Corriere del Ticino 5 luglio 2001
I POPOLI DI SEATTLE - I vertici della Chiesa cattolica però preferiscono non mescolare i loro fedeli al «Popolo di Seattle»

Contro il G8, ma in nome di Dio

A Genova ci saranno anche numerosi gruppi d’ispirazione religiosa


Carlo Silini

"Non comprate quelle scarpe, le hanno fatte bambini come voi che invece di andare a scuola o a divertirsi vengono sfruttati da persone senza cuore, che rubano la loro infanzia, i loro sogni". Parla più o meno così don Valentino, viceparroco della chiesa genovese di San Giovanni Battista, finito sui giornali per avere distribuito volantini nei quali sono stilate liste di prodotti da boicottare perché provenienti da aziende che sfrutterebbero i lavoratori. Don Valentino rappresenta il prototipo del prete-barricadero che potrebbe sfilare con gli anti-globalizzatori nei giorni del G8 a Genova. Ma la Chiesa cattolica - che nella sua dottrina sociale non lesina critiche nei confronti del liberismo - sfilerebbe con lui? Detto in altre parole: esiste un'anima cattolica del Popolo di Seattle? Sì e no, verrebbe da rispondere.

Cominciamo dal sí. Si sa che un drappello di parroci genovesi ha messo a disposizione le canoniche per ospitare i manifestanti. E non mancano ecclesiastici di sicuro carisma, come il genovese don Andrea Gallo, della comunità di San Benedetto al Porto, che si sono schierati apertamente con i contestatori. «Perché dare tanta importanza a una vetrina rotta – ha dichiarato ai media della penisola don Gallo – quando la violenza esercitata dai potenti è decisamente più grave?». Un altro prete vicino agli emarginati, don Luigi Ciotti, qualche tempo fa chiedeva agli otto grandi di rinunciare ai loro «vuoti proclami» sulla povertà invitandoli a «sfruttare questa spinta, queste voci che vengono dal basso». Analoga la posizione di don Oreste Benzi, della comunità Papa Giovanni XXIII. I tre sacerdoti si schierano quindi dalla parte degli antiglobalizzatori riuniti dal Genoa Social Forum (GSF). E non saranno mosche bianche, unici rappresentanti del mondo religioso, nel popolo di Seattle. Con loro sfileranno qualcosa come 250 congregazioni missionarie le quali da una parte animeranno una loro autonoma iniziativa (una due giorni di digiuno e protesta alla chiesa di Sant’Antonio a Boccadasse), dall’altra si uniranno ai cortei del GSF. Ma altre decine di gruppi d’ispirazione religiosa (non solo cattolici) hanno aderito agli appelli del GSF. Fra i tanti vanno citati almeno Pax Christi e Nigrizia (tra i membri fondatori della «Rete di Lilliput», un’insieme di associazioni che lottano per un’economia più giusta), e a livello italiano e Acli, l’Associazione Viottoli, il Gruppo Abele, e molti altri. Da segnalare anche l’adesione al GFS delle chiese evangeliche liguri e del Piemonte meridionale. Insomma, un’anima cristiana e cattolica del Popolo di Seattle c’è, eccome. E a sorpresa se ne è fatto voce persino un cardinale, Silvano Piovanelli, in un articolo di commento pubblicato dal «Corriere della Sera». «Se il G8 vuole imporre un mondo unico – ha scritto il prelato – dove domina l’unica ideologia del denaro e dei corpi, allora, per fedeltà al Vangelo, ci mettiamo dalla parte delle «tute bianche» (uno dei principali gruppi anti-globalizzazione, n.d.r.) e diciamo: «No» al G8! Ma diciamo «no» senza violenza (…). Ai contestatori vorrei dire: (…) perché non passare alla storia come coloro che, all’inizio del nuovo millennio, hanno indicato con chiarezza la strada da percorrere? Non sarà possibile ricordare la lezione della non-violenza lasciataci da Ghandi? E noi cristiani, come possiamo dimenticare che il signore Gesù ci ha consegnato la forza rivoluzionaria dell’amore, che si manifesta in chiunque realizza la propria vita con gli altri e per gli altri?». A livelli di vertice della Chiesa cattolica, tuttavia, malgrado l’isolato commento del cardinal Piovanelli, la posizione è più sfumata. Il Papa stesso (che martedí ha chiesto a Silvio Berlusconi di non scordare le esigenze dei Paesi poveri al vertice del G8) non può essere definito un anti-globalizzatore, semmai un osservatore critico di questo fenomeno. Lo è stato in varie occasioni, per esempio nel discorso ai membri della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali il 27 aprile scorso: «La globalizzazione, a priori – ha detto in quella circostanza Giovanni Paolo II – non è né buona né cattiva. Sarà ciò che le persone ne faranno. Nessun sistema è fine a se stesso ed è necessario insistere sul fatto che la globalizzazione, come ogni altro sistema, deve essere al servizio della persona umana, della solidarietà e del bene comune». E ancora: «La Chiesa continuerà a operare con tutte le persone di buona volontà per garantire che in questo processo vinca l’umanità tutta e non solo un’élite prospera che controlla la scienza, la tecnologia, la comunicazione e le risorse del pianeta a detrimento della stragrande maggioranza dei suoi abitanti. La Chiesa spera veramente che tutti gli elementi creativi nella società cooperino alla promozione di una globalizzazione al servizio di tutta la persona e di tutte le persone». Su questa falsariga, l’Arcivescovo di Genova, mons. Dionigi Tettamanzi, pur appoggiando una riflessione critica sulla globalizzazione ha preferito separare le iniziative dei cattolici da quelle del «Popolo di Seattle». Non è un caso che gli uffici pastorali della Conferenza episcopale italiana abbiano convocato a Genova per il 7 e 8 luglio, cioè due settimane prima del controvertice del GSF, le principali associazioni laicali e giovanili (tra loro anche i Focolarini e Rinnovamento nello Spirito) per discutere degli argomenti che verrano trattati al G8. In vista di quell’incontro le associazioni cattoliche italiane hanno anche preparato un manifesto indirizzato ai leader degli otto grandi che denuncia, sí, i pericoli del sistema dominante, ma senza condannarlo in blocco e senza definire illegittima l’istituzione del G8. Ve ne proponiamo qui sotto alcuni dei passaggi più significativi.


