MILANO - Il battesimo fu a Seattle, con l'assedio del Wto e le scene
di guerriglia urbana che fecero il giro del mondo. Ma la protesta contro la
globalizzazione non nacque dal nulla in quelle giornate del novembre 1999. Da anni
migliaia di collettivi e associazioni che lavorano su temi specifici, dall'ecologismo
ai diritti umani, si stavano scontrando con ostacoli sovranazionali: da qui la spinta
a uscire dai confini statali, come già facevano i loro nemici giurati, le
multinazionali. A farli incontrare è stato Internet, con un network di piazze virtuali
dove chiunque poteva confrontarsi sui temi della contestazione. E quando venne il momento
di chiamare tutti a raccolta, il Web si rivelò in grado di raggiungere realtà sparse in
ogni angolo del mondo: all'appuntamento si presentarono, a sorpresa, quasi centomila
manifestanti, il vertice dell'Organizzazione Mondiale del Commercio fallì e
l'impatto mediatico fu enorme. Da allora, non c'è stato summit internazionale
che non abbia dovuto confrontarsi con loro, i contestatori di piazza, pronti a spostarsi
da un continente all'altro. A Washington
come a Napoli, a Davos
come a Nizza, a Sidney
come a Seul. A tenere assieme soggetti così diversi, come i volontari cattolici e gli
ecoterroristi, sono soprattutto bersagli comuni: la legge del profitto e il
neocolonialismo, la distruzione dell'ambiente e il debito del Terzo Mondo, il cibo
transgenico e le guerre. In sintesi, tutto quello che i manifestanti ritengono il prodotto
della famigerata "globalizzazione neoliberale" che, spiegano con dati alla mano,
sta rendendo "sempre più ricchi i ricchi e sempre più poveri i poveri".
Simboli di tutto ciò sono le multinazionali, come la Nestlé e la Coca-Cola, ma anche gli
organismi internazionali, come il Wto e l'Fmi. I punti di riferimento vanno da Ralph
Nader, padre dell'agguerrita associazione di consumatori Public Citizen, a José Bovè,
l'agricoltore francese che ha dichiarato guerra a McDonald's. Movimento spontaneo dal
basso, comunque, non ha ancora leader ufficiali.
Nel gennaio 2001, oltre a scendere in strada per bloccare i lavori
di un vertice istituzionale, il popolo di Seattle si diede appuntamento al World Social
Forum di Porto Alegre, in Brasile, per mettere nero su bianco un
manifesto per un "mondo migliore". La multiforme galassia del
no global superava così la fase del "movimento contro" per diventare
propositivo, aggregando non solo su valori, come la solidarietà e l'antirazzismo, ma
anche su interessi concreti, come la salute e le condizioni di lavoro. Perché se nel Sud
del mondo la gente è sottopagata, anche gli stipendi operai del Nord ne risentono. E se i
Paesi industrializzati producono gas serra, anche quelli del Terzo Mondo respirano aria
inquinata.
Se pure le mille
anime del movimento hanno trovato un comun denominatore, le profonde
differenze, ideologiche ed esistenziali, rimangono. E rischiano di esplodere ogni
volta che il movimento scende in piazza, perché la contrapposizione principale è tra chi
ritiene fondamentale caratterizzarsi come movimento non-violento e chi, invece, punta
allo scontro
frontale con le forze dell'ordine e le multinazionali, spaccando vetrine e
sfondando i cordoni di polizia. Da Praga in poi, le diverse facce del movimento si
dividono, convenzionalmente, in quattro gruppi. La maggioranza fa parte del blocco rosa
moderato e disarmato composto soprattutto dal mondo
dell'associazionismo: nelle sue file ci sono ambientalisti, scout, terzomondisti e
solidaristi. L'idea è che il movimento sia in una fase di grande crescita e per
diventare egemone deve evitare di cadere nel gioco degli eserciti contrapposti.
Accettano la non-violenza, ma da un punto di vista più
conflittuale, anche quelli che si riconoscono nel cosiddetto blocco giallo, quello della
resistenza passiva e della disobbedienza civile, che vede in prima fila le
Tute Bianche di Ya Basta e l'ala più moderata dei centri sociali, dal Leoncavallo di
Milano allo Zapata di Genova. Non usano tecniche di attacco, ma difensive, come caschi e
scudi. Dall'altra parte della barricata, ci sono il blocco blu degli
sfascia vetrine e il blocco nero delle
truppe d'assalto. Provengono dalle file dell'autonomia e dell'anarchia
intransigente e sono una netta minoranza, ma hanno una grande visibilità perché si
presentano ai cortei armati di spranghe e mattoni. Spesso si affiancano
agli squatter.
I fari sono già puntati sul prossimo appuntamento: il G8
di Genova e l'anti-vertice di fine luglio, quando il
popolo di Seattle tornerà in piazza e i rappresentanti della globalizzazione
torneranno a riunirsi in palazzi blindati. Nell'attesa che uno dei due schieramenti ceda.
AGNOLETTO: "SIAMO
NON-VIOLENTI"
ATTAC: "LA NOSTRA
LOTTA CONTRO IL LIBERISMO"
LA BATTAGLIA DI GENOVA:
PROVE DI WAR GAME
LILLIPUT: IN RETE PER FARE
MOVIMENTO
LA
MAPPA DEI DUE SCHIERAMENTI A GENOVA |