Corriere della sera 9 luglio 2001

Cristianesimo e marxismo primi globalizzatori

IL PECCATO ORIGINALE

di ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA

È davvero un paradosso che due principali filoni ideali che oggi alimentano la protesta contro la globalizzazione siano rappresentati dal cattolicesimo e dal marxismo. È un paradosso perché nel corso dei secoli il cristianesimo romano e la dottrina che prende il nome da Marx - l’uno con immensi effetti di ogni ordine e profondità, l’altra con impatto certo minore ma pur sempre assai significativo a causa della sua veste moderna - come pochi altri movimenti hanno costituito proprio loro matrici di globalizzazione tanto poderose e fertili. L’idea cristiana che tutti i popoli e quindi tutte le culture disseminate sui cinque Continenti possano e debbano riconoscersi in un solo Dio, nel Dio della tradizione monoteistica ebraica, incarna sicuramente uno dei progetti di riunificazione-omologazione del pianeta più ambiziosi che si possano concepire. E inevitabilmente, ahimè, anche uno dei più distruttivi. Non discuto il bilancio positivo in termini spirituali e civili che le varie popolazioni possono sul medio e lungo periodo aver tratto dall’evangelizzazione, ma è indubbio che questa ha innanzitutto significato la virtuale cancellazione di ogni sfondo religioso, di ogni struttura di pensiero e di costumi, di ogni universo antropologico incompatibile con il modello cristiano. Di fronte alla portata distruttiva nei confronti delle diversità culturali che storicamente ha rappresentato il cristianesimo, quella costituita dal cinema americano fa solo sorridere.
Inutile sottolineare che l’effetto globalizzante-omologante del cristianesimo è andato molto oltre l’ambito strettamente religioso. La centralità della persona, l’individualismo e i diritti dell’uomo, con l’ovvio corredo di tutto ciò che ne è derivato e ne deriva sul piano politico (a cominciare dal liberalismo e dalla democrazia), hanno avuto la loro premessa necessaria nella fede cristiana. Il che dimostra assai bene, tra l’altro, come l’universalismo frutto di ogni globalizzazione-omologazione possa avere anche conseguenze benefiche di grandissima portata. Da almeno due secoli a questa parte, infatti, a quale altro statuto concettuale può affidare la sua protesta contro l’ingiustizia o l’oppressione un qualunque individuo o gruppo umano di ogni latitudine (compresi gli odierni anti-G8) se non allo statuto proprio dell’omologazione cristiano-democratica scaturita dal retaggio europeo? Alla quale omologazione è ben assimilabile quella all’insegna del marxismo, del quale dovrebbe apparire altrettanto evidente l’effetto globalizzante. Il marxismo ha pienamente condiviso con il liberismo l’idea che la tecnica e il mercato capitalistico potessero-dovessero unificare il mondo, e come il liberismo esso ha creduto nel carattere storicamente progressivo di tale unificazione. Al capitalismo mondiale ha contrapposto, nella sua versione leninista, la rivoluzione mondiale con il suo sogno ultra-omologante di un unico Stato dei lavoratori, anch’esso mondiale, che la facesse finita con quegli Stati nazionali e quei confini che anche la tradizione socialdemocratica aveva sempre visto con profonda diffidenza.
La verità è che la spinta a dilagare in ogni angolo della Terra e a ritenersi portatrice di una visione del mondo superiore - e pertanto da imporre a tutti (per il loro stesso bene, in fondo) - ha segnato la vicenda di tutta la nostra civiltà. Quella tendenza è nel Dna dell’Occidente ben da prima che comparissero Internet, l’Ibm o McDonald’s, e si può anzi dire che questi hanno potuto vedere la luce proprio perché essa esisteva e operava da secoli. Quella di Genova non sarà dunque la riunione di otto satrapi agenti in nome e per conto di un pugno di oligarchie planetarie: sarà invece la rappresentazione di una civiltà che ha unificato il mondo credendo di padroneggiarne per sempre il futuro, ma oggi è costretta a interrogarsi sulle amare smentite che la storia potrebbe dare, e forse sta già dando, alle sue speranze.