Manifesto 26 giugno 2001 Attac,
la presa del potere narrativo
Petrella conclude l'assemblea: futuro
intollerabile, se in tre miliardi non avranno acqua
GUGLIELMO RAGOZZINO - INVIATO A BOLOGNA
Un applauso interminabile ha salutato il breve intervento tutto
politico, misurato, perfetto di Moni Ovadia che prometteva anche di aiutare il movimento Attac
appoggiandolo un po' con i suoi spettacoli teatrali. L'applauso non era però solo
ringraziamento per le eleganti parole, ma piuttosto una forma di risarcimento per una
piccola contestazione di una persona che aveva ottenuto solo di parlare per pochi minuti e
aveva da dire di più. E protestava per questo. Un caso classico, in un movimento nascente
che deve ancora trovare le sue regole, non ha dirigenti sovraesposti, non si è inventato
ritmo e modi di essere. Solo che la persona, Davide Colantoni, insisteva, perché, per una
volta, aveva davvero una cosa da dire, anzi due. La prima era un richiamo alla democrazia
interna, nell'assemblea e nel futuro movimento: perché io no e tu sì; un problema
che ogni movimento nascente si trova davanti e non risolve. La seconda era una sua idea
del golpe contro la sovranità del popolo che verrebbe tentato a Genova, scagliando quelle
forze di polizia che il popolo sovrano lo dovrebbero difendere, per impedire al popolo
sovrano di discutere e di decidere. E in una lettera aperta al capo dello stato, zeppa di
Montesquieu e di Annah Arendt, questi problemi (che mi sono stati raccontati nel lungo
treno di ritorno), saranno ripetuti. Se la lettera partirà, se Ciampi avrà modo di
leggerla, senza censure, sarà con noi a Genova, ma dalla nostra parte, non al pranzo di
gala.
Tutto questo discorso illustra un punto. La forza intellettuale di Attac Italia, i
saperi che possiede e può moltiplicare dando la parola a molte persone - saperi politici,
giuridici, tecnici, memoria storica, capacità evocativa, genialità di artista - sono
davvero straordinari. La pratica dell'autoistruzione, dell'imparare dal basso, facendo,
disegnata dai compagni francesi, qui può già diventare un fatto. E' notevole la volontà
di imparare, a partire da quell'assurdo %, simbolo del mercato e controsimbolo di
chi cerca di disconnetterlo.
Parlando da sopra la sua cravatta, l'unica dell'assemblea, e di cui era orgogliosissimo,
Riccardo Petrella ha tirato le conclusioni: "C'è allegria, nell'aria: dipende da una
voglia fantastica di cambiare il mondo". Una volta si diceva: io c'ero nel 68; ora si
dice: io c'ero a Porto Alegre. Se ci criminalizzano è perché anche loro sanno che c'è
qualcosa di nuovo nell'aria. Sanno che è cambiata la "narrazione" del mondo.
Dopo la loro vittoria, ai padroni del mondo è riuscito di impadronirsi dell'esclusività
narrativa: primato dell'individualismo, primato dell'individuo nell'impresa, primato
dell'impresa nel mercato, primato del capitale su tutto. Non è solo postfordismo, è il
"verbo", un vero e proprio "totalitarismo narrativo".
Glielo abbiamo fatto a pezzi. La loro narrazione si è dimostrata una favola ridicola. Il
sistema non è sostenibile; non c'è futuro per noi, per tutti gli umani.
L'intollerabilità del futuro è quella che si legge in quel %. E' intollerabile
"che noi qui siamo allegri, ma ci sono due miliardi di persone che vivono (per così
dire) con meno di 2 dollari al giorno. Pensate quanto grande è questa cifra: si mettono
vicine 42 milioni di assemblee come questa per fare tante persone". E' questo il
futuro? E' tollerabile che tante persone, 1,4 miliardi, non tocchino l'acqua pulita?
"Possiamo evitare che tra vent'anni non siano 3,5 miliardi". Però bisogna darsi
da fare, prendere ancora di più il controllo della narrazione.
Tra venti anni saremo otto miliardi nel mondo. Dobbiamo fare in modo che tra vent'anni
nessuno sia impedito di avere acqua pulita, alimenti, salute, educazione. Oppure vogliamo
rinunciare alla narrazione, accontentarci dei media abituali e tentare di mantenere lo
stesso mondo di adesso? Tra l'altro voi sapete, noi sappiamo che il 65% di quegli otto
miliardi è già nato. "Sappiamo il colore dei loro occhi".
E Petrella conclude lanciando una proposta: Attac Italia, in preparazione di
Rio+10, la riunione delle ong (45mila) che si terrà a Johannesburg nel 2003, può
inventare una tre giorni di "Università del bene comune". Può servire anche
questo, per i venti anni che ci rimangono. Nessuno si senta tagliato fuori, tutti possono
fare e dire la loro: le città, i sindacati (a questi, anzi "bisogna ridargli la
voglia di vivere").
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