Corriere della sera 10 luglio 2001
Brian
Halweil, esperto del «World Watch Institute», commenta il rapporto Onu sullo sviluppo
umano che invita a puntare sul transgenico
«Cibi biotech per il
Terzo Mondo? E prematuro, la svolta si avrà col riso doro»
- DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
WASHINGTON - Nel «Rapporto sullo sviluppo umano 2001» che lOnu presenterà a
Città del Messico oggi, lOccidente viene accusato di avere ostacolato il decollo
del Terzo mondo negandogli le nuove tecnologie, e in particolare di non averne alleviato
il problema della fame con i cibi transgenici. «Invece di adattare lambiente alle
sementi - ha scritto lautrice del rapporto Kate Raworth -, dovremmo cercare di
adattare le sementi allambiente, per esempio renderle resistenti alla siccità». Il
Corriere ha intervistato il consulente del Congresso sulle biotecnologie, Brian
Halweil, lo specialista del «World Watch Institute».
La tesi del rapporto è fondata?
«È prematura. A mio parere le accuse da rivolgere allOccidente sono altre, di non
avere combattuto a sufficienza la povertà e le ingiustizie sociali del Terzo mondo. Sono
esse che causano la fame in primo luogo: il premio Nobel Amartya Sen ha sottolineato che,
negli Anni Novanta, l80 per cento dei bambini denutriti viveva in Paesi dove la
produzione agricola era sovrabbondante. I cibi transgenici avranno un ruolo nella lotta
contro la fame, ma non tutti e non subito».
Perché? In America la vostra produzione di semi di soia non è transgenica quasi al 70
per cento?
«Lo è, ma costituisce uneccezione. LOnu sembra ignorare che attualmente lindustria
biotecnologica investe in una gamma molto limitata di prodotti agricoli che hanno scarsa
rilevanza per il Terzo mondo. Investe cioè soprattutto per gli americani e i canadesi,
abituati a culture intensive e con unalimentazione ricca. A medio termine sarà
diverso: si sta sperimentando il cosiddetto riso doro, arricchito della vitamina A,
particolarmente efficace contro la denutrizione, ma ci vorranno anni prima che venga
prodotto e consumato su larga scala».
In Europa cè molta resistenza ai cibi transgenici. Lei cosa ne pensa?
«Prima di diffondersi, i cibi transgenici devono ricevere un attestato di sicurezza dalle
autorità. E infatti la scorsa settimana lOrganizzazione mondiale della Sanità ha
annunciato che pubblicherà delle direttive in merito entro il 2003. Ma lutilità
della ricerca biotecnologica è enorme perché ci consente di scoprire i meccanismi della
crescita dei prodotti e di proteggerli. Questo aiuterà il Terzo mondo a coltivarli anche
in condizioni avverse senza doverli alterare geneticamente».
Che cosa può fare lOccidente a breve scadenza per diminuire la piaga della fame?
«Innanzitutto, affrontare il problema della povertà. Poi prendere i provvedimenti a
portata di mano: la forestazione, lirrigazione, la protezione del suolo, che se
viene coperto perde meno acqua, e così via. Infine, accrescere lassistenza
alimentare e distribuirla meglio, e rendere i prezzi dei medicinali più accessibili. Non
vincerà la guerra, ma darà tempo alla biotecnologia di svilupparsi in maniera sicura».
In pratica, lei ritiene che coltivare oggi prodotti geneticamente alterati nel Terzo
mondo sarebbe pericoloso.
«Ci sono due motivi. Uno è che la nostra esperienza di prodotti trasgenici è
modesta, si limita ai semi di soia, al mais e al cotone. Laltro è che le nazioni
povere sono quelle che possiedono la maggiore biodiversità. Spesso i raccolti crescono
vicino a piante che sono loro imparentate. Non sappiamo quali effetti avrebbe la
trasmigrazione dei geni dagli uni alle altre».
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Ennio
Caretto |
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