La Repubblica 23 giugno 2001
Il mondo globale a misura d'uomo LE IDEE
di DIONIGI TETTAMANZI
GLOBALIZZAZIONE è fenomeno tuttora in itinere, visibilmente avviato, ma altrettanto
visibilmente lontano da ogni maturità, in qualche modo "acerbo" quanto un
adolescente e perciò capace di tante asprezze e di altrettante generosità. Un
"segno dei tempi" certamente, quale mi è apparso fin dalle prime riflessioni di
qualche anno fa; forse proprio per questo suo carattere adolescenziale in cui tutto è
già promesso e nulla è ancora realizzato. Anche per questo la Chiesa, maestra in
umanità, chiamata alla profezia e dunque educata a leggere i segni dei tempi, ha titolo
per riflettere sulla globalizzazione e, magari per suggerirne i futuri cammini.
Per addentrarci correttamente nell'analisi del fenomeno della globalizzazione, dobbiamo
dare risposta a un'esigenza pregiudiziale: l'esigenza di una chiarificazione terminologica
e contenutistica. E' un neologismo, una parola che non si conosceva fino ad alcuni anni fa
e che oggi tutti pronunciano perché, prima di essere un principio, è un fatto la
globalizzazione dei mercati, dell'economia e della finanza. Tutti ne parlano, ma con
grande varietà di accenti e di sottese interpretazioni. In tal senso occorre l'umiltà e
la saggezza di partire da una domanda elementare: che cosa è la globalizzazione? Può
essere di una certa utilità la distinzione che alcuni autori hanno avanzato tra
internazionalizzazione, mondializzazione e globalizzazione. Seguendo tale approccio,
internazionalizzazione indicherebbe il carattere dei rapporti economici, politici,
giuridici e culturali che una comunità o uno Stato stabiliscono con altri: mercantile
(scambio di merci), produttiva (investimenti all'estero), finanziaria (movimenti di
capitali), tecnologica (trasferimento di tecnologie), culturale (rapporti culturali),
movimenti di persone (migrazioni). Mondializzazione raccoglierebbe il complesso di
problemi i cui effetti si manifestano a livello mondiale e le cui soluzioni sono possibili
solo a livello mondiale attraverso la creazione di organismi internazionali e la
cooperazione tra Stati nazionali (problemi ambientali, dell'acqua, del clima,
dell'energia, delle migrazioni, delle malattie endemiche ed epidemiche, della pace, degli
armamenti, delle mafie...). Globalizzazione, infine, starebbe ad indicare le nuove forme
assunte nel mondo dal processo di accumulazione di capitale, in particolare in questa fine
secolo dalla triade Usa, Giappone, Unione Europea per controllare mercato e risorse a
disposizione e per ottenere profitti su scala mondiale. In realtà, col passare del tempo,
la globalizzazione si è estesa ed intrecciata con altri fenomeni col risultato di
attenuare, fin quasi a vanificare, la frontiera che pareva separarla dalla
mondializzazione e di condizionare fin quasi a inglobare non pochi né marginali aspetti
della internazionalizzazione. In questo contesto è possibile aggiornare e approfondire
l'analisi della globalizzazione scorrendo la sequenza di alcuni elementi caratteristici
che compongono il fenomeno, secondo il suggerimento di taluni testi che risultano
significativi ai nostri fini. Un primo spunto viene dalla Lettura della globalizzazione
nella prospettiva di un segno dei tempi. A sollecitarci a questo tipo di lettura sono già
i giudizi stessi, così disparati se non contraddittori, che non poche volte vengono dati
della globalizzazione, improntati al più grande ottimismo o imbevuti di fiero pessimismo.
C'è infatti, chi la mitizza e chi la demonizza, chi la vede come fonte di tanti beni e
chi - invece - la pensa causa di tanti mali. La prospettiva dei "segni dei
tempi" ci fa cogliere nella globalizzazione, anzi tutto, un fenomeno di ampie e
profonde proporzioni, caratteristico della storia di questo periodo dell'umanità. Essa è
un dato, dal quale non si può prescindere. E non è neppure un semplice dato esteriore e
marginale all'uomo, dal momento che porta impresso il sigillo dell'uomo. E' invece un dato
umano, in quanto vede implicato l'uomo, sia come destinatario, sia come soggetto attivo, e
dunque l'uomo nella sua libertà, il cui concreto esercizio conduce e al bene e al male.
