Corriere della sera 18 luglio 2001
Cancelli,
grate, muri: Genova è una città chiusa
Da stamane impossibile
accedere nella zona rossa del centro storico. Dieci varchi sorvegliati
- DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
GENOVA - Un marziano equivocherebbe. Piombando a Genova questa mattina, si convincerebbe
che il G8 è un virus micidiale e che gli uomini stanno disperatamente cercando di isolare
lepidemia dietro a reticolati alti sei metri.
Linvisibile mostro è imprigionato dentro una gabbia a maglie così strette da non
poterci infilare nemmeno un dito. A mezzanotte in punto, decine di muletti hanno sollevato
le ultime tonnellate di ferro e cemento che, fino a domenica sera, cingeranno
ermeticamente il cuore a rischio collasso della città e i suoi dodicimila abitanti. I
fabbri hanno sigillato con il fuoco le ultime cerniere ancora aperte. «Off limits»
intimano ancora scritte sbiadite sui muri dei carruggi, perlomeno quelle sfuggite ai
lavori di restauro condotti in città in vista del vertice. Sono i residui di vernice
postbellica che cercavano di tenere lontani gli alleati dalle pericolose tentazioni e
dalle risse del porto. Da ieri notte, dopo cinquantanni, quei divieti sono tornati
in vigore.
Dalle sette di questa mattina tutta la fascia delle banchine lungo il mare di fronte al
porto e il centro storico sono di nuovo «off limits». Anche per le «pericolose
tentazioni»: le prime a spostarsi sono state le prostitute nigeriane, che hanno
traslocato per questa settimana nel Basso Piemonte. Spariti anche gli immigrati che non
hanno da esibire un pass né per la Genova dei G8 né per lItalia dei regolarizzati.
Gli ultimi barboni sono stati cacciati nella notte dalle pattuglie che perlustrano il
salotto riservato agli otto invitati, e ai trentamila tollerati.
Carabinieri e polizia piantonano gli oltre settanta cancelli e i dieci varchi lungo il
perimetro della zona rossa - di cui sei soltanto pedonali - che per cinque giorni
rappresenteranno le uniche vie di accesso e di uscita per i trentamila titolari di
lasciapassare. Cioè i dodicimila residenti e i diciottomila lavoratori che, là dentro,
hanno bottega o ufficio. Ma quasi tutti i negozi, i bar e i ristoranti hanno optato per la
serrata fino a lunedì prossimo. Tanto gli altri 620 mila genovesi, per non parlare dei
forestieri, non possono metterci piede.
Chiudono gli studi di avvocati e notai, perché la clientela rimarrà comunque fuori.
Chiudono le banche, gli uffici postali, perfino le buche delle lettere: «Dal 17 al 21
luglio» precisano i cartelli che coprono le fessure. Altro che annulli filatelici
celebrativi del summit: la sindrome del plico esplosivo ha contagiato anche i postini, che
rifiutano di maneggiare qualunque busta che non sia stata passata ai raggi X. Di più, una
burrascosa assemblea aveva proposto addirittura uno sciopero antidinamitardi. Poi
rientrato.
Nella zona rossa, per le prossime 120 ore, sarà difficile vivere e anche morire. Non si
può circolare in auto né in moto, a meno di essere invalidi, medici in visita, uno dei
150 tassisti autorizzati o fornitori di farmaci. Ma le consegne sono consentite solo fra
le 5 e le 7.30 del mattino. Le auto parcheggiate verranno fatte brillare sul posto. Non si
ritira la spazzatura, perché i cassonetti sono stati eliminati come potenziali
nascondigli di bombe. Limmondizia può essere consegnata ai confini della zona
vietata ai camion di passaggio, anche se nessuno sa esattamente quando passeranno. Non si
possono celebrare funerali e forse, domenica prossima, nemmeno le messe. Non ci si può
sposare, né con rito civile né davanti a un altare. Sia il Comune, sia le principali
parrocchie sono dietro le frontiere blindate. Soltanto il cardinale Dionigi Tettamanzi,
arcivescovo della città, terrà ostinatamente aperta la cattedrale di San Lorenzo, che
non aveva mai chiuso neanche durante la Seconda guerra mondiale quando fu centrata da una
bomba. Il reperto è esposto come una reliquia a memoria dellinvincibilità della
fede. Le chiese che hanno un ingresso nella zona rossa e laltro in quella limitrofa
e, quindi, non controllata, dovranno forse chiudere i battenti per non diventare un valico
clandestino. Anche se i parroci promettono di sorvegliare il passaggio dei fedeli. Ai
prigionieri della fortezza assediata non sono concessi neppure i conforti spirituali.
