Corriere della sera 17 luglio 2001
Emergenza
globale, vince la formula Chiapas
Internet e testimonial
famosi determinanti per il successo degli aiuti umanitari. Il ruolo delle multinazionali
- La secessione del Biafra durò un anno, dal 1968 al 1969. Fu una tragedia, ma fu anche
una colossale operazione di propaganda. Il mondo avrebbe facilmente dimenticato la rivolta
di una tribù cattolica esplosa nel cuore della Nigeria, se il conflitto non fosse stato
accompagnato dalle immagini di centinaia di migliaia di bambini prossimi alla morte, il
ventre gonfio, la testa abnorme, le membra rinsecchite dalla fame. Come racconta Goffredo
Parise nei suoi reportage e nel libro Guerre politiche , fu il leader della
ribellione, Ojukwu, un ex ufficiale dell’esercito con studi a Eton e a Oxford, a
trovare la chiave giusta per attrarre l’attenzione dell’Occidente. Il
guerrigliero montò una telescrivente nella giungla, attraverso le quale diramava dispacci
in tempo reale a Parigi, Londra, Ginevra. Ma le notizie da sole non bastavano. Ojukwu,
grazie a un contratto con una società pubblicitaria svizzera, la Mark Press, imparò a
esibire cadaveri e morti viventi facendo giungere all’estero foto e filmati. Il mondo
accorse in massa. Arrivò la Caritas e la Croce Rossa, tonnellate di aiuti da Europa e
Cina. La globalizzazione non esisteva ancora, il digitale tanto meno, ma questo del Biafra
può essere considerato un primo esempio di emergenza lanciata su scala internazionale con
mezzi tecnologici, strategie d’avanguardia e perfino un marchio occidentale, la Mark
Press, sul retro. Trent’anni dopo, caduto il muro di Berlino che imponeva una matrice
ideologica a ogni mobilitazione (interventi ancorati alle sfere d’influenza, al
blocco Est- Ovest, alle partite di armi che arrivavano dalla Cia o dall’Unione
Sovietica), le cause dei Paesi poveri emergono a livello mondiale con sistemi che
rievocano quelli adottati in Biafra: l’uso dell’hi-tech, l’intervento
spesso spregiudicato dei media, talvolta l’etichetta delle multinazionali.
CAMPAGNE ONLINE - «La prima guerriglia post-comunista e post-moderna», come l’ha
chiamata lo scrittore Carlos Fuentes, si è combattuta in Chiapas a partire dal ’94.
I campesinos protestavano contro la globalizzazione, ma è stata Internet l’arma
segreta del subcomandante Marcos per far proseliti in tutto il mondo. Un computer al posto
della telescrivente del Biafra. Oggi non c’è gruppo di resistenza o cellula d’opposizione
che non abbia un sito, una chat , una email . E’ un varco nel mondo
globale, non sempre una garanzia di successo. Le donne afghane del Rawa (il fronte
femminile d’opposizione ai Talebani), per esempio, pur riscuotendo solidarietà,
continuano a vivere da clandestine.
Più efficaci, per trovare adesioni su scala «globale», i movimenti trasversali che si
battono per fronteggiare emergenze collettive, fra i quali la cancellazione del debito ai
Paesi poveri, la difesa dell’ambiente, la lotta all’Aids. «Sono i cartelli online
- dice padre Giulio Albanese, direttore della Misna , l’agenzia di stampa
missionaria -, organizzazioni non governative, chiese, movimenti civili che attraverso
Internet si trasformano in gruppi di pressione sui governi e le istituzioni
internazionali». Il loro impatto sull’opinione pubblica è dirompente. Più
complesso l’approdo. Gli appelli di Jubilee 2000 , per esempio, hanno portato
a un alleviamento del debito in 23 Paesi «hipc» (poverissimi e altamente indebitati),
dal Ciad alla Bolivia, dall’Uganda al Mozambico, non ancora alla cancellazione
totale. Ma dietro questa battaglia, incalzano già a velocità cibernetica nuove proposte:
dalla creazione di un fondo per l’Aids alla Tobin Tax, l’imposta sulle
transazioni finanziarie.
I TESTIMONIAL - Le campagne hanno bisogno di eroi. Morti i leader carismatici capaci di
mobilitare le masse nel periodo post-coloniale, lo scettro della militanza passa alle
star. Bono si trasforma in ambasciatore dei Paesi disastrati. Richard Gere in portavoce
del Dalai Lama. Luciano Pavarotti organizza concerti per i profughi afghani. «Un
passaggio cruciale - dice Luca De Fraia, coordinatore di Sdebitarsi, cartello di 60
organizzazioni italiane -. E’ stato Bono, per esempio, a trasformare una questione
tecnica come il debito in una battaglia popolare». Le star fanno presa sui media. Ed è
dai media che dipende l’attenzione dell’Occidente sul Sud del mondo. Non c’è
raccolta fondi, intervento umanitario o militare, che non sia orientato, oggi come ai
tempi del Biafra, dai mezzi di comunicazione.