La globalizzazione si rivela così come un fenomeno ambivalente: segnato da esiti positivi
e da esiti negativi. A titolo d'esempio, ricordiamo il Sinodo delle Americhe - del nord,
del centro e del sud - tenutosi a Roma nel novembre-dicembre 1997, che nella Proposizione
n. 74 così esprime il giudizio dei Vescovi sulla globalizzazione economica: "Benché
sia vero che la crescita della globalizzazione porta con sé delle conseguenze positive
come l'aumento dell'efficienza e l'incremento della produzione, che possono rafforzare il
processo di unità dei popoli e rendere un miglior servizio alla famiglia umana, tuttavia,
essendo retta dalle leggi di mercato applicate secondo i vantaggi dei potenti, ha anche
altre conseguenze estremamente negative: l'attribuzione di valore assoluto all'economia,
la disoccupazione, la diminuzione e il deterioramento di alcuni servizi pubblici, la
distruzione dell'ambiente naturale, la crescita del divario tra ricchi e poveri,
un'ingiusta competizione che colloca le nazioni povere sempre più in basso" . Da
parte sua il Santo Padre, nel Messaggio in occasione della Giornata Mondiale 1998, scrive:
"I vasti mutamenti geo-politici succedutisi dopo il 1989 sono stati accompagnati da
vere rivoluzioni nel campo sociale ed economico. La globalizzazione dell'economia e della
finanza è ormai una realtà e sempre più chiaramente si vanno raccogliendo gli effetti
dei rapidi progressi legati alle tecnologie informatiche. Siamo alle soglie di una nuova
era, che porta con sé grandi speranze e inquietanti interrogativi. Quali saranno le
conseguenze dei cambiamenti in atto? Potranno tutti trarre vantaggio da un mercato
globale? Avranno finalmente tutti la possibilità di godere la pace? Le relazioni tra gli
Stati saranno più eque, oppure le competizioni economiche e le rivalità tra i popoli e
le nazioni condurranno l'umanità verso una situazione di instabilità ancora
maggiore?". Gli interrogativi posti dal Papa ci introducono a un altro aspetto
essenziale e decisivo dei "segni dei tempi": l'aspetto specificamente morale.
Infatti, il dato umano della globalizzazione, proprio perché "umano", si
configura necessariamente anche come un compito affidato all'uomo: l'uomo deve far opera
di discernimento, ossia deve saper leggere in modo critico gli aspetti positivi e quelli
negativi di fatto presenti nel fenomeno globalizzazione. Non si tratta però di una
lettura critica fine a se stessa, perché il discernimento sollecita l'uomo a essere
veramente libero, ossia ad assumere le sue responsabilità per "governare" da
uomo (e quindi per il vero bene dell'uomo stesso) il fenomeno globalizzazione. Emergono
così, immediatamente, due precisi impegni: quello di "conoscere" il fenomeno e
quello di "governarlo". Non è un discorso astratto, ma estremamente concreto:
un discorso anche provocatorio di fronte all'abituale e comune ignoranza di quanto così
pesantemente grava sulla vita delle persone e dei popoli e di fronte a quanti ritengono
che la globalizzazione sia un fenomeno del tutto irreversibile e irresistibile. Peraltro a
contraddire quest'ultima "convinzione" sta il fatto dell'emergere di nuove
regionalizzazioni e di nuovi localismi. Il discernimento dei fenomeni storici, sociali e
culturali va operato con l'intelligenza, con la ragione umana. Si apre qui lo spazio per
lo studio rigorosamente scientifico, come studio del tutto legittimo, anzi necessario. Ma
si apre, al contempo, lo spazio per una riflessione e per una valutazione fatta con la
recta ratio, direbbero i filosofi, anzi con la sapienza, che sola può decifrare i valori
e le esigenze più vere e profonde dell'uomo (cfr. Gaudium et spes, 15). Come cristiani la
lettura critica del fenomeno della globalizzazione è da operarsi con una ragione che
viene illuminata da "una luce nuova", ossia dalla fede: in tal modo si possono
scoprire "le intenzioni di Dio sulla vocazione integrale dell'uomo". Il Concilio
è di una chiarezza singolare: la fede non si contrappone affatto alla ragione umana, ma
la conferma e la potenzia anche sotto il profilo specificamente umano. In tal senso il
Concilio scrive che la fede "guida l'intelligenza verso soluzioni pienamente
umane" . In questo contesto i cristiani, anche nella lettura della globalizzazione,
sono aiutati dal magistero sociale della Chiesa, un magistero - vale la pena di
sottolinearlo - che deve vedere il laicato cristiano, non solo come destinatario o
