Manifesto 10 luglio 2001 Giornalisti
pazzi per gli antiG8
Roma, i media incontrano i "popoli di
Seattle". E si dichiarano dalla loro parte
ANGELO MASTRANDREA - ROMA
Che il "popolo di Seattle" sia un target non necessariamente
da bersagliare, se ne sono accorti per primi alcuni suoi rappresentanti. Per fare un
esempio, il supercorteggiato dai media Luca Casarini, portavoce dei centri sociali del
Nord-est, che nel giorno della presentazione, a Roma, della rivista di geopolitica Limes
(interamente dedicata ai "popoli di Seattle"), dispensa alcune chicche che gli
valgono l'attenzione delle telecamere. Ma lo sa bene anche il direttore del Tg5
Enrico Mentana che, pur affermando che il "popolo di Seattle non finisce in tv solo
perché è telegenico, ma per il radicamento reale", ammette anche che si tratta di
utenti-consumatori; e il direttore di Repubblica Ezio Mauro, che strizza l'occhio
alla parte "buona" del movimento, rifiutando qualsiasi tipo di violenza (nella
quale ricomprende la "disobbedienza civile"), ben sapendo che tra i 100 mila e
passa manifestanti di Genova c'è una buona fetta di quelli che lo stesso Casarini
definisce "figli unici della sinistra".
Fatto sta che gli antiG8 hanno "bucato" il video in maniera così dirompente da
far trovare d'accordo praticamente tutti i partecipanti all'incontro di ieri, da Mauro e
Mentana, appunto, al neodirettore de La 7 Gad Lerner al "nostro"
Valentino Parlato. D'accordo su alcuni punti: c'è una crisi della democrazia e del
contratto sociale così come li abbiamo conosciuti nel secolo scorso, e dunque un problema
di legittimità di istituzioni come il G8; per cui le istanze che porta avanti il
cosiddetto "popolo di Seattle" sono tutt'altro che campate in aria. Un buon
punto di partenza per evitare la criminalizzazione del movimento, e lo spunto per la
battuta conclusiva di Parlato: "Allora ricreiamo la Quinta internazionale!".
In effetti, fa un po' impressione sentire Ezio Mauro parlare di "lotta di
classe" (anche se per dire che non esiste in quanto il movimento è interclassista),
di crisi della "modernità" perché "sono saltate le condizioni che
regolano il rapporto lavoro-capitale". Ma anche Gad Lerner, ex Lotta continua,
sottolineare le affinità tra questo movimento e quello del '68, soprattutto nel fatto che
esso ha una dimensione internazionale. Per cui, altro elemento su cui tutti concordano, si
tratta di "un movimento destinato a durare". E non bastano a fermarlo
"iniziative cosmetiche come quella di invitare i rappresentanti dei paesi deboli
prima del G8". Parlato, invece, si sofferma sulla legittimità inesistente del G8 e
sulla crisi delle Nazioni unite.
Ci sono poi loro, i rappresentanti del Genoa social forum. Fabio Lucchesi, della Rete
di Lilliput, sottolinea come "il popolo di Seattle non è contro la
globalizzazione", ma vuole "costruire una diversa alternativa al G8, che è un
organismo senza legittimità". Mentre Raffaella Bolini dell'Arci,
approfittando della presenza di parte del mondo dell'informazione, si sofferma ancora una
volta sul rapporto tra media e G8: "Mia madre mi ha chiesto se sono una Tuta
bianca... indice che i media puntano solo alla notizia. Noi dell'Arci siamo più di
un milione eppure nessuno parla di noi. I contenuti dei nostri messaggi si stanno comunque
diffondendo: la stampa però deve guardare dov'è il fango della globalizzazione, che non
è nella piazza di Genova, ma nelle bidonvilles africane". Infine Casarini, che
spiega la "guerriglia comunicativa" delle Tute bianche: "E' una strategia
politica, sappiamo quello che vogliono i media, e glielo diamo". Ma, a testimoniare
che le Tute bianche non sono solo un fenomeno mediatico, ci saranno quei "diecimila
che a Genova sfonderanno la zona rossa". Poi l'appello ai giornalisti: "Vi
chiedo di partecipare anche voi alla disobbedienza civile mandando i vostri reporter tra
le forze dell'ordine e non solo tra i manifestanti". Di modo che ci sia qualcuno
riesca a testimoniare eventuali abusi polizieschi, come è accaduto a Göteborg.
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