La Stampa 6 luglio 2001

L’ALA PIU’ RADICALE DEL MOVIMENTO «NON CI FAREMO INTIMIDIRE»

«Vogliamo osservatori internazionali»

Le tute bianche: per controllare i soprusi della polizia



inviato a GENOVA
CERCATE, cercate, non troverete nulla: i nostri scudi e i nostri macchinari sono già in città, chiusi in depositi segreti e sorvegliati». La sfida delle Tute Bianche, tra sberleffo e provocazione, è rivolta alla polizia: risposta ai controlli che setacciano tutta la città e che, l’altro ieri, hanno scatenato la rabbia degli zapatisti genovesi dopo la perquisizione avvenuta in casa di due di loro. Volano le parole e covano le minacce nel centro sociale Terra di Nessuno, addossato alla collina sopra la stazione Principe: «Sentiamo addosso il fiato degli agenti - ripete Matteo Jade da questa sorta di foresta di Sherwood dove decine di ragazzi e ragazze tagliano plexiglass e cuciono gommapiuma per preparare le "corazze" dello scontro di piazza - ma non ci faremo intimidire: stiamo organizzando un gruppo di osservatori di vari paesi che nei giorni del Vertice arriveranno a Genova. Saranno gli occhi e le orecchie della società civile, controlleranno che non vengano compiuti soprusi e violazioni della legge né su noi né su nessun altro».
Si fa più pesante l’aria sulla città del G8. La polizia ha fermato e denunciato l’altra notte cinque persone - un colombiano, tre genovesi ed un giovane di Tortona - «legate alla protesta contro il G8» e, pare, vicine al centro sociale Inmensa che riunisce alcuni tra i contestatori più duri: stavano armeggiando, nei pressi del casello autostradale di Voltri, attorno al loro furgone Mercedes inchiodato da un guasto. Perquisizione: nel bagagliaio è stato trovato un manganello telescopico, il manico d’un piccone, un tubo in pvc lungo un metro, un coltello, sette maschere antigas. «A che cosa servono?» è stata la pleonastica domanda degli agenti. Scontata anche la risposta del proprietario del camioncino: «Quelle cose? Mi ero persino dimenticato che fossero lì». Hanno perquisito anche lui: in tasca aveva poco più di 7 grammi di hashish. Il reporter di «Carta», Pulika Raffaele Calzini, bloccato a Genova l’altro pomeriggio insieme a Leila Daclì, esponente francese del movimento antagonista, e poi rilasciato, racconta ora la sua verità: «Avevo in tasca solo una lista di strumenti da utilizzare quando si finisce in mezzo ai lacrimogeni: si parla di videocamere, maschere antismog, tutto ciò che consente ad un giornalista indipendente di lavorare e garantire informazione entrando nelle cortine fumogene: l’ho fatto a Nizza, a Praga, a Quebec City». Ma, scusi, Calzini, la polizia ha mostrato anche un’altra lista: quella dei suoi cosiddetti precedenti. Risulta che dal ‘98 al ‘99 lei ha collezionato denunce per lesioni personali volontarie, oltraggio, resistenza a pubblico ufficiale, violenza, furto, fabbricazione e detenzione di materiale esplodente e danneggiamenti. Risposta: «Queste denunce sono un bagaglio che tutti noi che abbiamo fatto parte di certi movimenti ci portiamo dietro. Di più: per la polizia sono un modo di tenerti al guinzaglio». Sarà anche così, ma qui si parla di furto... «Giuro, non mi viene in mente da dove arrivi quest’accusa». E la fabbricazione e la detenzione di materiale esplodente? «Questo sì lo ricordo: operazione Girasole, protesta per il caso Ocalan. Ero in un corteo dal quale s’è staccato un gruppo che è andato verso gli uffici delle Aviolinee Turche. Subito dopo è scoppiato un principio d’incendio: forse una molotov». E lei? «Io stavo per i fatti miei, davvero. Qualche ora dopo, ecco arrivare i poliziotti a casa. Non hanno trovato niente, ma la denuncia rimane: un marchio che non ti togli più. Almeno, però, c’è una piccola soddisfazione». Quale, Calzini? «La perquisizione dell’altro giorno a Genova è stata un clamoroso autogol delle forze di polizia rispetto all’immagine democratica che si vogliono dare».
E la macchina del Genoa Social Forum va, anche in quest’atmosfera, via via, più tesa. Le richieste per ottenere spazi allestiti in scuole e palestre, servizi, interpreti, materiale informatico, pranzi e cene, rischiano però di presentare un conto troppo salato. Secondo i calcoli della Prefettura i tre miliardi annunciati dal governo per garantire l’accoglienza ai ribelli sono largamente insufficienti. Anche la rivoluzione ha i suoi costi.