Manifesto 5 luglio 2001 Prove
di repressione
GENOVA Fermato un collaboratore di Carta e del
manifesto
Controlli e perquisizioni La Digos a casa anche delle Tute bianche, alla ricerca di armi
ed esplosivi. E a Milano ad alcuni militanti dei centri sociali è stato vietato di andare
a Genova
AUGUSTO BOSCHI - GENOVA
Fermato perché aveva in mano una copia del Manifesto. Sembra
incredibile, ma è successo davvero, ieri pomeriggio in via Gramsci, quando un drappello
di agenti in borghese ha fermato Pulika Calzini, collaboratore di Carta e del Manifesto,
e Leyla Dakli, una ragazza francese a Genova per preparare le contromanifestazioni di
luglio. I poliziotti della questura di Roma sono entrati in azione quando la coppia stava
percorrendo via Gramsci diretta alla stazione Principe, da dove Pulika avrebbe dovuto
partire per la capitale: "Mi hanno chiesto i documenti e quindi mi hanno perquisito e
hanno aperto le valigie. Poi ci hanno diviso", racconta Pulika. Nella sua borsa, una
lista le cui voci insospettiscono gli uomini della Digos: 10 videocassette; protezioni
anti-idrante e idrorepellenti per la telecamera; maschera antigas. "Il mio lavoro è
fare video", dice Pulika, "e a Quebec City era impossibile per qualunque
giornalista o operatore avvicinarsi alle zone degli scontri senza protezione e senza
maschera antigas. E' normale che l'abbia messa nella lista". Ovviamente non viene
creduto. Dopo un interrogatorio viene parcheggiato in una volante in mezzo al piazzale
davanti alla stazione. Pulika resterà chiuso in macchina per tre ore. Quando lo portano
in questura, non gli fanno nemmeno un interrogatorio formale. Un'altra ora di attesa e
poi, come se niente fosse, il "può andare" senza nemmeno le scuse di rito.
La sorte di Leyla è diversa: i poliziotti si fanno accompagnare all'indirizzo dove la
ragazza dice di essere ospite. E' una casa in via san Donato, vicino a piazza delle Erbe,
in piena zona rossa. Arrivano davanti al portone: a vederli non sembrano poliziotti, ma
tutti hanno la pistola di ordinanza e una fascia nera sul polso sinistro, per farsi
riconoscere. Aspettano che arrivi uno degli occupanti della casa e quindi, quando entra
nel portone, lo seguono e tirano fuori le pistole. Entrano in casa in virtù dell'articolo
41 del testo unico della legge sulla pubblica sicurezza, che permette di invadere
un'abitazione senza mandato. E' sufficiente il sospetto di detenzione di armi ed
esplosivi. Li cercano nei cassetti, rivoltano i materassi, frugano nella memoria del
computer. Nella casa vivono e sono ospitati esponenti dei centri sociali e Tute bianche
che, in quel momento, sono al campo del Lagaccio per preparare il concerto dei 99 Posse e
mostrare alla stampa "l'arsenale pacifico" dell'invasione della zona rona rossa.
E questo si rivela un clamoroso autogol per la Digos, che non si aspetta la calata in
forze di telecamere, microfoni e giornalisti che entrano nell'appartamento e filmano tutto
per quella che è la prima perquisizione democratica e trasparente della storia. E infatti
sono confusi, non sanno più che fare, non riescono a bloccare l'andirivieni degli
operatori e alla fine abbandonano il campo. Prima, era arrivato un legale di fiducia.
Quello che aveva trovato non era incoraggiante: poliziotti che sequestravano volantini, un
agente della Digos che cercava di andare via con una cartella piena di documenti, un altro
che aveva acceso il computer e stava entrando nelle sue memorie. Il tutto mentre a Milano
è stata scelta la linea dura per non permettere la partecipazione al controvertice. In
pratica, ai militanti dei centri sociali con piccoli precedenti legati alla loro militanza
viene vietato di abbandonare il capoluogo lombardo per le prossime settimane. Vittime di
queste restrizioni sarebbero due esponenti di Ya Basta e Transiti, ma le
persone interessate sarebbero almeno una dozzina.
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