Corriere della sera 15 luglio 2001
La sfida degli ottimisti alla dittatura del mercato

di VIVIANE FORRESTER *

Ancora una volta una riunione al vertice, quella del G8 a Genova, avrà la pretesa di avallare l’illusione che attribuisce ai governi, in particolare quelli dei Paesi più industrializzati, la decisione politica, mentre quest’ultima appartiene al potere economico privato. La classe politica non fa che gestire fatti compiuti, una struttura regolata da un’ideologia non ufficiale, che dà priorità assoluta ed esclusiva al profitto privato. Non è l’economia a uccidere il politico, come spesso si crede: è una certa politica ultraliberale, appoggiata con più o meno entusiasmo o reticenza da tutti i governi, a determinare un’economia mondiale che non rispetta le popolazioni e che, così, uccide l’economia reale.
Un’altra illusione è quella che reputa ineluttabile la situazione attuale, denominata «globalizzazione», e che propone come unico rimedio quello di adattarvisi. Ma ad essere parte in causa non è la «globalizzazione», fase storica dovuta ai prodigiosi progressi delle tecnologie di punta, che potrebbero essere convenienti per tutti; è la gestione ultraliberale di tale globalizzazione che è da biasimare. Non siamo di fronte a un fenomeno naturale mostruoso, ineluttabile, incomprensibile, ma siamo di fronte a un’ideologia politica a vocazione totalitaria, che possiamo affrontare, alla quale possiamo resistere.
Tuttavia, ci viene continuamente ripetuto che non abbiamo altra soluzione se non quella di conformarci a situazioni forse spiacevoli, ma inevitabili. Ebbene, da cinque anni ho avuto occasione di constatare che c’è una sempre più diffusa opinione pubblica mondiale capace d’individuare la propaganda, di percepire le sue imposture e di rifiutare il disastro al quale esse conducono. Quegli uomini, quelle donne di tutte le età, di tutti gli ambienti, di tutte le nazionalità rifiutano il dogma secondo cui non esisterebbe altro modello di società se non l’attuale, cioè quello di un’«economia di mercato». Affermare che esiste un solo modello di società, qualunque esso possa essere, è da stalinisti; in democrazia, più proposte, più scelte sono sempre possibili, la capacità d’alternativa non manca mai.
Oggi, però, questa affermazione è anche ridicola perché anacronistica, dato che non viviamo più in un’economia di mercato, ma in un’economia virtuale, sempre più puramente speculativa, totalmente fittizia e separata dalla società. L’economia privata, che domina e dirige la scena politica, si evolve in questa sfera virtuale, dove l’insieme delle popolazioni umane diventano sempre meno necessarie ai suoi giochi speculativi.
Più che mai l’occupazione è incompatibile con la crescita: le imprese che hanno grossi utili e licenziano a più non posso non vedono forse salire subito alle stelle le loro quotazioni in Borsa? È questo mondo fittizio che i governi tengono in considerazione e che qualificano reale.
Considerati antiquati e idealisti, coloro che si oppongono al fatto che l’insieme del genere umano sia rinchiuso in un sistema sono gli unici a essere ancorati al concreto. Sanno che il reale non risiede nei flussi finanziari ma nella vita di tutti i giorni, nell’esistenza di ogni abitante del mondo. Sono loro gli ottimisti, poiché contestano l’idea che non ci sia altro avvenire se non la docilità al peggio.
Tuttavia, bisogna agire in fretta. Non si tratta d’essere demagoghi nel proporre utopie a ogni costo; si tratta innanzitutto di rifiutare.
Resistere è l’essenziale: quando la casa brucia, non è il momento di mettersi a fare progetti per la prossima dimora, ma di spegnere l’incendio.
*Scrit trice e saggista francese, autrice di «L’orrore economico» e di «Una strana dittatura», Ponte alle Grazie editore