I POPOLI DI SEATTLE - I vertici della
Chiesa cattolica però preferiscono non mescolare i loro fedeli al «Popolo di Seattle»
Contro il G8, ma in nome di Dio
A Genova ci saranno anche numerosi gruppi dispirazione religiosa
Carlo Silini
"Non comprate quelle scarpe, le hanno fatte bambini come
voi che invece di andare a scuola o a divertirsi vengono sfruttati da persone senza cuore,
che rubano la loro infanzia, i loro sogni". Parla più o meno così don Valentino,
viceparroco della chiesa genovese di San Giovanni Battista, finito sui giornali per avere
distribuito volantini nei quali sono stilate liste di prodotti da boicottare perché
provenienti da aziende che sfrutterebbero i lavoratori. Don Valentino rappresenta il
prototipo del prete-barricadero che potrebbe sfilare con gli anti-globalizzatori nei
giorni del G8 a Genova. Ma la Chiesa cattolica - che nella sua dottrina sociale non lesina
critiche nei confronti del liberismo - sfilerebbe con lui? Detto in altre parole: esiste
un'anima cattolica del Popolo di Seattle? Sì e no, verrebbe da rispondere.
Cominciamo dal sí. Si sa che un drappello di parroci genovesi ha messo
a disposizione le canoniche per ospitare i manifestanti. E non mancano ecclesiastici di
sicuro carisma, come il genovese don Andrea Gallo, della comunità di San Benedetto al
Porto, che si sono schierati apertamente con i contestatori. «Perché dare tanta
importanza a una vetrina rotta ha dichiarato ai media della penisola don Gallo
quando la violenza esercitata dai potenti è decisamente più grave?». Un altro
prete vicino agli emarginati, don Luigi Ciotti, qualche tempo fa chiedeva agli otto grandi
di rinunciare ai loro «vuoti proclami» sulla povertà invitandoli a «sfruttare questa
spinta, queste voci che vengono dal basso». Analoga la posizione di don Oreste Benzi,
della comunità Papa Giovanni XXIII. I tre sacerdoti si schierano quindi dalla parte degli
antiglobalizzatori riuniti dal Genoa Social Forum (GSF). E non saranno mosche bianche,
unici rappresentanti del mondo religioso, nel popolo di Seattle. Con loro sfileranno
qualcosa come 250 congregazioni missionarie le quali da una parte animeranno una loro
autonoma iniziativa (una due giorni di digiuno e protesta alla chiesa di SantAntonio
a Boccadasse), dallaltra si uniranno ai cortei del GSF. Ma altre decine di gruppi dispirazione
religiosa (non solo cattolici) hanno aderito agli appelli del GSF. Fra i tanti vanno
citati almeno Pax Christi e Nigrizia (tra i membri fondatori della «Rete di Lilliput»,
uninsieme di associazioni che lottano per uneconomia più giusta), e a livello
italiano e Acli, lAssociazione Viottoli, il Gruppo Abele, e molti altri. Da
segnalare anche ladesione al GFS delle chiese evangeliche liguri e del Piemonte
meridionale. Insomma, unanima cristiana e cattolica del Popolo di Seattle cè,
eccome. E a sorpresa se ne è fatto voce persino un cardinale, Silvano Piovanelli, in un
articolo di commento pubblicato dal «Corriere della Sera». «Se il G8 vuole imporre un
mondo unico ha scritto il prelato dove domina lunica ideologia del
denaro e dei corpi, allora, per fedeltà al Vangelo, ci mettiamo dalla parte delle «tute
bianche» (uno dei principali gruppi anti-globalizzazione, n.d.r.) e diciamo: «No» al
G8! Ma diciamo «no» senza violenza (
). Ai contestatori vorrei dire: (
)
perché non passare alla storia come coloro che, allinizio del nuovo millennio,
hanno indicato con chiarezza la strada da percorrere? Non sarà possibile ricordare la
lezione della non-violenza lasciataci da Ghandi? E noi cristiani, come possiamo
dimenticare che il signore Gesù ci ha consegnato la forza rivoluzionaria dellamore,
che si manifesta in chiunque realizza la propria vita con gli altri e per gli altri?». A
livelli di vertice della Chiesa cattolica, tuttavia, malgrado lisolato commento del
cardinal Piovanelli, la posizione è più sfumata. Il Papa stesso (che martedí ha chiesto
a Silvio Berlusconi di non scordare le esigenze dei Paesi poveri al vertice del G8) non
può essere definito un anti-globalizzatore, semmai un osservatore critico di questo
fenomeno. Lo è stato in varie occasioni, per esempio nel discorso ai membri della
Pontificia Accademia delle Scienze Sociali il 27 aprile scorso: «La globalizzazione, a
priori ha detto in quella circostanza Giovanni Paolo II non è né buona né
