G8, no ai diktat dei
dimostranti
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Summit
decisivo Sergio Romano
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Nel
prossimo luglio si terrà a Genova la riunione dei paesi aderenti al G8. Mi domando se
questi incontri periodici siano opportunità per discutere e cercare di risolvere i
problemi all'ordine del giorno od occasioni per creare sfide che vengono sempre più
violentemente raccolte dalla contestazione... Sembra che ci sia materia sufficiente per
temere la forte mobilitazione di piazza e piani delle forze dell'ordine e dei servizi
segreti per reprimerla. Andremo così incontro a scontri, danni, paralisi della comunità
ospitante. Non sarebbe meglio organizzare queste riunioni in località più remote, più
complicate da raggiungere e quindi più difendibili? Oppure tenere nascosti sino
all'ultimo luogo e data di convocazione?
Luigi Maria Biondi, Montecastrilli (Tr)
Il primo di questi vertici risale al 1975 e si tenne a Rambouillet, nei pressi di Parigi,
per iniziativa del presidente francese, Valéry Giscard d'Estaing, a cui parve opportuno
che i leader delle maggiori democrazie industriali concordassero una strategia comune dopo
due gravi crisi economiche: lo shock petrolifero del 1973 e le svalutazioni del dollaro.
L'Italia fu ammessa con qualche reticenza ed esclusa dalle riunioni finanziarie sino a
quando Bettino Craxi puntò i piedi e ottenne che non restasse mai fuori dalla porta. Da
allora il G7 (divenuto G8 con la partecipazione della Russia dopo il crollo dell'Unione
Sovietica) è il maggiore club internazionale. Permette ai partecipanti di conoscere
meglio le loro rispettive posizioni e di concordare, nel migliore dei casi, una politica
comune.
Quello di Genova è più importante di quanto lei non creda. In primo luogo sarà una
sorta di battesimo internazionale per tre nuovi leader: Silvio Berlusconi, George Bush e
il primo ministro giapponese, Junichiro Koizumi. In secondo luogo avrà all'ordine del
giorno alcune delle questioni che hanno incrinato negli ultimi mesi i rapporti fra gli
Stati Uniti e una parte della comunità internazionale, dal rifiuto americano di
rispettare i protocolli di Kyoto sull'emissione di gas nocivi al progetto della nuova
amministrazione per la costruzione di uno scudo antimissilistico. Nelle riunioni plenarie
e negli incontri bilaterali gli Otto parleranno di euro, Cecenia, Macedonia, Kosovo, Medio
Oriente, crisi energetica e prezzo del petrolio. Il comunicato finale sarà lungo e poco
comprensibile, ma ogni leader porterà con sé, tornando a casa, un quadro più completo e
realistico delle condizioni del mondo.
Dovremmo forse, per evitare complicazioni, tenere queste riunioni, come lei propone, «in
località più remote» o tenere nascosti sino all'ultimo luogo e data di convocazione?
Rovescio la domanda: è giusto che i maggiori paesi democratici del mondo rinuncino a
riunirsi pubblicamente in una grande città europea? È giusto che una piccola minoranza
di dimostranti violenti detti legge ai governi contro la volontà della maggioranza? E
infine, che cosa penserebbe lei se un presidente del Consiglio, per sfuggire alle
manifestazioni ostili di una piccola frazione della pubblica opinione, tenesse riunioni,
anziché a Palazzo Chigi, in una segreta villa di campagna?
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