Corriere della sera 11 luglio 2001
Pro e
contro laccordo di Kyoto
PIANETA TERRA QUALE LA
CURA
di ALBERTO RONCHEY
- Dopo lincontro di Göteborg a metà giugno con i governanti europei, George W.
Bush ha solo diplomatizzato il suo rigetto del protocollo di Kyoto per la riduzione dellinquinamento
da gas a effetto serra. Meglio dialogare che litigare con i fautori della ratifica del
trattato, a lungo rinviata, dopo quella firma che nel 1997 a suo parere fu ingiustificata.
Dunque ha trasmesso a europei e giapponesi un rapporto da lui richiesto allAccademia
delle scienze degli Stati Uniti sulle alterazioni climatiche, per «discutere insieme su
quanto è noto e quanto ancora non è noto». A Bonn, oltre metà luglio, si terrà il
prossimo incontro. Il documento scientifico diffuso da Bush ammette che il riscaldamento
del clima «è stato intenso negli ultimi ventanni», ma rileva che il periodo
studiato è troppo breve per valutare le tendenze del futuro, anche se non esclude che a
lungo termine le variazioni di temperatura e livello del mare possano causare
incalcolabili danni alle regioni costiere. Tralasciando i dettagli del rapporto, le
conclusioni sembrano solo più problematiche o meno drammatiche di quelle raggiunte nellambito
dellOnu dal «Panel on climate change». Sulla necessità o lefficacia del
controverso protocollo, gli analisti americani non si pronunciano, lasciando le
interpretazioni pro Kyoto e anti Kyoto agli approssimativi divulgatori e agli agitatori
politici di parte.
Al di là delle dispute scientifiche, unessenziale obiezione di Bush contro laccordo
del 97 è che impegna le società industriali avanzate a ridurre lemissione
dei gas entro il 2012, media 5,2 per cento, ma non coinvolge subito le nazioni a
rudimentale industrializzazione, come Cina, India, Indonesia, Brasile, che tendono a
bruciare sempre più combustibili fossili con il massimo inquinamento sia pure a tempo
differito. I governi di quelle nazioni, dedite alluso tradizionale di carbone,
petrolio, metano, rispondono che oggi solo gli occidentali e i giapponesi possono
promuovere con sufficienti risorse di capitali e nuove tecnologie sia lo sviluppo
economico sia il controllo ecologico, forse a costi accessibili nel futuro.
Qui saffrontano due opposte ragioni. E qui è il lato debole della politica di Bush,
che non ha proposto ancora un piano alternativo a quello di Kyoto. Tra fautori e
contestatori del protocollo, la sola ipotesi escogitata finora per conciliare nellimmediato
interessi dei ricchi e dei poveri sta nel proporre un mercato che permetta la
compravendita dei «diritti dinquinamento». In pratica, le società industriali
avanzate potrebbero comprare da quelle arretrate licenze demissione dei gas,
biossido di carbonio, metano, ozono protosferico, ossido nitroso, perfluorocarburi e
aerosol. Una soluzione certo non plausibile, anzi traducibile in una caotica
mercificazione dei rapporti internazionali sullecologia planetaria, ossia il
«mercato dellinquinamento».
Intanto, siano validi o no i pronostici sulleffetto serra, i centri urbani risultano
sempre più inquinati dagli scarichi di automezzi, centrali elettriche, industrie chimiche
o siderurgiche. Sia sufficiente o no il trattato di Kyoto, simporrà presto una
revisione globale dei consumi energetici con uno strenuo rilancio della ricerca
scientifica e tecnica per la riconversione industriale, assistito da ingenti capitali
pubblici. Per lenergia «pulita», Bush ha promesso già sovvenzioni e incentivi
fiscali, anche se finora senza quantificare le disponibilità del bilancio di Washington.
In ogni caso, come reclama dalle colonne del New York Times Paul Krugman, «è lora
che la tecnologia si dia un poco più da fare».
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