La Repubblica 14 giugno 2001

Scontri a Genova  operai in rivolta per la chiusura Ilva
Assediato per ore il palazzo della Regione


di FABRIZIO RAVELLI

GENOVA - Franco Grondona della Fiom passa in mezzo ai suoi, fuori dalla grazia di Dio: "Non ce ne andiamo di qua. Il primo che molla, giuro che mi metto l'eskimo e lo picchio io". Avvertimento inutile. Non se ne va nessuno. E a picchiarli ci hanno già pensato carabinieri e celerini. I quattrocento dell'Ilva di Cornigliano, quelli del primo turno, sono quasi più sbalorditi che incazzati. C'è chi prova a ricordare, ma non ci riesce. A memoria d' uomo, mai visto a Genova che la polizia caricasse gli operai: "Forse vent'anni fa, forse".
Non è ancora mezzogiorno, qui sotto il palazzo della Regione in via Fieschi. Verrà sera, molte ore più tardi davanti alla prefettura. Con l'intera città bloccata, fino ai caselli dell'autostrada. Una specie di assaggio del casino annunciato per il G8, e questi erano solo 400.

Genova che aspetta i potenti del mondo, Genova sull'orlo di una crisi di nervi per zone rosse, sbarramenti, divieti, Genova in fibrillazione per chissà quali assalti del popolo di Seattle, o aeroplani telecomandati da terroristi islamici e via farneticando. Genova in tilt, invece, per il passato che preme alle porte. Gli operai delle acciaierie, sbucati dai fumi di Cornigliano.
Lo stupore furibondo delle tute blu manganellate, dei cinquantenni con famiglia a carico, dei ragazzi col contratto di formazione lavoro, e poi il senso pesante di qualcosa che cambia, di un mondo che ti lascia indietro. E anche il segno politico: «Ecco qua - scuote la testa Mauro Guzzonato, segretario regionale Cgil - Che bell'esordio per il nuovo ministro dell'Interno, il ligure Scajola. Arriva lui, e spaccano la testa a quattro operai, militarizzano il palazzo della Regione come fosse un fortino. E' da stamattina che ci trasciniamo per Genova, senza riuscire a ottenere uno straccio di incontro con le autorità». E' quasi sera. In piazza Corvetto, sotto gli affreschi di Palazzo Doria Spinola restaurati coi soldi del G8, gli operai più giovani giocano a pallone. «Le altre volte - dice uno coi capelli grigi - Se c'erano operai in piazza, venivano a prenderti in macchina, e ai centotrenta ti portavano a incontrare il prefetto. Adesso Scajola s'è dato, sindaco e presidente della Provincia si fanno desiderare. Noi aspettiamo».
Sono arrivati dal Ponente, da Cornigliano, con tre enormi camion, una ruspa, perfino le autoscope della fabbrica. Alle sei del mattino quelli del primo turno già si passavano di bocca in bocca notizie funeree: «Sono già partite le lettere di licenziamento». Dice un giudice che la cokeria deve fermarsi, che inquina e uccide. Franco Grondona a Cornigliano c'è nato 54 anni fa, e sono 54 anni che respira quella roba: «Mio padre è morto di tumore, come tanti. Io mi ricordo quando sui balconi le polveri erano alte un palmo. Noi non ce l'abbiamo con la magistratura. Però diciamo che se c'è un problema ambientale, è la collettività che deve risolverlo. Mica si può dire chiudiamo, e tanti saluti. La soluzione c'era, c'era un accordo. Poi il Polo l'ha fatta saltare».
Sandro Biasotti, presidente polista della Regione, se ne sta nel suo ufficio al decimo piano. «L'ho visto io ieri sera su Primocanale - grida un operaio - Se vengono da me, li accoglierò a braccia aperte, diceva. Ecco qua: manganellate, altro che braccia aperte». Biasotti a una delegazione Ds fa dire dalla segretaria di essere molto occupato. C'è chi pensa che carabinieri e celerini hanno fatto le prove del G8: «A forza di allenarsi, sono su di giri. Quando siamo arrivati, c'era un funzionario che passava la voce: se vengono avanti, li massacriamo». «La prossima volta - promette un altro in tuta blu - ci portiamo i palanchini, e vien fuori una carneficina».
Dal palazzo della Regione alla prefettura scendono in corteo, con camion e ruspa. A Piccapietra passano accanto al monumento dedicato a Guido Rossa, sindacalista ucciso dalla Brigate rosse ventidue anni fa. Era uno di loro, dell'Italsider. Nessuno, qui in corteo, che l'abbia conosciuto: i suoi compagni sono tutti in pensione. Anche quelli in corteo vorrebbero evitare di essere considerati un monumento, qualcosa di un passato inquinato da superare. Del G8 e della globalizzazione non gli frega niente, anche se magari si potrebbe tirare un filo che tiene tutto insieme. Come dice Luca Casarini, portavoce delle tute bianche, che era venuto a portare una «dichiarazione di pace» per Genova e molla la conferenza stampa per raggiungere gli operai: «Ecco, questo è il clima che si respira a Genova. Così trattano perfino i lavoratori, dopo averli spremuti per una vita».
Questo è il clima, in effetti. Si parla del futuro del mondo, dei mercati planetari e della nuova economia, ma il passato è ancora qui, ed è fatto di gente in carne e ossa, di cassa integrazione con cui tirar la fine del mese, di pensionati stroncati dai tumori. Il passato è ancora qui, se Paride Batini deve minacciare di portare i camalli in piazza De Ferrari, coi mezzi pesanti, perché i fascisti di Forza Nuova vorrebbero manifestare proprio il 30 giugno. Quarantun anni esatti dopo le cariche della Celere, i tram saldati alle rotaie in via San Lorenzo, le jeep ribaltate nella fontana per bloccare un congresso dei missini.
A Cornigliano l'acciaieria uccide, ma qui nel corteo dicono che dietro a tutto c'è la speculazione: «Adesso le donne fanno i comitati, ma le loro famiglie hanno campato con gli stipendi dell'Ilva. Hanno appartamenti che valgono due lire, e vorrebbero cacciar via la fabbrica per farli aumentare di valore. E perché si continua a costruire palazzi e residence alla Fiumara, a dieci metri dalla fabbrica? Perché quelle aree, senza l'acciaio, sono oro». Ce l'hanno con l'assessore Gadolla di An, che ha finanziato un comitato contro il nuovo forno elettrico: «Ma alle elezioni gli è andata male». A Cornigliano, là nel Ponente dell'industria antica, la sinistra tiene: «Il nostro candidato ha preso il 62 per cento». Era Ugo Intini, tanto per dire del passato che resiste.