Corriere della sera 9 luglio 2001
EDUCAZIONE E VIDEOGIOCHI PlayStation senza confini: in regalo ai ragazzini africani

John Gage è convinto di aver trovato una soluzione per ridurre il digital divide , quel fossato tecnologico che separa chi possiede un computer da chi non ce l'ha, chi naviga su Internet da chi non può neppure fare una telefonata. L’idea della task force , voluta dall’ingegner Gage e da un comitato del World Economic Forum di Davos, è quella di distribuire almeno 100 mila PlayStation 2 in scuole e case dell'Uganda, del Mali o del Ciad: «Sono potenti come computer, possiamo collegarle a satelliti e soprattutto sono facili da usare perché sono per ragazzi»». L’operazione benefico-umanitaria sarebbe l’ultimo passo di un destino globale che la Sony ha impresso fin dagli esordi nei microchip della sua console per videogiochi. Un prodotto considerato dagli adolescenti di tutto il mondo sinonimo di divertimento digitale e dagli avversari della globalizzazione come lo strumento più efficace per creare un solitariato planetario, una generazione di isolati e introversi schermodipendenti.
Sony inaugurò la sua strategia nel 1979 con il walkman: trasformare un marchio nel nome di un fenomeno sociale, lanciare mode e tendenze attraverso uno scatolotto elettronico, annacquarne la «giapponesità», con stratagemmi come vendere il walkman in Cile con appiccicata una bandierina nazionalista.
Allo stesso modo la PlayStation ha piazzato i suoi simboli (la «X», il triangolo, il quadrato, il cerchio stampati sui joypad che comandano i videogiochi) in oltre cento Paesi e qualcosa come 500 mila camere d’albergo. Sono stati venduti 80 milioni di console prima versione (nata nel 1994), mentre la «2» (lanciata in Giappone il 4 marzo del 2000) ha superato i 10 milioni. Una penetrazione che in primavera ha toccato anche il Medio Oriente, dove è stata distribuita tra l’altro in Egitto, Libano, Bahrein, Kuwait, Oman, Israele.
La Sony si è sempre considerata una compagnia globale. Il cofondatore Akio Morita sognava di creare poesie aiku con quella parola magica: «Preferisco dire globale - spiegava nelle interviste già all'inizio degli anni Ottanta - perché non amo la definizione di multinazionale... Se significa una società con molte nazionalità, allora non è Sony. Noi siamo globali». Fin dalla scelta del nome: voluto perché ricordava sonus latino e Sonny all’americana.
Ma producendo apparecchi elettronici, le aspirazioni planetarie possono passare anche da mosse strategiche come le pile. Il sociologo Paul Du Gay ha condotto una ricerca sulla storia del walkman e ha scoperto che chiavi del successo sono state la decisione di introdurre un sistema di garanzia internazionale e soprattutto la scelta di far funzionare i walkman con due pile, senza batteria per la ricarica: ovunque fossero stati acquistati, al duty free dell’aeroporto di Dubai o in un negozio a Honk Kong, avrebbero funzionato indipendentemente dal sistema elettrico.
Globalizzazione per la PlayStation significa invece avere 600 sviluppatori di videogiochi in tutto il mondo legati alla Sony Computer Entertainment. Sono loro che creano avventure digitali pensate per avere un successo internazionale, ma che devono essere capite, vissute e giocate in ogni piccolo paese o metropoli, dimostrando come glocal (globale-locale) sia davvero un termine che nasce negli anni Novanta tra gli uomini di marketing giapponesi.
Questi «effetti locali» della PlayStation hanno spinto i giornali americani ad accusarla di lesa maestà allo sport nazionale, il baseball, in calo di praticanti tra gli adolescenti (20% in meno rispetto al 1997): i ragazzini preferirebbero stare in casa davanti a uno schermo o, ancora peggio secondo i commentatori, avrebbero scoperto nuovi sport, importati nel loro immaginario attraverso i titoli dei videogiochi.
Ma nessuno dev’essersi stupito più dei responsabili del World Tibet Network quando il piccolo Pong Re Tulku Rinpoche, considerato una reincarnazione del Budda, dichiarò: «Di notte studio, di giorno gioco alla PlayStation».


Davide Frattini