È un quartiere di anziani soli: nel caso in cui qualcuno di loro dovesse sentirsi male
non potrebbe nemmeno chiamare in aiuto i propri figli, a meno che siano provvidenzialmente
muniti di un pass. Le ambulanze? La prova generale dei soccorsi è fallita laltra
notte, quando un settantenne è caduto dalla finestra al terzo piano in un vicolo
sbarrato. Dal varco nella rete non passava nemmeno la barella. A meno di inclinarla
verticalmente, scaraventando di nuovo a terra lo sventurato. Alla fine lo hanno portato
fuori dalla gabbia in braccio.
E se dovesse scoppiare un incendio? Cè una città nella città che nessun comando
dei vigili del fuoco potrebbe considerare a norma di sicurezza. Quasi tutte le vie di fuga
sono bloccate, tetti esclusi. Altro che maniglioni antipanico.
Monica lavora in un albergo praticamente di fronte a casa sua. Ma lhotel è nella
zona rossa, lei fuori, e per aggirare la linea di confine impiegherà esattamente tre
quarti dora: il tempo di risalire a piedi il reticolato fino al varco pedonale più
vicino. «Perché diavolo non sono andati a farsi il loro vertice su unisola
deserta?» si chiede inviperita. È la sicurezza, bellezza, e tu non puoi farci niente...
«Davvero? - non si lasciano impressionare le Tute bianche -. Non è una questione di
sicurezza, è una sceneggiata teatrale, è un film. Di cui non si capisce bene chi siano i
registi. Ma il finale non è ancora stato scritto. Non ci sono reti invincibili».
In sottofondo si sente leco di rumori da officina meccanica: «Sì, stiamo
preparando gli strumenti della disobbedienza civile - conferma vago il portavoce del
"popolo di Genova" -. Quali? Quelli che servono a resistere alle cariche della
polizia, ai gas lacrimogeni che, secondo quanto ci è stato spifferato, stavolta sono
particolarmente aggressivi, urticanti. Ci difenderemo dai loro idranti, da tutto quello
che ci butteranno addosso...». Solo se tenterete di sfondare la rete: «Certo che ci
proveremo. Ma non a ogni costo. Non rischieremo la pelle di nessuno. Vogliamo aprire un
varco simbolico, che lasci passare la voce dei quattro quinti del mondo, che non sono
stati invitati a questo vertice. Sperando che sia lultimo».
Larrembaggio alle grate è fissato per dopodomani, il giorno dellinaugurazione
del summit. «Loro hanno messo le barricate perché noi sudditi ribelli siamo il loro
peggiore incubo. Alzano il ponte levatoio del castello per paura di un mostro».
Il mostro cè davvero e si morde la coda: si alzano le barricate contro lassalto
degli anti-G8, che preparano lattacco alle barricate. Delle prime avvisaglie fanno
le spese gli ultimi frastornati turisti, sorpresi a fotografare monumenti così preziosi
da essere conservati in un bunker: rullini sequestrati, presunti contestatori tedeschi in
shorts, canottiera e sandali da mare ammoniti a non provarci più. Se non sono
antiglobalizzatori in un uno dei loro più riusciti travestimenti, probabilmente non ci
proveranno più. Nemmeno a tornare a Genova.
«Bella città, eh? - sorride ironico un albergatore di fronte alla stazione di Brignole
presidiata -. Sembra di essere a Beirut...».
No, a Beirut sapevano da che parte arrivava il pericolo. A Genova si cerca di ingabbiare
un fantasma, un incubo che potrebbe sbucare come un ectoplasma anche dai tombini. Hanno
zincato pure quelli, così se piove la città va sottacqua. Meglio annegati che
globalizzati o antiglobalizzati. Ma questo non lo capirebbe neanche un marziano.
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Elisabetta
Rosaspina |
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