La Repubblica 19 luglio 2001 Quel
coraggio
della non violenza
Se la scelta più coraggiosa
è quella della non violenza
di ADRIANO SOFRI
CHISSÀ da dove viene quel modo di dire: ci scappa il morto. Scappano i vivi, il morto
resta lì. A Genova, la questione della violenza è complicata fin dal lessico, perché le
parti sembrano usare parole impegnative come violenza e non-violenza in un modo un po'
avventato. A costo di una brutalità, preferisco chiedere: e se ci scappasse il morto?
Sapete infatti che per un movimento -e non c'è dubbio che questo sui diritti globali è
un movimento nuovo e vasto - il morto segna un vero spartiacque fra il prima e il dopo.
IL MORTO ci può scappare, e può essere un manifestante, un poliziotto, o uno che passava
di là. Uno di cui si saprà il nome, e quel nome peserà. La critica dell'invadenza del
logo è acuta, e tuttavia nemmeno il movimento fa a meno dei suoi logo. Nella pratica il
messaggio continua a giustificare il medium. La rete Liliput, i centri sociali più
arrabbiati, Amnesty International, la Lega antivivisezione, hanno le loro firme e i loro
marchi. Hanno anche i loro slogan. Slogan e logo sono parenti stretti. Non è un caso che
tanti, dopo esser stati rivoluzionari, siano diventati pubblicitari creativi di
professione. La pubblicità per la buona causa condivide con quella commerciale questi
ingredienti: logo, slogan, e, terzo ma non ultimo, una faccia e un nome di persona. A
volte la confusione si fa madornale. Se dovessi suggerire un testimonial ai ragazzi di
Genova, sceglierei quello smilzo giovane cinese che fermò la colonna di carri armati
sulla Tienanmen, le ballò davanti come un solista inerme, e poi scomparve per sempre:
ammazzato, pare. Ora quella memorabile scena è entrata nello spot televisivo della
Swatch: senza pagare neanche i diritti, immagino. Che diritti volete che avesse, quello
studente scomparso. Ai ragazzi può toccare di stamparsi sulle magliette l'effigie del
loro primo caduto. Finisce la festa, le facce si fanno serie, i pensieri diventano
spaventati e cattivi. Quando succede, è come se prima si fosse scherzato, e poi non si
possa più scherzare. E' anche per questo che non ci si può baloccare con l'idea che sia
così facile distinguere una "frangia di cattivi" da una "maggioranza di
buoni": perché dapprincipio buoni e cattivi sono molto vicini, e sul punto di
rompere le righe e confondersi. Di più: non crediate che i cosiddetti violenti siano i
peggiori. Non lo sono, non all'inizio, almeno. Nemmeno credano, i cosiddetti violenti, di
essere i migliori. I violenti possono essere ispirati dal teppismo che agita tutte le
epoche, e questa più vivacemente, sicché diventa sempre più temerario tenere un vertice
della Banca Mondiale o una finale di Coppa o un concerto rock senza stato d'assedio,
feriti e vandalismi. Spesso però sono animati dallo sdegno e dal cimento del coraggio:
una ragazza o un ragazzo non cominciano dall'interrogarsi sulla disponibilità a darle, ma
a prenderle. La giustificazione è là, enorme: l'ingiustizia della terra, e l'evidenza
dei suoi beneficiari. Anche la ragazza e il ragazzo se ne scoprono complici: ma solo fino
al momento in cui rompono e passano dall'altra parte. Agli adulti direi: guardatevi dal
rassicurarvi con le indagini secondo cui ai ragazzi importa solo il successo, coi sondaggi
per cui mettono al primo posto il denaro, al secondo la carriera, al terzo la prestanza
fisica, al quarto il Papa, al quinto i carabinieri, la famiglia e la magistratura. Balle:
basta una mattina a mandare tutto all'aria. Nemmeno i ragazzi lo sanno. Hanno appena
risposto, sinceramente, al sondaggio -denaro, telefonini, grandefratello ecc. - e vengono
afferrati da un'onda che li mette giù su una barricata di strada, e d'un tratto si
trovano a compiere gesti inimmaginati fino a un momento fa. Hanno di fronte una polizia
che carica, hanno accanto altri ragazzi, qualcuno lo hanno visto allo stadio, o in
discoteca, hanno davanti un sampietrino: basta raccoglierlo e tirarlo. Il ragazzo lo tira
-non l'ha mai fatto, è la sua prima pietra, in fondo è un suo diritto evangelico... - e
dall'altra parte uno spaventato senza faccia spara e gli trapassa fegato e rene. Il
ragazzo torna indietro colpito, ballonzolando, forse scherza, non sa ancora fino a che
punto è andato il gioco. Uno di Göteborg. Il ragazzo di Göteborg non è morto, né è
stato comunicato fin qui il suo nome. Se fosse successo, il suo nome sarebbe diventato
sacro a stuoli di ragazzi di mezzo mondo, e li avrebbe presi in ostaggio con un vincolo
più forte di qualunque ideologia. Il primo morto non si dimentica. Ci si sente in colpa
per lui, lo si invidia. Io sono qui, e ho in mente il nome del ragazzo tedesco, Benno
Ohnesorg, che fu ammazzato in una manifestazione berlinese contro lo Scià di Persia,
studenti ed esuli iraniani insieme, e c'era anche lì la polizia a cavallo, come nella
spaesata Göteborg, e il '68 era di là da venire. La notizia dell'ingiustizia arriva ai
ragazzi e li scuote come la notizia di un disastro: bisogna correre, ammucchiare sacchetti
sull'argine, gettare funi ai naufraghi, paracadutare cibo e medicine ai soccombenti. Gli
adulti dicono, magari in buonafede, ai ragazzi: anche noi sappiamo, anche noi vogliamo
fare. Ma non è vero. Non lo sanno allo stesso modo, non vogliono fare davvero. Non si
svegliano di notte per una telefonata d'emergenza, dalla Casa Bianca al Cremlino, per
comunicarsi con parole roventi che l'Africa muore, che l'Amazzonia brucia, che il cielo
soffoca, che bisogna fare subito qualcosa... Naturalmente, i grandi, e perfino i Grandi,
hanno molte ragioni dalla loro, oltre che la grettezza, l'egoismo e le arterie ispessite.
