Manifesto 12 giugno 2001 I
mille nodi di una rete multicolore
MARIO PIANTA
Imovimenti protagonisti dei controvertici hanno messo in discussione gli
attuali processi di globalizzazione e hanno iniziato a sviluppare un proprio progetto
politico. In effetti, diversi progetti possono essere individuati all'interno di
questi movimenti.
I Riformatori. Il primo è un approccio riformatore, che tende ad accettare
il quadro istituzionale esistente e si concentra su cambiamenti nelle procedure e in
politiche specifiche. C'è una parte del mondo delle Ong, soprattutto negli Stati uniti e
nel Nord Europa, e ovunque tra quelle finanziate dai programmi degli stati per la
cooperazione allo sviluppo o l'ambiente, che si muove in questa prospettiva, spesso con
una forte competenza tecnica e capacità di lobby. Questi soggetti hanno
partecipato ai controvertici sottolineando le occasioni di dialogo e di integrazione con
le organizzazioni inter-governative più aperte, e sono quelli scelti come interlocutori
privilegiati dai centri di potere. L'orizzonte in cui quest'approccio si muove con maggior
efficacia è quello della globalizzazione dei diritti e delle responsabilità,
esplorando la possibilità di alleanze con governi e istituzioni "illuminate".
I radicali: Buona parte dei controvertici ha sollevato questioni fondamentali sulla
legittimità della struttura istituzionale attuale, cercando un cambiamento che non è
soltanto un ritorno alle sovranità nazionali. E' questo l'approccio radicale che
mette in discussione i centri di potere esistenti e tenta di sviluppare nuovi modelli di
azione collettiva, nuove strutture democratiche e nuove politiche per affrontare i
problemi globali. Lo scontro fra il progetto di globalizzazione dal basso e quello neoliberista
è chiaramente di natura radicale; ma anche la rivendicazione di diritti e
responsabilità globali può riflettere un approccio radicale.
Gli alternativi. I movimenti alternativi da un lato rifiutano di accettare
le attuali istituzioni e i centri del potere globale, ma dall'altro si concentrano sulla
costruzione di attività e relazioni separate dal sistema ufficiale, praticano insomma la globalizzazione
dal basso convivendo con quella neoliberista. Questa strada è significativa
per i temi legati alle comunità locali e all'ambiente, ma lo è assai meno quando in
gioco vi sono i diritti umani, la pace o l'economia globale.
I reazionari. Non bisogna dimenticare che le risposte alla globalizzazione possono
avere anche un segno reazionario, idealizzando le comunità locali e nazionali,
chiudendole in se stesse, con il ritorno di identità etniche, localistiche, religiose e
fondamentaliste che escludono l'"altro" alla ricerca di un'illusoria omogeneità
sociale e culturale. Il populismo della destra repubblicana negli Stati uniti, il ritorno
di suggestioni fasciste e nazionaliste in Europa, anche nelle pericolose varianti
italiane, mostra il grave potenziale che può avere una risposta reazionaria alla
globalizzazione.
Un diverso punto di vista nell'analisi dei movimenti globali è quello (...) che li
considera come movimenti antisistemici (Arrighi, Hopkins e Wallerstein, 1992; Amin
et al. 1990) in base alle relazioni conflittuali che stabiliscono con gli aspetti chiave,
economici e politici del sistema mondiale. Anche se quest'approccio ha saputo cogliere
importanti aspetti comuni nello sviluppo di lungo periodo in paesi diversi di movimenti
come quello operaio nel Nord del mondo, quelli di liberazione nazionale nel Sud, e i nuovi
movimenti nati dopo il 1968, queste analisi non avevano ancora approfondito l'emergente
natura transnazionale delle iniziative.
Le tipologie dei movimenti sociali impegnati sui temi della globalizzazione sono utili in
prima approssimazione, ma non devono essere interpretate in modo troppo rigido. In realtà
una prospettiva di globalizzazione dal basso richiede una combinazione di capacità
di resistenza, visioni radicali, strumenti di riforma e pratiche alternative. Molti degli
approcci scelti da gruppi particolari riflettono poi le opportunità concrete di cui
dispongono, i contesti nazionali in cui operano, le possibilità offerte di costruire una
risposta politica più avanzata dopo il semplice rifiuto di un'integrazione internazionale
che colpisce modi di vita consolidati.
Per queste ragioni, le forze sociali attive in questi movimenti sono altamente dinamiche e
le posizioni e le strategie possono evolversi rapidamente, in base agli sviluppi interni,
alle condizioni politiche, alle strategie delle controparti. Tuttavia alcune divisioni
già presenti tenderanno a diventare più profonde.
