Manifesto 10 giugno 2001

 

Piccoli media crescono
Da Seattle a Napoli, Indymedia ha raccontato "il movimento". Incontro a Bruxelles in vista di Genova
SARA MENAFRA

" See you in Genova!". "Arrivederci a Genova", è stato questo il saluto con cui la delegazione italiana ha lasciato il primo meeting europeo degli Independent Media Center. Nei giorni scorsi a Bruxelles, con un mese e mezzo di distanza dal principale "evento" dei prossimi sei mesi, gli artefici dei tanti siti internet europei targati indymedia si sono guardati per la prima volta negli occhi. Ai messaggi e-mail e alle pagine web, che nell'ultimo anno sono spuntate come funghi in tutto il continente, finalmente si associano volti, espressioni e storie.
Il primo sito, www.indymedia.org, che attualmente è anche quello che raccoglie i contributi da tutti gli altri omonimi, era nato a Seattle in contemporanea alle proteste contro il Wto. Ma da allora, all'appello "Don't hate the media. Become the media" ("non disprezzare i media, diventa tu stesso un media") hanno risposto da tutto il mondo. Nell'ultimo anno sono nati circa quaranta Imc (Independent media center), spesso in contemporanea con le tappe della protesta mondiale antiglobalizzazione, per poi evolversi, in molti casi, in veri e propri media nazionali con il tentativo di coprire anche altri eventi interni (Indymedia Italia era presente alle mobilitazioni antifasciste dello scorso inverno contro Forza Nuova, così come durante gli sgomberi di alcuni centri sociali).

Quello che distingue indymedia da tutti gli altri siti internet "alternativi" è prima di tutto una caratteristica tecnica: l'open publishing, ovvero la possibilità fornita a tutti di pubblicare, direttamente sul sito, testi, video o audio, e di commentarli. La scelta tecnica è ovviamente anche politica. Grazie ad essa infatti i siti di indymedia sono ovunque utilizzati come canali di comunicazione aperta a tutti i gruppi di base e ai singoli "media-attivisti". Il successo di questa forma di comunicazione è stato segnato soprattutto dalla pubblicazione di filmati durante le manifestazioni, quasi in contemporanea con lo svolgimento delle proteste. Immagini che spesso si sono trasformate in accuse contro le violenze delle forze dell'ordine.
Questa storia comune è stampata nelle menti di tutti i cinquanta media-attivisti che dopo un anno di lavoro comune si sono incontrati per la prima volta.
Il metodo dell'assemblea è quello "alla Seattle": tutti seduti in cerchio attorno a un grande tavolo, lingua accettata l'inglese e quattro o cinque gesti standard per chiedere la parola e mostrarsi favorevoli o contrari alle proposte. L'età dei "delegati" va dai 15 ai quarant'anni. Ci sono i creatori di indymedia Belgio, Germania, Italia, Olanda, Svezia, Gran Bretagna, Spagna (Barcellona), Francia, Austria, oltre a tre siti extraeuropei: Mali, Cile e Imc climate (unico sito legato ad un argomento invece che a un luogo geografico, gestito sempre dal gruppo olandese). Il nome del sito è più o meno lo stesso per tutti. Ma l'omonimia non basta, e infatti nei due giorni di conoscenza e discussione emergono storie e sensibilità politiche diverse.
A mettere d'accordo tutti sono le esigenze pratiche. Nei prossimi sei mesi in Europa ci saranno ben sei manifestazioni antiglobalizzazione. La più importante, però, è quella di Genova. All'appuntamento assicurano la loro presenza quasi tutte le delegazioni europee. Tutti, presenti e assenti, parteciperanno alla protesta tramite la rete: prima di tutto partecipando al netstrike contro il sito ufficiale del g8 e poi costruendo una rete di traduzioni che dovrebbe essere in grado, in poche ore, di trasmettere a tutti i siti di indymedia le notizie che verranno da Genova. Ai "colleghi" increduli gli italiani sono costretti a spiegare che "no, per ora nessuna manifestazione è stata autorizzata". "Sarà fondamentale comunicare con la città in tutti i modi possibili - sottolineano gli italiani - con questa blindatura solo i commercianti perderanno circa 30 miliardi di lire. Questo malcontento diffuso è un'arma da usare".

A preoccupare gli italiani è anche il rapporto con le reti televisive nazionali. La proposta, che riprende quella della comunità hacker (www.hackmeeting.org) è di vendere il materiale con una licenza Fdl (www.gnu.org/copyleft/fdl.html). In pratica i video rimangono pubblici e senza copyright e le tv che acquistano il diritto di trasmetterli sono obbligate a segnalare se il contenuto è stato rimontato. L'altra novità tecnica in preparazione è una specie di segreteria telefonica via web: sarà possibile registrare direttamente sul sito i messaggi vocali.
Infine preoccupa il rapporto con la polizia: "A Napoli, durante la mobilitazione contro l'Ocse, i poliziotti si sono accaniti contro i manifestanti dotati di telecamere - raccontano i creatori di indymedia Italia - sequestrando sia i video che le telecamere stesse. Questa volta arriveremo più preparati e tutelati: stiamo preparando un vademecum legale per tutti i media attivisti e abbiamo già contattato alcuni avvocati disposti ad aiutarci se i sequestri si dovessero ripetere". Genova è ancora lontana. Intanto, però, la comunità indy si prepara, anche in questo caso, mettendo a disposizione gli strumenti: a Bologna e a Roma sono già previsti dei work-shop di formazione (le informazioni sono sul sito http://italy.indymedia.org). Mini corsi pratici per diventare media attivisti in 24 ore.