Sanno che l'ingiustizia del mondo si è accumulata così a lungo e così complicatamente
che prenderla d'assalto rischia di moltiplicare il disastro. Sanno che la loro potenza è
grandiosa, e la portano all'occhiello, ma che la capacità effettiva di governare il mondo
e anche solo di ripararlo qua e là è infima: e si sono persuasi che l'inerzia sia meno
arrischiata che l'iniziativa. Tanto, finché dura, sono gli altri a soccombere: africani,
e foresta pluviale, e il cielo -neanche il cielo è di tutti. I ragazzi, al contrario,
ricevono quella notizia, e corrono a fare qualcosa: se non altro, a tirare la loro pietra.
I ragazzi non sanno ancora che l'inerzia dell'ingiustizia accumulata è troppo forte per
esser presa d'assalto frontale, e non se ne convinceranno certo se qualcuno prova a
spiegarglielo. Hanno ragione di dubitarne, della spiegazione e dello spiegatore. Allora,
rinunciare? No, certo. Ma per esempio, quando si dissuade dalla tentazione della violenza
(di ammirare la violenza, prima ancora che di attuarla) si trovino argomenti che esigono
un di più di coraggio e di dedizione, non un di meno. La non violenza non è più
ordinaria, o più pavida, più "facile": al contrario. La violenza trovò tante
ragioni per essere giustificata e perfino santificata: patriottica, rivoluzionaria,
difensiva, necessaria a battezzare l'uomo nuovo... A volte erano alibi per una tentazione
alla violenza fine a se stessa: ma bisogna dire ora che è ancora più stupida e ignobile
la pretesa di giustificarla con la legge della società mediatica e della
"visibilità". "Senza un po' di violenza, niente prime pagine, niente
televisioni...". Si resti, allora, invisibili. Sono fin troppe le circostanze di
prepotenza stupro e umiliazione in cui anche il più accorato fautore della non violenza
è costretto ad ammettere una legittima difesa, per non dover escogitare la violenza come
mezzo di richiamo pubblicitario. Fuori dal dovere di soccorso, la violenza dev'essere per
sé al bando, come corruttrice di ogni fine cui venga subordinata: non per l'inefficacia,
dunque, ma per l'ignobiltà, irriscattabile da qualunque efficacia. Un intero universo
culturale sta dietro l'omaggio reso alla violenza: per alcuni di noi anche un'esperienza
generazionale e personale. Qualcosa in cui si è creduto, e che si è ripudiato.
Un'identità ricostruita sulla impressione di ciò che non siamo più, di ciò che non
vogliamo più. Sarebbe affare solo nostro, se la condizione di ex di qualcosa non
riguardasse all'ingrosso il genere umano. I fumatori sono creature interessanti: sanno
ormai che si fanno male, e tuttavia non smettono. Così facciamo con il destino del
pianeta: ce lo fumiamo, come al solito, benché il pacchetto porti ormai l'avvertenza e la
data di scadenza sempre più prossima. Quelli che hanno smesso di fumare e cominciato a
predicare sono i più noiosi. Se no, hanno un vantaggio, nonostante un resto di raucedine:
che se ne ricordano. Ma come imporre a chi non ha mai fumato di non far la prova della
prima sigaretta? Per questo non è facile venire a capo di quel racconto sulla prima
pietra. Io spero che a Genova non si tirino pietre, dopo che la mia l'ho tirata -bonus
esaurito. Ma come raccontarlo ai ragazzi "senza peccato"? Loro hanno di fronte
dei colpevoli (anzi: dei diabolici colpevoli, ai loro occhi) e hanno il cuore innocente.
Corrono, e si trovano un sasso fra i piedi. Al ragazzo di Göteborg è successo proprio
così: la sua prima pietra -e l'ultima. E se fosse morto un poliziotto, a Göteborg, uno
di quelli schierati col divieto di usare gli sfollagente e muniti di cani lupo, ma con
l'obbligo della museruola (!), uno di quegli sprovveduti e spaventati, anche di lui il
nome sarebbe diventato noto, avrebbe dato il titolo a una caserma, si sarebbe fissato
nella mente dei poliziotti schierati a Genova e in ogni altra città d'Europa agghindata
per ospitare dignitari globali. Se si riconoscesse nella violenza la stessa matrice che ha
condotto al saccheggio della natura, forse ogni generazione non sarebbe indotta a
ricominciare da capo. Un movimento resta aperto fino a quando non diventa una parte
inchiodata a una contesa mutuamente esclusiva. Può aver bisogno di ricorrere alla forza,
ma a condizione di averle dato sostanza e anche forma di diritto. Per il resto, deve agire
come se ciò cui aspira potesse persuadere chiunque. Non deve farsi mettere nell'angolo.
Fra le circostanze che più pericolosamente possono costringerlo nell'angolo c'è la
violenza subita e inferta, e soprattutto il sangue versato. Del sangue versato si resta
ostaggi. Allora ci si batte nel campo d'altri, coi modi d'altri. Per questo sarebbe bello
rifiutarsi davvero, fieramente, alla violenza. Avere la prima pietra -la prima sigaretta -
a portata di mano, dire "no, grazie", e andare per la propria strada. |