizia ha tramutato in tragedia».
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