Corriere della sera 17 luglio 2001
IL MERCATO

Il liberismo funziona

di PAUL A. SAMUELSON*

Quali iniziative devono essere intraprese a breve in relazione alla globalizzazione e alla liberalizzazione del commercio, questo è uno dei principali argomenti da inserire nell’ordine del giorno del G8. Dal punto di vista di una fredda economia di efficienza e sviluppo del reddito del prodotto interno lordo aggregativo, le ragioni per una maggior liberalizzazione del commercio internazionale sono valide. Tutte le società più avanzate sono sempre più legate all’economia di mercato globale. Senza eccezione alcuna, le società che hanno raggiunto la maggior crescita pro capite in termini di produttività e incrementato il reddito reale dal 1950, le nazioni del Mercato Comune Europeo, i Paesi dell’area pacifica come Giappone, Hong Kong, Singapore, Taiwan e Corea del Sud, tutte devono il loro progresso all’aver acquisito la conoscenza delle migliori tecnologie e all’aver utilizzato i lavoratori del proprio Paese, pagandoli poco, per essere maggiormente competitivi.
L’economia fredda ha la sua importanza, ma non occupa il ruolo di unico supremo dominio nelle società democratiche moderne. I critici benevoli dello spietato capitalismo di mercato, e in particolare i giovani altruisti istruiti, si rendono conto che il puro capitalismo del
laissez faire conduce a una dimensione di disuguaglianza e che, se non moderato da azioni stabilizzatrici delle banche centrali governative e dei programmi fiscali, il laissez faire causerà alti e bassi economici, bolle speculative e bancarotte, e una periodica disoccupazione.
Le imprese di destra, come le acciaierie in America, perdono irreversibilmente terreno e affrontano il crollo definitivo quando tutto il loro know-how tecnico può essere utilizzato all’estero impiegando lavoratori pagati molto meno. «Il commercio sleale ci sta rovinando, non il libero commercio», questo è ciò che i lobbisti dicono al presidente Bush e ai Comitati Congressuali.
«Per favore, ridateci le vecchie quote di importazione». Che significato ha tutto questo in vista dei dibattiti del prossimo G8? A mio avviso, significa che i vantaggi reciproci a lungo termine di un commercio globalmente più libero sono davvero di importanza fondamentale.
Sarebbe meglio consigliare ai leader favorevoli al business, come è anche George W. Bush, di sviluppare programmi per dare in qualche modo sollievo alle vittime dei bruschi sbalzi nel commercio estero delle industrie legate al mondo dell’acciaio mediante indennizzi, piuttosto che soggiacere alle quote imposte dal cartello sull’importazione di acciaio.
Joseph Schumpeter ci ha giustamente ricordato che la «distruzione capitalistica creativa» è una componente intrinseca di un progresso a lungo termine. Ma i suoi ammiratori avrebbero torto nel tollerare che ad alcuni settori della popolazione venga imposto di sopportare il fardello di cambiamenti casuali e imprevedibili quando la moderna economia mista ha la capacità di fornire una sorta di rete assicurativa per le vittime del progresso mediante il sistema fiscale delle sovvenzioni finanziate dalle imposte nazionali sui redditi.
Il compromesso è incauto e difficile, ma è sempre meglio dell’inflessibilità tradizionalistica che potrebbe ottenere l’effetto contrario e mettere a repentaglio il progresso mondiale nel 2001-2010. Ricordatevi sempre: il futuro dura più a lungo del presente.
(traduzione di Claudia Ansalone)
*Paul Samuelson è professore emerito del Dipartimento di economia al Massachusetts Institute of Technology. Nel 1970 ha vinto il premio Nobel per l’economia