La Stampa
Martedì 10 Luglio 2001

G8: minacce e allarmi, tensione a Genova
Telefonata a nome delle Br, falsa autobomba, «assalto» ai treni
Renato Rizzo
inviato a GENOVA Paura sul G8: una raffica di telefonate di sedicenti «Nuove Brigate Rosse Europee» fanno scattare l’allerta sul prossimo vertice e rendono ancora più accesa l’atmosfera di questa città che ha il cuore in gola. Alle minacce di «giornate cruciali» annunciate al telefono dell’Ansa di Genova in tarda mattinata fanno eco quelle ribadite pochi minuti dopo alla sede torinese della stessa agenzia giornalistica. La tensione diventa ancora più forte nel pomeriggio quando qualcuno, che si definisce br, chiama il centralino del ministero di Grazie e Giustizia di Roma per avvertire che, davanti al Tribunale, sta per esplodere un’autobomba. Tutto falso. Ma, proprio nelle stesse ore, ancora nel capoluogo ligure, in questo rimbalzo d’ansia, gli occhi della polizia si appuntano su una vettura posteggiata di fianco al Palazzo del Governo: gli artificieri la fanno saltare in aria sospettando, erroneamente, che sia imbottita di plastico. Da parte degli investigatori apparentemente nessun credito ai messaggi minatori: «Probabili gesti di mitomani» è il commento, ma nelle questure e nelle caserme dei carabinieri l’attenzione è altissima perché la vicinanza del G8 funge da catalizzatore.
Il primo appuntamento con la preoccupazione, attorno alle 12 negli uffici Ansa di piazza Piccapietra. Squilla il telefono, una voce snocciola un delirio di citazioni con riferimento al Summit. Parla di attentati «a personaggi italiani e internazionali» e alla «grande lotta» che infiammerà la giornata conclusiva del 22. Avverte: «Chiameremo ancora. Per dimostrare che saremo proprio noi a telefonare, vi daremo di volta in volta sigle di riconoscimento». A questo punto l’interlocutore fornisce alcuni codici per accreditare i prossimi telefonisti.
Si arriva al pomeriggio. La vecchia Peugeot 106 verde con il parabrezza coperto di multe, è posteggiata in sosta vietata in piazza Corvetto a due passi da Palazzo Spinola, sede della Prefettura. E’ lì da un paio di settimane. Alcuni agenti, dopo il falso allarme autobomba di Roma, la guardano con occhi apprensivi. Chiamano gli specialisti in esplosivi della Questura. Un breve consulto, poi la decisione di far brillare le porte e il cofano: la centralissima zona, salotto di Genova, viene sgomberata. Un deserto urbano nel quale si muovono solo gli artificieri mentre, lontani, occhieggiano i lampeggiatori delle ambulanze fatte arrivare in gran fretta. Ecco sistemate le microcariche, ecco l’esplosione. L’auto viene «sezionata»: dentro, un pacchetto di sigarette, qualche musicassetta, pochi spiccioli. E’ stata venduta da poco: non si riesce a dare un nome all’attuale proprietario.
La giornata d’ansia di Genova si chiude qui, ma un timore ben più importante si spalanca sulle parole del segretario nazionale del maggior sindacato di polizia. Sono pochi, equipaggiati in modo sommario, con il morale sotto i tacchi degli anfibi: eccoli, secondo Giovanni Paladini, responsabile del Sap e consigliere regionale della Margherita in Regione, gli agenti che dovranno proteggere la «città meno idonea ad ospitare un vertice». Lui guarda alla prossima settimana come ad un appuntamento con il rischio, anticipato dalle proteste dei Rage che, ieri, a Roma, hanno annunciato di volere dalla Ferrovie cinque treni speciali dal 18 al 20 luglio pagando al massimo la metà del biglietto di sola andata, con ritorno a carico del ministero «perché - spiegano - svuotare Genova è un’esigenza d’ordine pubblico». Neppur troppo in filigrana s’intravede la minaccia d’un assalto ai convogli.
E’ un’ulteriore emergenza per le forze di polizia che secondo Palladini non sono sufficientemente attrezzate: «Il problema è che lo Stato, sul fronte sicurezza, ha investito pochissimo. Oggi ci ritroviamo alla vigilia del Summit con un apparato pieno di toppe: il lavoro di intelligence è stato scarso, i sistemi di comunicazione si affidano a ponti radio obsoleti - come se i satelliti non esistessero neppure - i blindati sono rimasti in gran parte sulla carta sostituiti da vecchi pulmini».
Vuole dire che siamo in piena emergenza? «In Italia si è sempre in emergenza» è la risposta. Domandiamo: resta pur sempre un esercito di 15 mila uomini a vegliare sulla tranquillità dei Potenti. «Sì, ma in che modo? Sa che non ci sono sufficienti tutte ignifughe e imbottite neppure per i 2500 poliziotti dei reparti mobili che scenderanno in prima fila? Così come mancheranno anche i decantati manganelli americani ad "L"».
Si riferisce a queste carenze quando parla di situazioni che abbassano il morale? «Anche. Ma i motivi sono tanti altri». Parla di sistemazioni precarie: uomini alloggiati in appartamenti-stia alla Fiera del Mare, altri costretti a dormire a 40 chilometri dal capoluogo ligure, altri ancora ospitati addirittura ad Alessandria. «Senza trascurare - aggiunge - che non esiste neppure certezza sul pagamento degli straordinari. E a proposito di rimborsi: domani la Regione dovrà pronunciarsi su una mia proposta di stanziare 3 miliardi per assicurare, oltre che le vetrine dei negozianti, anche gli agenti chiamati a difenderle».
Senta, Paladini, c’è chi, specie dopo Göteborg, accusa la polizia d’avere i nervi troppo fragili: teme che, a Genova, qualcuno possa cedere alla tensione? «No, abbiamo uomini ben addestrati anche sotto il profilo psicologico. Sono chiamati, per dovere, a difendere e non ad attaccare. Noi - e questo è un esempio di democrazia - siamo tra le poche forze dell’ordine al mondo a non poter utilizzare strumenti d’offesa: non dico armi con proiettili di gomma come in Spagna, o pistole a scariche elettriche come negli Usa, ma neppure gli idranti».