Corriere della sera 15 giugno 2001
La polizia frusta il «popolo di Göteborg»

Novemila manifestanti sotto i 25 anni hanno sfidato l’America e l’Europa al vertice

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
GÖTEBORG - Chi ha visto «Il mestiere delle armi» provi a immaginare alcuni fotogrammi di quel film rielaborati in versione post-moderna. Chi non l’ha visto, immagini una collinetta coperta di prato verde sovrastata da uno schieramento di cavalli montati da uomini e donne vestiti di scuro, tutti coperti da caschi da moto e giubbotti antiproiettile dai quali sporgono radio ricetrasmittenti con il filo per l’auricolare. Al posto delle spade, cavalieri e cavallerizze impugnano fruste. A un certo punto, il capo della schiera alza una mano rivestita da un guanto nero. La folla di ragazzi che si trova in basso indietreggia. Poi avanza. I cavalli, con il muso protetto da una visiera di plexiglass, si dirigono giù. Dai ragazzi partono due bottiglie, due sampietrini e un pezzo di legno. Contatto tra la folla e la schiera. I cavalieri rispondono con qualche frustata.
Parco della chiesa protestante Vasa di Göteborg, pomeriggio di ieri. E’ davvero strana la mescolanza di passato e presente che può esserci in una protesta antiamericana e antieuropeista nella Svezia del 2001. Gli studenti che non volevano l’imperatore straniero nella propria contrada, incarnato ai loro occhi da George W. Bush, erano giovani tra i 16 e i 25 anni. Facce di figli del welfare scandinavo che non hanno mai conosciuto le rudezze di certe periferie urbane dell’Europa meridionale. Quelli di loro che avevano il viso coperto, assomigliavano più a comparse di Cinecittà che a energumeni veri. I poliziotti e le poliziotte, dipendenti statali in una società nella quale è radicato il concetto di responsabilità personale, portavano sui caschi numeri in codice per poter essere identificati in caso avessero ecceduto nel loro lavoro: 02192, 02188, 02182... Tra gli studenti, bandiere rosse e bandiere rosse e nere. Perché rosse e nere? «Sono anarco-sindacalisti», spiegava un giovane punk con il giubbotto di cuoio borchiato. Anarco-sindacalisti. Una specie dimenticata perfino nelle librerie alternative.
Su circa novemila manifestanti, non mancavano certo alcuni più duri. Ieri mattina, a Hvitfeldtsk, la polizia ha circondato una delle scuole assegnate per dormire ai contestatori arrivati da fuori. A quanto pare, navigando tra i siti Internet di alcuni degli 80 gruppi antiglobalizzazione mobilitati, la sicurezza ha ritenuto di doverli bloccare. La scuola è stata sottoposta a un assedio. Pare ci fossero armi improprie. I ragazzi, via telefonino, hanno denunciato la decisione di circondarli per non farli manifestare. A metà pomeriggio la tensione è sfociata in uno scontro più aspro: lancio di sampietrini più intenso, cani poliziotto in azione, alla fine 243 fermati.
La cosa più stupefacente, nel parco di Vasa, era la rapidità dell’alternarsi tra nervosismo e dialogo. «Ci rifiutiamo di vivere inginocchiati», gridavano i ragazzi verso la collinetta in segno di solidarietà agli assediati. State buoni, rispondeva un ufficiale. Appena terminato lo scambio di poche bottigliate e frustate, tutto è tornato quieto. Fino all’impennata di tensione di una decina di minuti più tardi, seguita da una distensione altrettanto rapida e breve. Evelina, 17 anni, studentessa di Malmo con i capelli biondi tinti di violetto, è rimasta seduta vicino a un albero con un piede gonfio come un pallone, il viso contratto dal dolore. Non finirà come Giovanni dalle Bande Nere nel film di Ermanno Olmi, morto dopo l’amputazione di una gamba. Ma non ricorderà quello di ieri come uno dei suoi giorni migliori. Pestata dallo zoccolo di un cavallo, aveva l’osso del piede simile allo spezzatino. L’ha portata via un’ambulanza giallo technicolor.
«Non voglio la Norvegia nell’Ue», spiegava Nina Haukeland, studentessa di Oslo. «Sono contro la difesa comune europea perché mette in discussione la neutralità svedese», diceva Niklas, giovane marxista-leninista, mentre distribuiva volantini in una strada vicina. «Toxic Texan. Not Wanted», c’era scritto sui cartelli con il ritratto di Bush. Nulla di veramente tragico. Nulla di molto allegro. Negli standard europei.
Maurizio Caprara