IL TEOLOGO - Sandro Vitalini: "Diamo voce pure a chi non sottostà agli Usa"

Abbiamo visto come le posizioni all'interno del mondo cattolico nei confronti della globalizzazione in generale e del G8 a Genova in particolare vadano dalla riflessione critica alla vera e propria militanza all'interno del "Popolo di Seattle". Abbiamo chiesto al teologo ticinese don Sandro Vitalini che cosa pensa delle proteste annunciate contro il summit nel capoluogo ligure.

"Sono del parere - ci ha risposto - che le manifestazioni che si prevedono a proposito dell'incontro di Genova ribadiscano una coscienza che si va allargando circa la necessità di prevedere una globalizzazione della solidarietà senza la quale uno studio sullo sviluppo economico dei Paesi ricchi diventa un insulto gravissimo contro il non-sviluppo nei Paesi più poveri che vengono ridotti a una situazione di miseria estrema. Non producono nulla e non consumano nulla, diventano semplicemente delle entità che non hanno alcun peso nell'ambito dello sviluppo dell'economia mondiale".

Come valuta, dal punto di vista del credente questa situazione?

"Noi sappiamo, dal punto di vista cristiano e biblico in generale, che la terra è di Dio e dunque le proprietà e i beni del creato vanno equamente suddivisi. È ora e tempo che anche i potenti di questo mondo si rendano conto che è indispensabile chiamare tutti i popoli al banchetto di quel creato che è stato imbandito dal Creatore per tutti e di cui taluni in modo obbrobrioso si sono appropriati".

A suo modo di vedere come si potrebbe disinnescare la protesta in questi vertici delle potenze internazionali?

"Mi sono permesso recentemente di suggerire un'iniziativa che potrebbe senz'altro dare a questi incontri internazionali - penso in particolare a quello di Davos - un'impronta diversa senza ledere minimamente gli interessi delle nazioni coinvolte".

Ovvero?

"Ho proposto di invitare a Davos l'anno prossimo Fidel Castro. Riconosco che anche lui è un dittatore, ma ha il merito, se non altro, di lottare contro l'altra dittatura, molto più potente della sua, che è la dittatura economica degli Stati Uniti che imperversa soprattutto nell'America latina".

E a che cosa servirebbe una simile presenza?

"Credo che se si desse la voce anche a qualcuno che non sottostà al potere assolutistico che gli Stati Uniti vorrebbero arrogarsi nel mondo intero, il cosiddetto "Popolo di Seattle" vedrebbe in questo un gesto positivo, un gesto di buona volontà e si renderebbe conto che finalmente gli interessi dell'umanità, dunque gli interessi di tutti, sono presi in considerazione in antecedenza agli interessi economici di una minoranza".