Manifesto 18 luglio 2001

Passo doppio della Cgil
ZIPPONI Dopo il no al 21: "Ma saremo tanti, giovani, metal-globali"
CARLA CASALINI

Un esito stupefacente, alla luce dei fatti, ciò che è avvenuto ieri al vertice della Cgil, nel voto del direttivo nazionale sul G8. I fatti sono i pullman, i treni, già strapieni, l'organizzazione capillare della Fiom per la partecipazione alla manifestazione del 21 a Genova contro il G8. Una partecipazione cui si preparano anche altre categorie sindacali, e tante Camere del lavoro, e strutture regionali della Cgil. L'esito stupefacente è che, nonostante questo, il direttivo nazionale ha respinto un ordine del giorno perché chiedeva alla Cgil di proporre, nella riunione dei sindacati internazionali che si tiene a Genova oggi e domani, di "partecipare, sulla base della dichiarazione comune già elaborata, alla manifestazione del 21"; e in ogni caso chiedeva che vi partecipasse la Cgil, "sulla base delle proprie autonome posizioni", e invitando "i lavoratori e i propri iscritti alla massima partecipazione". Il voto segue una dichiarazione di Sergio Cofferati dell'altroieri, per la verità piuttosto contraddittoria: a proposito della partecipazione di tante strutture Cgil alla manifestazione del 21 contro il G8, infatti, Cofferati rilevava la "legittimità di questa scelta", sottolineava che essa si muove "sostanzialmente sulla base di orientamenti della Cgil", e però la giudicava "non efficace", in quanto il giorno 21 "saranno in campo tante opinioni diverse....".
Non male per un sindacato che si è appena trovato in casa di fronte alle manifestazioni piene di giovani dello sciopero indetto dalla Fiom il 6 luglio, contro l'accordo separato della Confindustria con Fim e Uilm. E' in corso nelle fabbriche la raccolta di firme per un referendum sul contratto e sulla democrazia, e questo chiedevano quei giovani: confronto aperto, libertà, diritto di decidere loro. Dei "nuovi metalmeccanici" e del sindacato italiano, del rapporto in forme e contenuti fra questo movimento e quello che riunisce a Genova il Social forum contro il G8, parliamo con Maurizio Zipponi. Dirigente della Fiom (segreteria lombarda) e protagonista della sinistra sindacale Cgil "Cambiare rotta-Lavorosocietà", che entrambe aderirono a Porto Alegre, è dunque a doppio titolo già dentro il Global social forum.

Partendo da casa nostra, dunque neppure questi "nuovi metalmeccanici" riescono a scuotere a fondo la Cgil, ancora timorosa di ritrovarsi tra "opinioni diverse"? E l'apertura a nuove forme di democrazia che i giovani chiedono, riuscirà a scomporre le cristallizzazioni burocratiche, da cui non mi pare esente neppure la Sinistra Cgil?

La grande novità del 6 luglio, è che appare sulla scena del conflitto sociale un soggetto che mette in campo un altro punto di vista. Questo sciopero chiude una fase, quella della prima repubblica del sindacato, quando si sedevano in tre, sindacati, imprenditori e governo, a decidere "concertando"; liquida la politica dei redditi, perché dimostra che un solo reddito è stato ridotto, gli altri sono cresciuti enormemente. E dentro il movimento dei metalmeccanici accade, appunto, come hai scritto tu, che c'è "una passaggio di testimone" esplicito tra le generazioni che hanno resistito alle ristrutturazioni degli anni '80 e la nuova generazione dei giovani metalmeccanici. Avviene che la riuscita dello sciopero e della manifestazione è dettata sì dalla ragione del contratto ma, in modo clamaroso, dalla compressione della condizione di lavoro: è un atto di libertà dei giovani che dicono, nei modi di comunicazione che trovano, non ne possiamo più. E insieme chiedono non solo di partecipare, ma anche di decidere loro su di sè, "meno delega, più democrazia".
Questo ha permesso alla Fiom di decidere la raccolta di firme per il referendum sul contratto, che resta aperto, fino anche a una manifestazione nazionale a Roma. Però è vero che di questo "cambio di fase" l'insieme della burocrazia sindacale italiana non ha preso atto. E la sinistra sindacale, che ne ha avuto invece anticipatamente l'intuizione, deve evitare di chiudersi in un recinto, e ragionare su come possiamo inventare forme del 'fare sindacato' che non siano le stesse che oggi sono in crisi

Non credo molto all'autoriforma dei soggetti, senza pratiche che intervengano da 'fuori'. Chi inventa le nuove forme?

Io dico "inventare" proprio perché parlo di un mio limite. Ma se guardo sia al movimento delle donne, sia ai movimenti e associazioni che hanno organizzato Seattle, e oggi Genova - una fortissima piattaforma piena di contenuti, di diversità enormi, ma che insieme riescono a realizzare l'effetto clamoroso di essere gli interlocutori dei potenti del mondo - io vedo bene che lì c'è anche un modo per stare insieme 'diversi come siamo' ma avendo individuato sia l'avversario - ad esempio il pensiero unico dell'impresa - ma soprattutto contenuti di proposta. Sempre più, come per i giovani metalmeccanici, c'è la necessità di dire "io faccio una cosa per", quindi ho una piattaforma, un'idea, un modo di relazione, un luogo dove andare; certo, so che dire "per" implica anche che sono "contro" altro, ma intanto dò un valore inestimabile alla mia azione. Le forme, dunque, e vedo anche già un contatto, una 'contaminazione', che deve radicarsi, con i movimenti antiglobalizzazione.

Attrazione di forme, dunque, con i movimenti antiglobalizzazione. E quale contaminazione? Di contenuti, di pratiche? Giacché si tratta di molte organizzazioni che, fuori dal giorno di Seattle, di Genova, agiscono nella quotidianità producendo proposte, conflitto, relazioni, con soggetti concreti...

Intanto nei contenuti. Perché quando un sindacato parla di condizioni di lavoro, di orari, tempi, subito è chiamato a dire che cosa si fa, cosa si produce, a che scopo, e con quali conseguenze sulla vita di chi produce e di chi subisce gli effetti della produzione delle merci così com'è. Ossia viene posto il problema della 'finalità'. Questo vale sulla scena "globale", così come sulla scena "locale", nazionale: per le diseguaglianze tra i nord e i sud del mondo e dentro ciascuna area; per la distruzione di vita, esperienza, sapere, dignità di lavoro, libertà, macinate nei luoghi spezzati dalla produzione globalizzata.
E per le pratiche, qui e ora, per la Fiom, io penso che debba aprire luoghi liberi. In tutte le fabbriche dove è presente, nel quartiere, nel territorio. Non bastano le Rsu che si riuniscono una volta al mese con l'azienda, ecc., si deve poter dire ci si vede quella sera lì, iscritti o non iscritti, per parlare ciascuno di ciò che gli accade: turni, carichi di lavoro, la precarietà che i giovani denunciano "tutta addosso a noi", il capetto "che l'altro giorno mi ha fatto...", perché il peso della gerarchia oggi è sempre più forte, a conculcare libertà personali.