Il Nuovo 7 giugno 2001

Verso una nuova Seattle

Radiografia di un movimento anomalo, esploso all'improvviso ma covato per anni tra le associazioni e il Web. Ecco cosa tiene insieme gli ecoterroristi e i volontari cattolici. Mentre Genova si prepara allo scontro.

di Sofia Basso

MILANO - Il battesimo fu a Seattle, con l'assedio del Wto e le scene di guerriglia urbana che fecero il giro del mondo. Ma la protesta contro la globalizzazione non nacque dal nulla in quelle giornate del novembre 1999. Da anni migliaia di collettivi e associazioni che lavorano su temi specifici, dall'ecologismo ai diritti umani, si stavano scontrando con ostacoli sovranazionali: da qui la spinta a uscire dai confini statali, come già facevano i loro nemici giurati, le multinazionali. A farli incontrare è stato Internet, con un network di piazze virtuali dove chiunque poteva confrontarsi sui temi della contestazione. E quando venne il momento di chiamare tutti a raccolta, il Web si rivelò in grado di raggiungere realtà sparse in ogni angolo del mondo: all'appuntamento  si presentarono, a sorpresa, quasi centomila manifestanti, il vertice dell'Organizzazione Mondiale del Commercio fallì e l'impatto mediatico fu enorme. Da allora, non c'è stato summit internazionale che non abbia dovuto confrontarsi con loro, i contestatori di piazza, pronti a spostarsi da un continente all'altro. A Washington come a Napoli, a Davos come a Nizza, a Sidney come a Seul.

A tenere assieme soggetti così diversi, come i volontari cattolici e gli ecoterroristi, sono soprattutto bersagli comuni: la legge del profitto e il neocolonialismo, la distruzione dell'ambiente e il debito del Terzo Mondo, il cibo transgenico e le guerre. In sintesi, tutto quello che i manifestanti ritengono il prodotto della famigerata "globalizzazione neoliberale" che, spiegano con dati alla mano, sta rendendo "sempre più ricchi i ricchi e sempre più poveri i poveri". Simboli di tutto ciò sono le multinazionali, come la Nestlé e la Coca-Cola, ma anche gli organismi internazionali, come il Wto e l'Fmi. I punti di riferimento vanno da Ralph Nader, padre dell'agguerrita associazione di consumatori Public Citizen, a José Bovè, l'agricoltore francese che ha dichiarato guerra a McDonald's. Movimento spontaneo dal basso, comunque, non ha ancora leader ufficiali.

Nel gennaio 2001, oltre a scendere in strada per bloccare i lavori di un vertice istituzionale, il popolo di Seattle si diede appuntamento al World Social Forum di Porto Alegre, in Brasile, per mettere nero su bianco un manifesto per un "mondo migliore".  La multiforme galassia del no global superava così la fase del "movimento contro" per diventare propositivo, aggregando non solo su valori, come la solidarietà e l'antirazzismo, ma anche su interessi concreti, come la salute e le condizioni di lavoro. Perché se nel Sud del mondo la gente è sottopagata, anche gli stipendi operai del Nord ne risentono. E se i Paesi industrializzati producono gas serra, anche quelli del Terzo Mondo respirano aria inquinata.

Se pure le mille anime del movimento hanno trovato un comun denominatore, le profonde differenze, ideologiche ed esistenziali, rimangono. E rischiano di esplodere ogni volta che il movimento scende in piazza, perché la contrapposizione principale è tra chi ritiene fondamentale caratterizzarsi come movimento non-violento e chi, invece, punta allo scontro frontale con le forze dell'ordine e le multinazionali, spaccando vetrine e sfondando i cordoni di polizia. Da Praga in poi, le diverse facce del movimento si dividono, convenzionalmente, in quattro gruppi. La maggioranza fa parte del blocco rosa moderato e disarmato composto soprattutto dal mondo dell'associazionismo: nelle sue file ci sono ambientalisti, scout, terzomondisti e solidaristi. L'idea è che il movimento sia in una fase di grande crescita e per diventare egemone deve evitare di cadere nel gioco degli eserciti contrapposti. 

Accettano la non-violenza, ma da un punto di vista più conflittuale, anche quelli che si riconoscono nel cosiddetto blocco giallo, quello della resistenza passiva e della disobbedienza civile, che vede in prima fila le Tute Bianche di Ya Basta e l'ala più moderata dei centri sociali, dal Leoncavallo di Milano allo Zapata di Genova. Non usano tecniche di attacco, ma difensive, come caschi e scudi. Dall'altra parte della barricata, ci sono il blocco blu degli sfascia vetrine e il blocco nero delle truppe d'assalto.  Provengono dalle file dell'autonomia e dell'anarchia intransigente e sono una netta minoranza, ma hanno una grande visibilità perché si presentano ai cortei armati di spranghe e mattoni. Spesso si affiancano agli squatter.
I fari sono già puntati sul prossimo appuntamento: il G8 di Genova e l'anti-vertice di fine luglio, quando il popolo di Seattle tornerà in piazza e i rappresentanti della globalizzazione torneranno a riunirsi in palazzi blindati. Nell'attesa che uno dei due schieramenti ceda.

AGNOLETTO: "SIAMO NON-VIOLENTI"

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