La prima è quella, ovvia, tra organizzazioni impegnate in un approccio riformatore e i
critici radicali. Una strategia possibile delle istituzionali internazionali può essere
il tentativo di integrare le prime in qualche forma di partecipazione subalterna e
consultazione nelle decisioni globali e di marginalizzare i secondi, accomunandoli ai
gruppi che puntano alla semplice resistenza, presentando tutti come pericolosi estremisti
contro cui esercitare la repressione. Il comportamento repressivo delle autorità a
Seattle nel 1999, a Praga nel 2000 e in Italia nel 2001 suggerisce che questa è diventata
la strategia dominante degli stati e dei poteri sovranazionali.
Una seconda divisione tra le organizzazioni, nei movimenti e particolarmente visibile nei
controvertici è quella tra chi tende a concentrarsi su poche questioni specifiche, e chi
tenta di allargare l'agenda. Queste differenze di orientamento sono sempre presenti, ma la
dinamica attuale va chiaramente verso un ampliamento della visione e dell'azione dei
movimenti, con l'effetto di innalzare il profilo politico dei controvertici. Questa
tendenza può allontanare alcune organizzazioni maggiormente interessate all'efficacia
delle loro azioni su questioni specifiche.
Una terza naturale divisione, quella tra movimenti e organizzazioni del Nord e del Sud del
mondo, è già emersa occasionalmente in campagne come quella sul debito estero e in
alcuni controvertici. I vertici ufficiali (e i controvertici) sono in gran parte
concentrati nel Nord, e la società civile di questi paesi dispone di risorse maggiori per
contrastarli, ma l'egemonia di fatto delle Ong del nord in queste iniziative sarà sempre
più messa in discussione dalla crescente attività di organizzazioni del Sud del mondo,
come già emerso nel World Social Forum di Porto Alegre.
Cosa significano queste diverse strategie dei movimenti globali per i rapporti con i
poteri sovranazionali? Un modo interessante per proporre delle risposte è ritornare alla
tipologia di attività realizzate nei vertici e considerare gli esiti possibili in termini
di integrazione, dialogo critico e conflitto con la società civile globale.
Una strategia di integrazione nei centri di potere sovranazionali e nei vertici
ufficiali richiederebbe un accesso molto più esteso per la società civile, con forme di
partecipazione, attività di collegamento, l'accreditamento delle Ong agli incontri
internazionali, l'organizzazione di conferenze per le Ong, e innovazioni più radicali nei
processi di governo globale, assicurando che la società civile globale possa avere
"voce" e "voto" nel processo decisionale globale. Tuttavia, mentre
alcuni stati ed organizzazioni inter-governative possono essere preparati per dare alla
società civile globale una qualche "voce", quasi nessuno è preparato a darle
un diritto di "voto".
I vertici che definiscono i problemi, più di quelli che prendono decisioni, possono
essere più aperti alla voce della società civile globale, come nel caso delle grandi
conferenze tematiche dell'Onu. Ciò può condurre ad una integrazione formale, o al
dialogo critico,ma non si può escludere il conflitto.
E' improbabile che le istituzioni internazionali e i vertici col potere di stabilire le
regole o di definire le direttive per le politiche nazionali vogliono integrare
formalmente la società civile globale in termini di "voce" e, tantomeno, di
"voto"; ne possono risultare sia un dialogo critico che il conflitto, a seconda
dei temi in gioco e del grado di apertura dell'istituzione.
I vertici con poteri di imporre le loro decisioni tendono ad essere chiusi all'influenza
della società civile, escludono l'integrazione e resistono al dialogo critico, lasciando
così il conflitto come il risultato più probabile.
Va sottolineato tuttavia che i centri di potere globale sono in rapida evoluzione, sia
nelle loro strutture formali, sia, ancora più, nelle competenze e nei ruoli che di fatto
vengono loro riconosciuti dagli stati e dai mercati. L'architettura istituzionale del
sistema globale è quindi ridefinita progressivamente, sulla base delle sollecitazioni
esistenti, e tra queste ci sono le pressioni della società civile globale. Gli spazi per
aprire questa architettura alle richieste avanzate dai movimenti globali esiste, e ogni
modifica può aprire nuovi terreni di confronto e conflitto. Se è già in qualche misura
consolidato il dialogo con le istituzioni e i vertici che hanno definito i termini dei
problemi globali, la sfida oggi è aprire alla società civile anche le istituzioni e i
vertici che hanno poteri di definire direttive o decisioni. E' per questo che Fmi, Banca
mondiale e Organizzazione mondiale per il commercio sono ora gli obiettivi principali dei
movimenti globali. In gioco c'è una prova decisiva per le possibilità di democratizzare
il sistema internazionale e di consolidare in istituzioni di tipo nuovo la carica di
cambiamento portata dai movimenti.
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