Manifesto 17 luglio 2001 Genealogie
del presente
Da Seattle a Genova. Un movimento in cerca
d'autore
SANDRO MEZZADRA
L' impressione è di quelle che non lasciano
spazio ad equivoci: "sembra che ci siano dei fortunati signori che in una torre
d'avorio, protetti dalle forze dell'ordine, discutono dei loro problemi mentre fuori c'è
una moltitudine che protesta e che le forze dell'ordine contrastano con i mezzi del
potere". Non è un comunicato del "Genoa social forum"; sono parole
pronunciate a Goteborg da Silvio Berlusconi (la Repubblica, 16 giugno 2001). A
Genova la "torre d'avorio", alias zona rossa, appare assai ben munita. Ma sono
proprio il gigantismo delle difese, i missili terra aria e i fantasmagorici mezzi
schierati a presidio del vertice G8, a confermare la forza del movimento che è nato a
Seattle.
Dobbiamo riconoscerlo: non solo la sinistra di governo è stata cieca di fronte a questo
movimento; anche il "pensiero critico" ha faticato a prendere atto di quello che
ormai è sotto gli occhi di tutti. Gli anni del grande freddo, della fuga dalla politica,
sono finiti; i temi della liberazione dallo sfruttamento, dell'universalità dei diritti,
della critica dell'economia drogata ed inquinante delle multinazionali sono di nuovo
agitati da uno straordinario movimento di massa. Brecher, Costello e Smith lo dichiarano
senza indugi: "l'emergere di un movimento per la globalizzazione dal basso definisce
un'epoca nella storia umana". I toni possono sembrare eccessivamente enfatici, eppure
questo è il punto. Azzardo un giudizio impegnativo: siamo di fronte a una svolta, nella
storia dei "movimenti antisistemici", paragonabile a quella determinata dal '68.
E' per questa ragione che mi pare necessario valorizzare, pur riconoscendo la correttezza
dei rilievi di Bruno Cartosio, la stessa formula della "globalizzazione dal
basso": essa, evocando una definizione del movimento che lo colloca al di là di ogni
ripiegamento localistico o nazionalistico, sottolinea precisamente l'elemento (forse
l'unico, ma di decisivo rilievo) di continuità con il '68. Quel movimento - nonché i
grandi cicli di lotte che lo precedettero e che ad esso fecero seguito all'interno come
all'esterno dell'Occidente - fu uno straordinario fattore di mondializzazione, attore
decisivo nella genealogia del mondo globale in cui oggi viviamo; il movimento di oggi
"riattiva" quella genealogia, rivendica l'unificazione del pianeta nel segno di
una radicale democrazia e intende sottrarla all'egemonia capitalistica che ne ha scandito
la realizzazione.
Il movimento che è nato a Seattle due anni fa, si diceva. So che molte componenti dello
stesso movimento non concordano con questa datazione, e Giuseppina Ciuffreda e Mario
Pianta ci hanno spiegato con dovizia di particolari quanto lontano nel tempo affondi le
proprie radici il "movimento di movimenti". Niente da eccepire sotto il profilo
descrittivo: ma è vero anche che solo Seattle ha prodotto quella scossa elettrica a
partire dalla quale un insieme di soggetti eterogenei ha cominciato a contaminarsi
reciprocamente e a occupare in modo permanente la scena pubblica globale. Non fu così a
Berlino, nel 1988, quando la contestazione del Fondo monetario internazionale fu condotta
da gruppi che si guardavano in cagnesco tra loro, senza neppure tentare di comunicare. Non
sarebbe stata immaginabile, senza la rottura di Seattle, un'esperienza come quella del
"Genoa social forum".
Come possiamo definire l'azione del movimento? Brecher, Costello e Smith propongono di
analizzarla come "una sottrazione collettiva ai processi di questa
globalizzazione". Mi pare un ulteriore elemento assai stimolante del loro lavoro. Ed
essi aggiungono: la defezione e la sottrazione alle regole dominanti non si limitano a
produrre l'erosione della legittimità dei potenti, a isolarli nelle loro cittadelle
assediate, ma aprono al tempo stesso una "dimensione costituente", un campo di
possibilità che si tratterà nei prossimi mesi di attraversare e valorizzare,
determinando il passaggio del movimento dalla "resistenza" alla
"trasformazione".
In questo passaggio si dovrà porre con forza un problema solo accennato da Brecher e
compagni: quello della "composizione sociale del movimento". Uno dei suoi limiti
più significativi, da questo punto di vista, è consistito certamente, negli Stati uniti
come in Europa, nella sua difficoltà a penetrare all'interno di quelle componenti del
"lavoro vivo" contemporaneo più duramente esposte alla privazione di diritti
che ha rappresentato uno degli assi portanti della ristrutturazione capitalistica in
questi anni. A Napoli, nel marzo di quest'anno, qualcosa è accaduto che indica la
possibilità di superare questo limite. La decisione di avviare le iniziative di
contestazione del vertice di Genova, prima dell'"assedio" del 20 e della grande
esposizione della ricchezza e dei contenuti del movimento che avrà luogo con la
manifestazione del 21, con il corteo dei migranti del 19 va anch'essa in questo senso.
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