La repubblica 9 luglio 2001 Quando il padrone si chiama Wall Street di OSKAR LAFONTAINE AEREI, televisione e computer hanno accorciato le distanze nel mondo. Lo scambio economico tra i popoli è in aumento. Un fenomeno chiamato globalizzazione, da analizzare più da vicino per mostrarne vantaggi e svantaggi. I mercati del lavoro sono ancora in gran parte regionali. È vero che aumenta la mobilità delle figure professionali altamente specializzate, ma la stragrande maggioranza della popolazione mondiale vive e lavora nel Paese in cui è nata. LA migrazione della forza lavoro provoca tensioni sociali. Per questo gli Stati europei, nell'allargamento a est, vogliono garantirsi una limitazione dell'immigrazione di forza lavoro a basso costo. Anche i mercati dei beni sono prevalentemente mercati regionali. Gli scambi nel commercio estero dei grandi blocchi economici mondiali coprono circa il 10%. L'attività economica è centrata in gran parte sul mercato nazionale. Globali sono solo i mercati finanziari. La possibilità di trovare in pochi secondi la migliore collocazione del capitale in tutto il mondo è il cambiamento più importante verificatosi negli ultimi decenni. Inoltre, all'inizio degli anni '70 è stato abolito il sistema dei tassi di cambio fissi. Oggi, sono i tassi di cambio flessibili e la libera circolazione dei capitali a determinare il sistema della finanza mondiale. Le crisi finanziarie in Messico, Asia, Russia, Brasile e Argentina hanno rivelato l'instabilità dei mercati finanziari internazionali. Non vi sono dubbi che le crisi finanziarie hanno provocato un aumento considerevole della disoccupazione e dell'impoverimento sociale. L'organizzazione non governativa Attac, che prende parte alle dimostrazioni antiglobalizzazione, manifesta contro l'instabilità dei mercati finanziari. Questa organizzazione si batte per la regolamentazione dei mercati finanziari internazionali e per una maggiore tassazione del reddito da capitale. È contro l'evasione fiscale e chiede, con l'introduzione di una tassazione sulle operazioni finanziarie a breve termine (Tobin tax), di rallentare la circolazione dei capitali e di stabilizzare il sistema finanziario. Nei loro vertici, i capi di governo delle maggiori nazioni industrializzate chiedono regolarmente una nuova architettura finanziaria mondiale. Ma dalle parole non si è mai passati ai fatti. Il motivo? Senza gli Stati Uniti non è possibile realizzare il nuovo ordinamento. Ma neppure il presidente americano può fare ciò che vuole, perché è prigioniero degli interessi finanziari di Wall Street. Dato che Wall Street finanzia le campagne elettorali dei candidati alla Casa Bianca, i presidenti americani si sentono in dovere di riconoscerne gli interessi. Per questo motivo non ha fatto niente Clinton e per lo stesso motivo non farà nulla nemmeno Bush. Ugualmente obbligato si sente il primo ministro della City londinese. Non ci si potrà aspettare alcunché neppure da Blair, che pure ha già avuto modo di invocare una nuova architettura finanziaria. Le catastrofi ecologiche, come l'incidente al reattore di Chernobyl, il buco dell'ozono e le perdite delle petroliere, hanno ricordato al mondo intero che anche la distruzione della natura fa parte della globalizzazione. Però, come per i mercati finanziari, manca una regolamentazione vincolante per tutto il mondo sull'inquinamento. Gli accordi internazionali sono di natura volontaria. Le controversie sull'accordo di Kyoto mostrano che nel dubbio gli interessi economici contrastano con la tutela dell'ambiente globale. Gli Stati Uniti sono in testa a dare il cattivo esempio. Tra tutti gli stati industrializzati sono quelli con le più alte emissioni di CO2 per abitante. Bush, però, poco dopo la sua nomina ha dichiarato di non essere disponibile a sottoscrivere questo accordo. Il motto "America first" non è mai stato così fuori luogo come nel caso della politica della tutela ambientale. Una nazione, per quanto grande sia, non può garantire da sola una tutela ambientale efficace, ma è necessaria la collaborazione internazionale. Gli interessi dell'ecologia si scontrano con lo spirito neoliberale. Nella corsa all'oro, nella ricerca di sempre maggiori utili e sempre maggiori guadagni, le norme ecologiche sono un intralcio. E se l'economia energetica contribuisce ai finanziamenti elettorali allo stesso modo dell'industria finanziaria, le conseguenze sono facilmente prevedibili. La debacle finanziaria ha portato la Russia, con regioni già altamente inquinate, a decidere di aprire il Paese all'importazione di scorie nucleari. Per questo motivo è necessario che anche il movimento ecologista Greenpeace faccia parte del movimento antiglobalizzazione. Greenpeace è bene organizzata e si è fatta un nome in tutto il mondo come rappresentante credibile della tutela dell'ambiente. Come per i mercati finanziari mondiali, anche per la distruzione globale si nota che gli sforzi dei governi sono troppo scarsi. E l'elettore non ancora nato non ha voce in capitolo. Un ulteriore svantaggio della globalizzazione è la perdita strisciante dell'identità culturale. Dappertutto troviamo i McDonalds, la CocaCola e i jeans. Quando nell'agosto del 1999, il francese José Bové ha distrutto una filiale di McDonalds nella città francese di Millau, è stata un'azione simbolica. Il savoir vivre francese non deve far posto alla cultura appiattita del fast food. La lotta dei popoli di tutto il mondo per la loro identità culturale andrà avanti. In ogni lotta ne va della vera ricchezza del mondo, della ricchezza culturale e un giorno anche gli shareholder capiranno che i soldi non si possono mangiare. Dice José Bové: "La globalizzazione distrugge il Terzo Mondo e minaccia la civiltà europea. Oggi uccide più uomini di tutte le guerre. Sul suo conto pesano ottocento milioni di affamati nel mondo, le bugie del neoliberalismo devono essere smascherate". Una di queste bugie è che i tassi di cambio flessibili, la libera circolazione dei capitali e la produzione che distrugge la natura servono al benessere dell'umanità. (Traduzione del Gruppo Logos) (L'autore è ex ministro delle Finanze del governo tedesco) OSKAR LAFONTAINE |