MISSIONI CIBERNETICHE - Internet velocizza gli interventi umanitari. Jean Fabre,
vicedirettore dell’Undp di Ginevra (il Programma per lo sviluppo delle Nazioni
Unite), disegna una nuova efficienza: «Durante la guerra del Kosovo, ogni funzionario Onu
aveva un computer per registrare le generalità dei profughi e procedere alla ricerca dei
familiari». Le organizzazioni non governative trasmettono rapporti via email, le
liste dei bisogni viaggiano su file , mentre l’Undp vanta collegamenti in rete
con operatori locali in quasi tutti i Paesi del mondo. Il peso della diplomazia rimane
comunque fondamentale ad accelerare o ritardare l’intervento umanitario. Jean Fabre
cita ancora un esempio: il Ruanda. «I segnali che lì stava per accadere qualcosa di
terribile non mancavano. Boutros Ghali, allora segretario dell’Onu, aveva avvertito
le cancellerie politiche. Ma nessuno raccolse l’allarme».
I MARCHI DELLE MULTINAZIONALI - La macchina degli aiuti ha bisogno di nuovi fondi. Quelli
pubblici non bastano più. Dal 1992 a oggi, il contributo dei Paesi industrializzati allo
sviluppo è sceso dallo 0,34% sul Pil (prodotto interno lordo) allo 0,22%: una perdita
netta di oltre 18 mila miliardi di lire. «All’interno della cooperazione
internazionale il bilancio tra investimenti pubblici e privati è tutto da ridefinire.
Saranno i privati ad avere sempre più peso nei progetti di sviluppo» osserva Mark
Malloch Brown, numero uno dell’Undp.
I mostri prodotti dalla globalizzazione, le mega aziende capaci di imporre il loro marchio
in ogni parte del mondo, sono costretti a rispondere agli appelli umanitari. La De Beers,
il colosso dei diamanti della Anglo American, destina fondi alla cura della tbc in Angola.
Bill Gates ha stanziato l’anno scorso l’equivalente di 44 mila miliardi di lire
per i Paesi in via di sviluppo. Lo stesso segretario dell’Onu Kofi Annan ha lanciato
un programma, il Global Compact, con il quale si propone di coinvolgere 1.000 corporation
nella lotta alla povertà.
Un’operazione cosmetica? «E’ necessario stabilire regole alla globalizzazione -
dice Mark Malloch Brown -. Aziende come l’Anglo American o la Crysler in Sudafrica
distribuiscono farmaci anti-Hiv ai dipendenti. Potrebbe farlo anche la Coca-Cola». Si
profila il rischio di un colonialismo peggiore di quello descritto da Naomi Klein in No
Logo : «Non vogliamo interventi paternalistici - dice Malloch Brown -. Sono i
governanti locali a doversi fare carico dello sviluppo investendo nei settori prioritari
come la sanità e l’istruzione».
I MIRACOLI AFRICANI - Eppure i soggetti assenti sembrano proprio loro, i Paesi poveri.
Quanti sono in grado di inventare operazioni che portino denaro e aiuti, senza la
propaganda creata dall’Occidente? Internet non funziona per tutti. In Africa solo lo
0,2% della popolazione è connessa alla rete. I «miracoli» esistono, ma sono quelli
pilotati dalle riforme strutturali imposte dal Fondo monetario. Le istituzioni finanziarie
promuovono, per esempio, Botswana, Uganda, Mozambico per i loro tassi di crescita. E i
rispettivi presidenti, Festus Mogae, Yoweri Museveni, Joachim Chissano per la solerzia con
la quale hanno obbedito alle condizioni imposte. La Chiesa accusa: «Hanno svenduto i loro
Paesi con le privatizzazioni», dice padre Albanese della Misna. Gli organismi
internazionali rispondono: «Mogae in Botswana, Museveni in Uganda - osserva Jean Fabre
dell’Undp - si sono fatti personalmente carico di un impegno come la lotta
anti-Aids». Anche Chissano ha aumentato la spesa per sanità e istruzione di 54 milioni
di dollari dal ’96 al ’99. In Mozambico 3 persone su 4 vivono con mille lire al
giorno, ma il presidente che 9 anni fa è riuscito a riportare la pace nel Paese rimane un
governante esemplare per l’Occidente.
Eroi del nostro tempo? Forse solo leader che, come Ojukwu in Biafra, stanno imparando le
regole del gioco globale.
|
Maria
Grazia Cutuli |
|