Manifesto 17 luglio 2001 Il
mondo visto dall'altra parte
Al Public Forum di Genova irrompono le analisi
e le storie dell'altra faccia della "globalizzazione". Parlano l'economista
Walden Bello e Marina Dos Santos, del movimento brasiliano dei Sem Terra
MARINA FORTI - GENOVA
Purtroppo, esordisce Susan George, "il mondo è in
vendita", o almeno il mondo disegnato da un capitalismo che non osserva regole se non
quelle che si disegna su misura. George è presidente dell'Osservatorio sulla
mondializzazione, vicepresidente di Attac, fin dai tardi anni '80 ha indicato il debito
dei paesi in via di sviluppo come il punto chiave dello squilibrio mondiale. Ieri, nella
palestra di una scuola elementare genovese, un po' in inglese un po' in un caparbio
italiano, era lei a coordinare uno dei primi dibattiti del Public Forum genovese. E' lei
che riassume l'agenda del multiforme movimento "anti-globalizzazione":
cancellare il debito che strozza il Sud del mondo, abolire i paradisi fiscali, introdurre
una tassa internazionale sui flussi di capitali - la Tobin Tax - e riformare le
istituzioni finanziarie internazionali e quella del commercio mondiale.
Il quadro analitico è delineato invece da Walden Bello, l'economista filippino che
insegna a Bangkok (Thailandia) e anima l'organizzazione Focus on the Global South: e
dipinge "un mondo altamente instabile". Bello parla delle molteplici crisi che
avvolgono l'ordine globale: crisi di legittimità di quel processo lanciato con grande
enfasi ideologica una decina d'anni fa, quando è crollato il blocco sovietico e
l'economia guidata dai mercati sembrava trionfante - oggi è perlomeno chiaro che la
promessa di diffondere benessere e vincere la povertà non è stata mantenuta, al
contrario le diseguaglianze sono sempre più acute. Quindi, la crisi di legittimazione
delle istituzioni finanziarie che hanno accentrato quasi ogni potere di gestione
dell'economia globale: il Fondo monetario internazionale, la Banca mondiale, e da ultimo
l'Organizzazione mondiale del commercio (Wto). A questo si aggiunga la crisi dell'ordine
politico multilaterale: l'unilateralismo a oltranza inaugurato dal presidente degli Stati
uniti Gerge W. Bush ne è il segno, "pensate al modo come ha abbandonato il
Protocollo di Kyoto, cioè un accordo internazionale su cui il consenso minimo era stato
trovato". E poi la crisi delle alleanze militari - il progetto di difesa missilistica
che provoca attrito tra Washington e il resto del mondo, compresi gli alleati europei. E
la crisi delle "democrazie di èlite", che producono in realtà esclusione.
Ancora: la crisi strutturale di un sistema capitalista che produce troppo - "viviamo
in un mondo pieno di oggetti, di manufatti, si produce troppo di tutto" - e che si è
avvitato nella speculazione finanziaria, salvo poi veder scoppiare le bolle speculative
una dopo l'altra. La crisi, infine, di "un capitalismo che trasforma ogni risorsa in
un prodotto in vendita", provocando crisi ambientali, modificando il clima.
Crisi sotto gli occhi di tutti. Ma ignorate dai potenti che stanno per riunirsi in questa
città trasformata in fortino (si atterra su una pista d'aereoporto dove sono schierate le
batterie contraeree...). "Hanno paura che la crisi di legittimità si trasformi in
crisi di egemonia. Per questo non sentono ragioni, e dipingono i movimenti di critica come
violenti, o nel migliore dei casi come giovani ingenui che se la prendono con l'obiettivo
sbagliato".
Ma il Public Forum ha l'ambizione di andare ben oltre la protesta e la critica. Ha la
pretesa di delineare alternative, e i richiami al Forum sociale mondiale riunitosi
all'inizio di quest'anno a Porto Alegre, in Brasile, sono inevitabili. Di battaglie
difficili, ma anche di alternative, ha parlato qui proprio una brasiliana, Lucia Marina
Dos Santos, che rappresenta il Movimento dei Sem Terra. Quanto a diseguaglianze, fa
notare, il Brasile è un esempio mondiale: si pensi ai suoi 50 milioni di miserabili che
vivono con meno di 40 dollari al mese. O alla concentrazione della terra: l'1% dei
proprietari possiede il 46% della terra coltivabile. Così negli anni '70 è nato il
movimento dei senza terra: Marina Dos Santos ha parlato di occupazioni dei latifondi, di
lotte per la riforma agraria, di vere e proprie guerre con una polizia che sa da che parte
schierarsi - come quando, il 17 aprile del '96, a Eldorado dos Carajas nello stato di
Parà, la polizia ha sparato su una marcia di contadini e ne ha deliberatamente uccisi 19:
a tutt'oggi i responsabili non sono stati condannati. Ma la Dos Santos parla anche e
soprattutto di battaglie vinte (nel paese ci sono 4,8 milioni di famiglie di lavoratori
rurali senza terra, e 300 mila che hanno ottenuto terra attraverso la lotta; circa 1.800
latifondi improduttivi ora danno cibo). E non solo per la terra: cita i 120 mila bambini
istruiti nelle scuole conquistate dal movimento per le comunità (asentamientos) di
contadini che hanno ottenuto la terra, e del lavoro per formare insegnanti, agronomi, un
primo gruppo di laureati in pedagogia... "I nostri obiettivi sono la riforma agraria,
l'istruzione, la salute, ma non li otterremo in un sistema che mette il profitto al primo
posto, produce miseria nelle campagne, emigrazione verso le città, favelas urbane. Per
questo siamo qui". Questo è il tenore del dibattito, al Public Forum di Genova.
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