semplice ascoltatore ed esecutore, ma anche - sia pure a certe condizioni - come
attivamente partecipe, come vero e proprio "protagonista" . La lettura razionale
e di fede del fenomeno globalizzazione ne affronta, in primo luogo, l'aspetto più
evidente, che è quello economico-finanziario. E l'affronta come applicazione specifica
del più generale rapporto tra economia ed etica. Tale rapporto può esprimersi secondo un
linguaggio evangelico in termini generalissimi ma tutt'altro che astratti: non è l'uomo
per l'economia ma è l'economia per l'uomo. E rileviamo immediatamente come questo
"principio" non è affatto scontato, anzi sta in aperto conflitto tanto con il
riduzionismo insito nelle grandi ideologie sociali di ieri quanto con la prepotenza
liberistica di oggi. Il principio indica con estrema chiarezza la relativizzazione
dell'economia all'uomo. Ora il concetto di relativizzazione rimanda a qualcosa che è
insieme valore e limite: l'economia è sì un valore, ma non è il valore unico e sommo
per la vita e per il destino dell'uomo, dell'uomo singolo e dei popoli. E' davvero urgente
interpretare e organizzare l'economia riconoscendone con grande onestà e chiarezza sia il
valore sia i limiti. Nessuno può certo negare che l'economia, proprio in quanto è un
aspetto e una dimensione dell'attività umana, abbia e sia un valore. Ma tutto questo non
può né deve essere assolutizzato, negando i limiti intrinseci dell'attività economica,
come se l'efficienza economica fosse l'unico e fondamentale criterio delle decisioni e
delle scelte. La lettura razionale e di fede del fenomeno della globalizzazione conduce a
rilevare un secondo e fondamentale aspetto: la sua dimensione "politica", a
partire dall'essenziale dimensione sociale dell'uomo stesso. Di qui un'altra esigenza
etica ineludibile: quella propriamente politica. E' un'esigenza oggi particolarmente
acuta, per una serie di motivi, tra i quali emergono, da un lato, le gravi o gravissime
ineguaglianze fra le diverse nazioni, come pure fra le persone e i gruppi all'interno di
ogni paese; e, dall'altro lato, il fatto che si sta creando sempre più uno spazio di
potere economico, soprattutto finanziario, sempre più sganciato dagli Stati, cioè dagli
ordinari soggetti di diritto e di vigilanza; spazio, quindi al di fuori degli ambiti che
sinora erano per definizione preposti al bene comune, alla distribuzione dei pesi e dei
vantaggi. In realtà, al protagonismo economico-finanziario delle grandi imprese presenti
nei mercati e nelle banche continentali e mondiali si affianca una modesta e comunque
insufficiente capacità di controllo e di orientamento da parte dei soggetti politici, che
agiscono ancora secondo prospettive nazionali e in condizioni, spesso, di scarsa
efficacia. Occorre, dunque, un nuovo "spazio" politico in senso proprio, secondo
l'effato "ubi societas, ibi ius". Occorre operare il passaggio dall'economia
alla politica, nella convinzione che nel settore sociale ed economico, sia nazionale che
internazionale, l'ultima decisione spetta al potere politico. Oggi però a una comunità
economica internazionale - e comunque a una "mondializzazione" dell'economia in
seguito e a causa del fenomeno della globalizzazione - deve poter corrispondere una
società civile internazionale, capace di esprimere forme di soggettività sia economica
che politica ispirate a "regole" accettate da tutti ed elaborate
democraticamente, regole che in ultima analisi si riconducono alla ricerca del bene comune
di tutto il globo e alla solidarietà. Le istituzioni non mancano a livello regionale o
nazionale. Penso in particolare all'Organizzazione delle Nazioni Unite e alle sue diverse
agenzie con vocazione sociale. Penso anche al ruolo che svolgono entità quali il Fondo
Monetario Internazionale e l'Organizzazione Mondiale del Commercio. urgente che, nel
terreno della libertà, si consolidi una cultura delle "regole" che non si
limiti alla promozione del semplice funzionamento commerciale, ma che si occupi, grazie a
strumenti giuridici sicuri, della tutela dei diritti umani in ogni parte del mondo"
(n.6). E come già per l'economia, anche per la politica chiamata a "regolarla"
il principio fondamentale può nuovamente formularsi secondo il linguaggio evangelico: non
è l'uomo per la politica, ma è la politica per l'uomo. Più precisamente, l'uomo inteso
come il soggetto, il fondamento e il fine. |