La Repubblica 18 luglio 2001

Bush, i comandamenti
della nuova globalizzazione

"Chi protesta a Genova è il vero nemico dei poveri"

VITTORIO ZUCCONI


washington - «I veri nemici dei poveri nel mondo siete voi, i dimostranti di Genova contro la globalizzazione». Non ci sono state tardive conversioni "buoniste" sulla scaletta dell'Air Force One già in volo per l'Europa, non c'è tremebonda ipocrisia di «dialogo» nell'ultimo messaggio solenne che George Bush fa arrivare a una Genova che attende accovacciata nelle trincee il suo arrivo. Ci sono soltanto le tavole della legge secondo l'America. «Voi che volete impedire i nostri incontri, voi siete quelli che condannano i poveri alla povertà. I manifestanti anti globalizzazione vogliono salvare dalla possibilità di sviluppo il mondo sottosviluppato».
E' stato il «manifesto per Genova», il discorso pubblico definitivo prima dell'arrivo in Italia via Londra, venerdì a mezzogiorno. All'ospite italiano Silvio Berlusconi, Bush ha fatto sapere che lo trova «affascinante, ha avuto successo negli affari e porta una prospettiva interessante nell'arena politica. Anch'io sono stato un uomo d'affari, ho diretto una squadra di baseball. Ma Berlusconi è stato più importante di me negli affari». E quanto all'Italia, «abbiamo relazioni speciali per ragioni commerciali, culturali e di sicurezza». A Roma vedrà anche Wojtyla, con il quale «ci saranno differenze di vedute», per esempio sulla pena di morte. Ma «ho un'altissima opinione del Papa che ha contribuito a riportare la libertà nell'Europa dell'est».
L'uomo che nella campagna elettorale si era dipinto come il grande unificatore ci chiarisce quale sia l'anima del suo «conservatorismo compassionevole», un'anima massimalista e ideologica. «Dovete camminare al nostro fianco, ma per essere al nostro fianco dovete abbracciare il mercato e rinunciare al nepotismo e alla corruzione», dice senza spiegare a chi si riferisca: alla Russia di Eltsin e ora di Putin? All'Italia di Mani Pulite e dei processi per corruzione? Alla Francia che rabbrividisce nel caso Chirac? O parla a se stesso, Presidente americano figlio di un Presidente americano, che ha appena nominato il figlio del giudice che gli ha assegnato la Casa Bianca, Nino Scalia, presidente dell'authority federale sulle comunicazioni, e ha una squadra di governo formata interamente di vecchi cronies, di vecchi amici del padre?
Ma questo è il classico paradosso delle presidenze Usa: tanto più politicamente debole è un Presidente in casa propria quanto più dura sarà la maschera che presenterà al resto del mondo. Il «manifesto di George Bush II» è ammirevole per la chiarezza brutale di chi lo ha scritto perché lui lo leggesse in diretta televisiva globale, nella sede della Banca mondiale. Bush aveva assunto per l'occasione quell'espressione aggrondata che indossa quando dismette i panni del good old boy texano e vuol fare sul serio. E sul serio va preso, perché, dalla rinuncia al trattato di Kyoto alla marcia verso le armi spaziali, questa amministrazione americana ha scelto l'unilateralismo, il diktat imposto agli altri e poi presentato come «compromesso negoziato» a chi lo vuole accettare a posteriori e chiamare poi «accordo».
Per renderlo più chiaro, ha diviso il suo ordine di marcia per gli altri Sette in tre capitoli.
Il primo comandamento è il classico «pace e prosperità per il mondo» che si traduce nella «sua nuova dottrina strategica», versione tecnomilitare del Nuovo ordine mondiale che il padre George I tentò invano di costruire con la diplomazia. «La pace è fondata sulla stabilità globale dopo la Guerra Fredda e la stabilità è minacciata dal ciberterrorismo, dalle armi di distruzione di massa, da terroristi disposti a tutto e noi non lo permetteremo mai». Ma per garantire la «pace e la prosperità» neppure le difese spaziali bastano. Occorre seguire la ricetta politica e amministrativa delle destre, la ricetta Bush: «Crescita produttiva e riduzione delle tasse mantenendo i conti pubblici in equilibrio». Insomma meno spese pubbliche e più mercato «globale». «Il mondo ha bisogno di un nuovo Sistema Mondiale di Commerci, libero e aperto» dice. La sua fede nel potere del mercato è inflessibile. Lo ascoltino i manifestanti di Genova, se si illudono che dal G8 possa uscire una moderazione delle ragioni di scambio mondiali che resista lunedì, quando la paura sarà passata.
Il «secondo punto» è dunque la fede assoluta nel mercato. «Il potere del mercato è al servizio dei bisogni dei popoli. Il problema non sta nel troppo accesso ai mercati, ma nel troppo poco, perché il libero scambio commerciale incoraggia e crea l'abitudine della libertà. Coloro che ci aspettano per manifestare contro il progresso, per impedire i nostri incontri a Genova, per protestare contro il libero scambio sono i nemici dei poveri del mondo. Ci occuperemo anche delle loro preoccupazioni, ma il nostro dovere è respingere il protezionismo che condanna i poveri alla povertà. Quelli che scenderanno in piazza contro il commercio mondiale vogliono salvare dallo sviluppo il mondo sottosviluppato».
Soltanto nel terzo capitolo il Presidente concede qualche buona parola e qualche iniziativa cosmetica a quello che lui ha chiamato il problema della «sanità, malattie, analfabetismo e indebitamento». E, di nuovo, la formula che offre è lo slogan della sua campagna elettorale, quello del «conservatore compassionevole», finora molto più conservatore che compassionevole.
«Dobbiamo combattere l'analfabetismo su scala mondiale, mettere le nazioni sottosviluppate in condizione di aprire i loro mercati e di competere, perché questo vuol dire essere conservatori compassionevoli». E non dimentica neppure il peso dei debiti: «Sollevare dal debito le nazioni in via di sviluppo è una soluzione a breve termine, un palliativo. Per sfamare gli 800 milioni di persone e i 300 milioni di bambini che non hanno abbastanza per nutrirsi, la soluzione è nell'uso delle biotecnologia che promettono incrementi di produzione alimentare», dunque quegli organismi geneticamente manipolati che tanta resistenza hanno incontrato in Europa e cominciano a incontrare negli Usa.
Quanto all'Aids e alle epidemie «noi americani stanziamo un miliardo di dollari all'anno (2.300 miliardi di lire) per l'Aids e le altre epidemie, è il doppio di quanto stanzia la seconda nazione più generosa». E la risposta ha il tono di chi dice agli altri, non venite a rimproverare noi americani.
Non c'è un solo cenno a possibilità di compromesso e di discussione che non avvengano alle condizioni imposte da Washington. Non c'è altro che l'accettazione dell'ideologia della sua nuova Destra che sa di non avere più temibili oppositori e concorrenti e dunque detta le condizioni. L'Europa, la Russia, gli interlocutori degli Stati Uniti cominciano a conoscere chi sia il vero George Bush, dietro le parole accomodanti che ripeterà a Genova per non imbarazzare troppo gli altri commensali. Un leader debole in casa propria che mostra al mondo il volto di un'autorità morale e politica che ancora non possiede.