Corriere della sera 16 luglio 2001
G8: rottura tra i contestatori, Cobas all’attacco

Foglio di via per tre anni a cinque rappresentanti di un centro sociale torinese

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
GENOVA - La giornata difficile degli anti-G8 inizia alle undici del mattino al casello di Genova Est con una Fiat Punto fermata per un controllo, e finisce a notte fonda con una riunione dove Genoa Social Forum e i Cobas del «Network per i diritti globali» cercano di rattoppare per l’ultima volta una convivenza sempre più spinosa.
Dentro alla Punto ci sono cinque militanti. Ragazzi, tra i ventuno e ventotto anni di età, del centro sociale «Askatasuna» di Torino, aderenti al «Network». Duecento metri dopo la barriera, vengono fermati dalla polizia. Nel bagagliaio ci sono una mazza di legno lunga un metro, due taglierini («Sono un giardiniere», si giustifica il ragazzo al volante), uno striscione, volantini anti-G8.
Macchina sequestrata, passeggeri in questura. La notizia arriva alla scuola elementare Diaz, un palazzo di tre piani che per una settimana sarà il cuore del Gsf, centrale di smistamento di attivisti e volontari che stanno arrivando da tutto il mondo (1.500 solo ieri). Passa mezz’ora, e le agenzie di stampa fanno il bilancio dei controlli alle frontiere. Quaranta militanti rispediti al mittente a Ventimiglia, quasi altrettanti a Chiasso. Sale il nervosismo.
Dovrebbe essere la giornata di presentazione del Public Forum, le sessioni che affrontano «dall’altra parte» i grandi temi dell’agenda del G8. Quando attaccano a parlare i Cobas del «Network per i diritti globali», si capisce che non è il momento dei dibattiti culturali. Entrano loro, esce Vittorio Agnoletto, portavoce del Gsf. Parole e pensieri pesanti, per tutti. Luciano Muhlbauer, 38 anni, milanese, Rsu alla Regione Lombardia, ribadisce: «Rispetteremo gli abitanti di questa città, e le loro case. Non le agenzie di lavoro interinale, non le sedi delle multinazionali. A Genova ci sono molti obiettivi che non meritano il nostro rispetto». E’ una conferenza stampa sudata e cupa. «Sarà guerra, ma non l’abbiamo dichiarata noi». L’affondo tocca a Piero Bernocchi, 54 anni, romano, portavoce dei Cobas scuola: «Il Genoa Social Forum deve dire che non è assolutamente pensabile accettare la chiusura della stazione di Brignole, perché questa decisione è un coltello piantato nel cuore del movimento». Le sue parole diventano una lama che taglia in due il fronte anti-G8. «Con la chiusura della stazione vogliono impedire l’arrivo dei manifestanti bloccando Genova. Allora noi bloccheremo il resto del Paese». I Cobas annunciano l’intenzione di fermare i treni nelle grandi città, e di assediare Ventimiglia, «frontiera vulnerabile».
Il «Network per i diritti globali» è il coagulo delle rappresentanze sindacali di base e dei centri sociali dell’ex «blocco blu», quelli meno «allineati». Contano di portare a Genova trentamila persone. Lavoratori, sindacalisti poco disposti alla trattativa. Scottati dagli scontri del 17 marzo a Napoli, manifestazione anti-globalizzazione. Chiedono - e non da oggi - che il Gsf si schieri. «Noi abbiamo dimostrato di accettare "compromessi" con le altre anime del movimento. Adesso vogliamo un segnale nella nostra direzione».
Alle 14 inizia il Dan (Direct Action Network), la riunione operativa delle varie associazioni del Gsf. Va avanti per più di dieci ore. Dall’aula al secondo piano della scuola escono urla e facce stravolte. Il Network parla di «azione diretta» per sabato 21, il giorno del grande corteo. Significa sfondare la zona rossa, o almeno provarci. Agnoletto non ci sta, vuole il rispetto di una linea di condotta comune. Il Network propone di bloccare «i treni dei ricchi» per oggi e domani. Azioni mirate per impedire le partenze di Pendolino ed Eurostar in varie città. Agnoletto frena, sa bene che non può permetterselo, rischia la delegittimazione del Gsf. Il «Network» va avanti per la sua strada, domani sarà nelle stazioni, con o senza il resto del Gsf. Quasi una rottura.
Alle 17 arriva la notizia che i militanti torinesi escono dalla questura con in tasca un foglio di via di tre anni. I computer del Viminale hanno tirato fuori i loro precedenti (oltraggio, resistenza, violenza a pubblico ufficiale, danneggiamento, furto), il questore ha pensato che mazze e taglierini potessero servire «per la commissione di ulteriori reati». Una ventina di militanti discutono se fare un salto alla stazione, per appendere striscioni e fermare qualche convoglio. Vincono i contrari. Il Network convoca una nuova conferenza stampa, nella quale sostiene che gli attivisti dovevano soltanto portare alla scuola Diaz uno striscione con una frase di Shakespeare: «Viviamo per calpestare i re».
I cinque militanti di Askatasuna si fanno vedere alla scuola: «Noi a Genova ci saremo lo stesso», dicono. Al piano di sopra intanto continuano a discutere. Brutta giornata.
Marco Imarisio