Manifesto 3 luglio 2001

Emir Kusturica dà il ritmo a Genova
"E' necessario trovare un nuovo livello di sindacalizzazione globale" dice il regista, che interviene sul G-8

GUIDO FESTINESE - GENOVA

"Buona sera a tutti, signori, il mio nome è Sergio Leone". E giù con un diluvio sudato di punk-folk balcanico a tempi dispari, rischiarato da scenette surreali che avrebbero fatto la gioia di Tognazzi e Totò e Fellini: come far eseguire al proprio violinista un solo con l'archetto in bocca, e chiamare il tutto "stile Lewinsky". Emir Kusturica (proveniente dal festival di Taormina), regista a tempo pieno e rockettaro apocrifo nel tempo libero con la sua No Smoking Band - "non è rock: è unza unza music" - ha travolto come un tornado benigno parecchie migliaia di persone nella sua prima data genovese, al Festival Goa Goa che recupera alla musica le aree intristite dove un tempo pulsava il cuore industriale della città, ora in piena e frettolosa operazione maquillage (ma non nelle periferie) per i potenti del mondo del G-8. Qualche giorno fa c'era stato anche Manu Chao, a Genova, ed allora diventa inevitabile fare il punto della situazione con il regista serbo-bosniaco di Underground, uno che ha occhi e orecchie molto attente alle faccende della globalizzazione, specie dopo che l'arresto di Milosevic (sarebbe stato più onesto giudicarlo in Jugoslavia... la tendenza generale è quella di mettere limiti ai poteri nazionali") ha aperto il portafogli all'Occidente prima prodigo di bombe all'uranio.Cosa pensa delle iniziative antiglobalizzazione ora in corso in tutto il mondo?

Penso che le condizioni per una coscienza antiglobalizzazione esistano, ma non in paesi piccoli come la Serbia, che ha vissuto isolato per decenni. Bulgaria, Armenia, Serbia, Moldavia hanno bisogno di almeno altri dieci anni per capire i temi della globalizzazione, e cioè che ci sono sei miliardi di persone sul pianeta, e otto nazioni che decidono sui loro destini. Con un futuro che è appannaggio delle multinazionali. Quello che ancora non possono capire è che, ad esempio, se alla Volkswagen decidono di licenziare da un giorno all'altro 50 mila persone perché non servono più, queste 50 mila persone non avranno più uno stato a cui rivolgersi come interlocutore. E scatteranno le accuse di terrorismo, di sabotaggio ad ogni atto di rivendicazione. E' un processo inarrestabile e pericoloso, perché la globalizzazione marcia sulle gambe della tecnologia. Nessuna persona ragionevole può essere quindi del tutto contraria alla globalizzazione. Penso che il problema sia trovare un nuovo livello di sindacalizzazione globale, una base di resistenza comune per tutti i lavoratori del mondo

Parteciperebbe alle manifestazioni indette anti G-8?

Con piacere. Ma non sarò qui a Genova. Sul problema della violenza in piazza credo che sia necessario non arrivare ad uno scontro, ma ricordiamoci che è lo stato stesso che prevede una risposta violenta. Anzi, il problema è che guerra e violenza sono ingredienti necessari e costitutivi della civiltà giudaico-cristana, per come s'è sviluppata.

Ha un'e-mail personale, usa Internet?

Io sono a favore del progresso tecnologico. Ma non dimentico mai che la tecnologia nasce da interessi militari strategici. Internet è un oggetto inventato dai militari nella guerra fredda. Molto efficace per tenere controllo la gente, per ricostruirne le mosse.

Appoggia qualche iniziativa di resistenza non violenta?

Lo farò, perché è cruciale comprendere che ogni essere umano non è un'isola, c'è un filo che ci lega uno all'altro, un senso comune, e credo che si capisca meglio se si tengono d'occhio i numeri, le statistiche incredibili ma vere che ci dicono ad esempio che un miliardo e mezzo milioni di persone non hanno accesso all'acqua potabile, che ogni giorno sfugge a ogni controllo e tassa una somma di danaro pari a due trilioni di dollari, che tutti gli investimenti fatti dai paesi del G-8 nei paesi del terzo mondo e dell'Europa dell'Est sono per puro profitto.Hanno creato una Silicon Valley in India, e 40 mila nuovi salariati, senza alcuna ricaduta sullo sviluppo dell'economia indiana.

L'ultima scoperta musicale che l'ha entusiasmata?

Credo che sia ancora da capire la portata della musica degli zingari della Moldavia, Romania, parte della Serbia. E' musica che parla della vita senza mediazioni e finzioni, il contrario di quanto fa tendenza nei Paesi occidentali, costruito per far soldi e basta. I manager sono ancora a caccia di un nuovo Bob Marley, di un rilancio del reggae come fenomeno commerciale da tornare a spremere, ad esempio.

Ha qualche progetto in cantiere?

Un nuovo film che tratterà di una storia d'amore al tempo della guerra di Bosnia. Le riprese inizieranno a gennaio, fra Serbia e Bosnia. I protagonisti saranno divisi da etnia e religione.

C'è qualche regista che la stimola particolarmente, oggi?

Domanda difficile, perché a me interessa tanto un buon film di Bruce Lee che uno di Bergman. I miei non li rivedo mai.

L'hanno definita "Il Fellini dei Balcani"...

Perfetto.

E' vero che lei ha un bel debito con le canzoni degli anni Sessanta italiani?

Verissimo. L'Italia al tempo era sentita come qualcosa di molto vicino, nella mentalità. Tito non amava il rock 'n' roll anglosassone, ma senz'altro amava anche lui Celentano. L'Italia è stato il tramite che ci ha fatto conoscere un sacco di subculture. Arrivavano gli italiani con i blue jeans Super Rifle, mi ricordo bene, e quindi le canzoni.

Lo sa che blue jeans significa blu di Genova?

Davvero?