Manifesto 18 luglio 2001

La vita impossibile di una città
Il centro è deserto, chi è rimasto è costretto a estenuanti gimkane per schivare il recinto della zona rossa. In un'atmosfera surreale
ASTRIT DAKLI - LIVIO QUAGLIATA - INVIATI A GENOVA


All'uscita dell'autostrada è un orwelliano display: "Residenti rimuovere auto da zona rossa". Un ragazzo picchiato dal sole se ne va in giro a urlare nella grande piazza davanti alla stazione di Brignole "Spinelli, spinelli, qui si fuma". Un impeccabile giornalista inglese si accomoda il suo bel pass intorno al collo e conferma: "Hot, it's hot".
Benvenuti a Genova, calda come non mai man mano che ci si avvicina a quella che dall'alba di questa meravigliosa mattina sarà la "zona rossa". Praticamente tutto il centro storico - che qui anche i bambini definiscono "il più grande d'Europa" - chiuso al traffico e soprattutto agli esseri umani non accreditati. Chiuso nel senso più letterale del termine, chiuso da piedistalli di cemento armato sopra cui svettano invalicabili altissime grate in ferro rafforzate da enormi sbarre. La Genova cantata da De André - via del Campo, via Pré e tutti i carrugi attorno - ne sono pieni, mentre nel pomeriggio gli operai del Comune si affrettano a dare le ultime saldature. Una gabbia immensa che cerca di contenere l'umanità probabilmente più varia che un vertice di Grandi abbia mai potuto incontrare. Barboni, tossici, immigrati, vecchi matti, napoletani, pugliesi, travestiti, signore con prole al seguito, e signore senza, in attesa dei clienti, davanti alla porta di casa. Sono sempre meno, sono rimasti quei pochi che avevano le carte in regola, e quei tanti che non avrebbero saputo dove andare. Via Maddalena, una delle vie delle puttane, è un deserto triste, al Caricamento non c'è più una nigeriana, spariti i banchetti arabi e africani da via Pré, niente odore di kebab. Tutti - commercianti genovesi compresi - ti dicono la stessa cosa con la stessa aria rassegnata: "Non c'è commercio, e il commercio è la nostra vita". Questa mattina saranno chiuse anche le poche botteghe rimaste aperte in questi giorni di preparativi, e ancora gli abitanti di questo universo assai speciale ti dicono "siamo in gabbia, prigionieri, stranieri in casa nostra" mentre ti rendi conto che ormai i veri abitanti dei vicoli sono carabinieri, poliziotti, finanzieri e strani soggetti importati da chissà dove. Prigionieri, sì, ma lo dicono senza rimprovero, come un dato di fatto. Cercano piccole soluzioni individuali a questa demenziale intrusione nelle piccole vite altrui: "Abito in zona gialla - domanda una vecchietta al vigile - ma mio marito va a giocare alle carte in zona rossa. Non possiamo mica avere il pass?" La loro, perlopiù, sembra una resistenza passiva, già il fatto di restare steso sotto quel palazzo ridipinto, abbracciato a una Peroni, è un insulto al mondo dei ricchi e degli accreditati, quelli che da venerdì cominceranno a sciamare intorno a piazza De Ferraris e a palazzo Ducale. Che si presenta bello come non lo si ricordava a memoria d'uomo, tutto lustro e ridipinto di fresco, con le bandiere al vento e un esercito di antichissimi operai (m
a in versione moderna e globale) al lavoro per gli ultimi ritocchi (chissà poi se sono davvero solo ritocchi o se ci sono ancora grane grosse da sistemare: lo sapremo solo se Bush sprofonderà in un bagno allagato, o qualcosa del genere). Un altro esercito sta fuori, in assetto molto più bellicoso degli operai. Non parliamo di polizia e carabinieri, va da sé, onnipresenti: qui in piazza Matteotti, davanti al Palazzo, c'è un battaglione intero di guardie forestali. Che ci fanno i forestali tra i carrugi? Ma è chiaro, basta guardare i loro automezzi: sono tutti camion-idrante. E ce ne sono moltissimi, almeno una dozzina. C'è anche una meno comprensibile autoambulanza da raid sahariano, uno di quei veicoli con ruote alte due metri che sono concepiti per andare fuori pista, guadare torrenti, scalare montagne. Non ci passa in nessuno dei vicoli intorno a piazza De Ferrari, dio solo sa cosa l'hanno messo qui a fare.
Le vie eleganti, intorno al cuore nobile della città - e intorno alla sede del summit - hanno un aspetto desolante. La gran parte dei negozi sono chiusi, con il fatidico cartello "si riapre il 23 pomeriggio". In giro, a guardare non le vetrine ma se stessi, ci sono quasi soltanto agenti: in divisa, in mezza divisa (la pettorina con la scritta "polizia" sopra gli abiti civili) o in borghese; in reparti, a gruppi, a coppie o da soli. Non si sbaglia a identificarli. Del resto, oltre a loro c'è solo qualche turista visibilmente spaventato e pochissimi genovesi visibilmente rabbiosi. "Che ci fai qui con quel cane che lascia i peli", urla con scherno un'elegante signora verso un'altra elegante signora, in piazza Matteotti. "Ci ho il permesso speciale di Berlusconi", riurla l'altra, facendo una linguaccia ai tremila poliziotti tutt'intorno.
Più giù, al Porto Antico, sulle banchine e gli eleganti piazzali dove panchine, bar e ristoranti di solito nelle belle serate estive sono affollatissimi, è il deserto. In Calata Cattaneo i camerieri di un ristorante-wine bar stanno apparecchiando i tavoli come al solito, ma alle sette e mezza, ora dell'aperitivo, non c'è neanche un cliente: "Speriamo solo che durante il summit vengano qui almeno i giornalisti". La libreria Rizzoli ha chiuso i battenti fino al 24.
Ma il grosso dei genovesi non è più qui. Anche se la zona rossa ancora non è chiusa, dentro ci si sente già in gabbia - letteralmente, con tutte quelle mostruose reti di ferro montate in ogni via e vicolo. Fuori, invece, la normalità della Genova è fatta di gimkane, per evitare le strade chiuse e gli ingorghi; e di paura preventiva, per quel che potrà succedere nei giorni fatidici.
La stazione di Brignole, dove il treno con chi scrive è stato l'ultimo ad arrivare normalmente (i successivi da sud sono stati i primi ad essere deviati o soppressi), ieri sera aveva ancora un'aria tranquilla - fin troppo: non c'erano viaggiatori in arrivo e solo pochi in partenza - con un modesto presidio di polizia. Ma da oggi, con l'arrivo dei primi treni speciali per i manifestanti, anche Brignole, e con essa la "zona gialla", cambieranno faccia.