Corriere della sera 16 luglio 2001 L’INTERVENTO
Il ritiro del consenso
scuoterà le élite del Nord
di WALDEN BELLO*
Genova è un nome che si
associa alla comparsa del capitalismo in Europa sei secoli fa. Oggi Genova può diventare
anche il simbolo della crisi della globalizzazione spinta dalle grandi corporation. L’assedio
che migliaia di contestatori stanno organizzando in questa città è diventato
emblematico. Il confronto fra G8 e contestatori avviene in un momento in cui l’unità
del Gruppo è messa alla prova. L’essenza del G8 dovrebbe essere il multilateralismo,
mentre sotto l’amministrazione di George W. Bush gli Stati Uniti, primus inter
pares dell’organismo, hanno imboccato una strada unilaterale che li ha portati a
uno scontro con gli altri Paesi membri sulle questioni del cambiamento climatico, della
difesa missilistica e della riconciliazione fra le due Coree.
Anche la reputazione del G8 è a un livello basso nel mondo sviluppato, che l’ha
sempre guardato con enorme sospetto. Negli ultimi anni, sotto la leadership ideologica di
Bill Clinton e di Tony Blair, l’organizzazione ha cercato di darsi un’immagine
più liberale e militante, inglobando la Russia ex socialista, promettendo la riduzione
del debito per i Paesi del Terzo Mondo e parlando di proposte per una nuova «architettura
finanziaria internazionale» che regolerebbe i destabilizzanti flussi di capitale globali.
In termini di azioni concrete, queste iniziative hanno dato pochi risultati. La più
importante iniziativa riformatrice del G8, per alleggerire gli interessi sul debito estero
dei quarantuno Paesi poveri a più alto indebitamento, ha in realtà ridotto il pagamento
degli interessi di non oltre il tre per cento negli ultimi cinque anni!
Il G8 avrebbe anche dovuto essere la forza motrice di una riforma delle strutture
decisionali delle istituzioni multilaterali. Invece, il discorso sulla democratizzazione
dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) si è chiuso con la dichiarazione
del suo direttore generale, Mike Moore, che ha definito «non negoziabile» il sistema di
«consenso» poco trasparente che nel 1998 a Seattle ha scatenato la rivolta. Il G8 è
nato per coordinare le politiche macroeconomiche dei Paesi ricchi, in modo da impedire la
Scilla e Cariddi dell’inflazione da una parte e della stagnazione dall’altra.
Negli ultimi anni gli sforzi per sincronizzare le iniziative fiscali e monetarie si sono
dimostrati elusivi. Il motivo per cui il rallentamento economico sembra non rispondere ai
meccanismi fiscali e monetari ortodossi, anche quando sono coordinati fra un Paese e l’altro,
è che per qualche tempo gli squilibri strutturali si sono andati accumulando.
Spingere gli investimenti verso attività speculative è stata un’altra via per
evitare la resa dei conti della redditività nell’industria. È emerso così il
complesso Wall Street-Silicon Valley che negli anni Novanta ha guidato l’economia
statunitense e l’economia globale.
Poi, a fine anni ’90, la legge di gravità ha ripreso quota sul settore speculativo,
cancellando 4,6 trilioni di dollari di patrimonio degli investitori a Wall Street, una
somma che, come ha fatto osservare Business Week , è pari alla metà del prodotto
interno lordo degli Stati Uniti.
Affrontare l’acuirsi della crisi strutturale dell’economia globale sarebbe una
sfida sufficiente per il G8. Ciò che rende l’attuale congiuntura così volatile dal
punto di vista delle élite del Nord è il fatto che questa crisi strutturale si
intersechi con una legittimità del sistema del capitalismo globale che si sta
sfilacciando.
Negli ultimi due anni i rancori accumulati di fronte alla povertà sono esplosi in una
ricorrente ondata di proteste che sembra acquistare slancio da una dimostrazione all’altra.
Seattle, Washington, Chiang Mai, Melbourne, Praga, Davos, Porto Alegre, Québec,
Göteborg: in tutti questi luoghi si è svolta una lotta strenua, a prova del fatto che,
come ha osservato l’importante economista pro globalizzazione C. Fred Bergsten, «le
forze anti globalizzazione sono in fase ascendente».
Genova è la prossima fermata dell’espresso anti gobalizzazione. È possibile che
la città si trasformi nell’esempio più eclatante di quel «ritiro del consenso»
che sta scuotendo nel profondo il sistema del capitalismo globale.
Ips
*Walden Bello è direttore esecutivo del Focus on the Global South, un istituto di analisi
e intervento sulle politiche con sede a Bangkok, e insegna sociologia e pubblica
amministrazione all’Università delle Filippine
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