cattiva. Sarà ciò che le persone ne faranno. Nessun sistema è fine a se stesso ed è
necessario insistere sul fatto che la globalizzazione, come ogni altro sistema, deve
essere al servizio della persona umana, della solidarietà e del bene comune». E ancora:
«La Chiesa continuerà a operare con tutte le persone di buona volontà per garantire che
in questo processo vinca lumanità tutta e non solo unélite prospera che
controlla la scienza, la tecnologia, la comunicazione e le risorse del pianeta a
detrimento della stragrande maggioranza dei suoi abitanti. La Chiesa spera veramente che
tutti gli elementi creativi nella società cooperino alla promozione di una
globalizzazione al servizio di tutta la persona e di tutte le persone». Su questa
falsariga, lArcivescovo di Genova, mons. Dionigi Tettamanzi, pur appoggiando una
riflessione critica sulla globalizzazione ha preferito separare le iniziative dei
cattolici da quelle del «Popolo di Seattle». Non è un caso che gli uffici pastorali
della Conferenza episcopale italiana abbiano convocato a Genova per il 7 e 8 luglio, cioè
due settimane prima del controvertice del GSF, le principali associazioni laicali e
giovanili (tra loro anche i Focolarini e Rinnovamento nello Spirito) per discutere degli
argomenti che verrano trattati al G8. In vista di quellincontro le associazioni
cattoliche italiane hanno anche preparato un manifesto indirizzato ai leader degli otto
grandi che denuncia, sí, i pericoli del sistema dominante, ma senza condannarlo in blocco
e senza definire illegittima listituzione del G8. Ve ne proponiamo qui sotto alcuni
dei passaggi più significativi.
IL TEOLOGO - Sandro
Vitalini: "Diamo voce pure a chi non sottostà agli Usa"
Abbiamo visto come le posizioni all'interno del mondo cattolico
nei confronti della globalizzazione in generale e del G8 a Genova in particolare vadano
dalla riflessione critica alla vera e propria militanza all'interno del "Popolo di
Seattle". Abbiamo chiesto al teologo ticinese don Sandro Vitalini che cosa pensa
delle proteste annunciate contro il summit nel capoluogo ligure.
"Sono del parere - ci ha risposto - che le manifestazioni che si
prevedono a proposito dell'incontro di Genova ribadiscano una coscienza che si va
allargando circa la necessità di prevedere una globalizzazione della solidarietà senza
la quale uno studio sullo sviluppo economico dei Paesi ricchi diventa un insulto
gravissimo contro il non-sviluppo nei Paesi più poveri che vengono ridotti a una
situazione di miseria estrema. Non producono nulla e non consumano nulla, diventano
semplicemente delle entità che non hanno alcun peso nell'ambito dello sviluppo
dell'economia mondiale".
Come valuta, dal punto di vista del credente questa situazione?
"Noi sappiamo, dal punto di vista cristiano e biblico in
generale, che la terra è di Dio e dunque le proprietà e i beni del creato vanno
equamente suddivisi. È ora e tempo che anche i potenti di questo mondo si rendano conto
che è indispensabile chiamare tutti i popoli al banchetto di quel creato che è stato
imbandito dal Creatore per tutti e di cui taluni in modo obbrobrioso si sono
appropriati".
A suo modo di vedere come si potrebbe disinnescare la protesta in
questi vertici delle potenze internazionali?
"Mi sono permesso recentemente di suggerire un'iniziativa che
potrebbe senz'altro dare a questi incontri internazionali - penso in particolare a quello
di Davos - un'impronta diversa senza ledere minimamente gli interessi delle nazioni
coinvolte".
Ovvero?
"Ho proposto di invitare a Davos l'anno prossimo Fidel Castro.
Riconosco che anche lui è un dittatore, ma ha il merito, se non altro, di lottare contro
l'altra dittatura, molto più potente della sua, che è la dittatura economica degli Stati
Uniti che imperversa soprattutto nell'America latina".
E a che cosa servirebbe una simile presenza?
"Credo che se si desse la voce anche a qualcuno che non
sottostà al potere assolutistico che gli Stati Uniti vorrebbero arrogarsi nel mondo
intero, il cosiddetto "Popolo di Seattle" vedrebbe in questo un gesto positivo,
un gesto di buona volontà e si renderebbe conto che finalmente gli interessi
dell'umanità, dunque gli interessi di tutti, sono presi in considerazione in antecedenza
agli interessi economici di una minoranza".
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