La Repubblica 19 luglio 2001

Il mea culpa
dei paesi ricchi

di JAMES WOLFENSOHN


I LEADER del G8 a Genova sono attesi da una difficile sfida: come consentire a milioni di persone, escluse dalle trasformazioni dell'economia globale, di avere le stesse opportunità di migliorare la propria vita che le popolazioni dei paesi ricchi danno per scontate.
L'urgenza è fuori discussione. Gli ultimi decenni hanno visto notevoli miglioramenti dal punto di vista della sanità e dell'istruzione; minore mortalità infantile prima dei cinque anni, maggiore scolarizzazione, specie delle bambine.

Anche i redditi sono migliorati. Rimane tuttavia il fatto che metà della popolazione mondiale oggi vive con meno di 2 dollari al giorno, e che questa percentuale potrebbe salire entro il 2025 fino a quattro miliardi di individui. 110 milioni di bambini, in maggioranza femmine, non frequentano la scuola elementare, e più di trenta milioni di persone sono portatrici del virus Hiv.
Per risolvere questi problemi siamo obbligati a costruire una coalizione di partner a livello globale pronta a prendere le decisioni necessarie per ottenere risultati duraturi. Il secolo scorso, le forze della globalizzazione sono state tra quelle che hanno contribuito maggiormente ai grandi miglioramenti del benessere dell'umanità e che hanno consentito a milioni di persone di uscire dalle condizioni di povertà. In futuro, queste stesse forze potranno continuare a portare grandi benefici ai poveri, ma in che modo e in che misura dipenderà sempre da fattori essenziali come le strategie politiche macroeconomiche, l'opera delle istituzioni, le reti di assistenza sociale e gli investimenti che i singoli governi saranno disposti a portare avanti.
Visto che il processo di globalizzazione non può certo essere fermato, la nostra sfida consiste proprio nel renderlo uno strumento di opportunità e di partecipazione. Per far fronte a questa sfida, la Banca Mondiale ha inteso studiare a fondo il fenomeno della povertà, nonché le misure necessarie per avviare un equo e duraturo sviluppo. Sappiamo che la povertà consiste in un reddito più che inadeguato e in un basso livello di sviluppo della persona umana. Oggi però possiamo dire che la povertà ha anche molte altre dimensioni. Si tratta di una fondamentale mancanza di libertà d'azione, di scelta, di opportunità, ma non solo; è anche un non avere "voce", un senso di impotenza, di umiliazione.
Sappiamo che le riforme orientate al mercato, se abbinate a uno sviluppo sociale e civile, possono produrre una crescita economica tra i ceti disagiati. Tuttavia, la sola crescita economica non è sufficiente. Negli ultimi sei anni, la Banca Mondiale ha intrapreso un processo di continuo rinnovamento.
Nel 1995 non esisteva un meccanismo specifico per la cancellazione dei debiti dei paesi più poveri. Oggi 22 paesi hanno iniziato ad ottenere agevolazioni in questo senso tramite l'Iniziativa dei Paesi poveri a forte indebitamento (Hipc), 18 dei quali in Africa, per un totale di 34 miliardi di dollari. Tuttavia gli accordi per la cancellazione del debito non sono sufficienti. Devono essere coordinati con apposite strategie di sviluppo mirate alla riduzione della povertà. Così stiamo aiutando vari paesi a mettere a punto le cosiddette Strategie di riduzione delle povertà: i fondi ricevuti per la cancellazione dei debiti vengono reinvestiti in iniziative prioritarie di sanità e istruzione pubblica.
I leader dei paesi ricchi a Genova dovranno comunque riconoscere che alla cancellazione dei debiti dovrà accompagnarsi l'apertura dei loro remunerativi mercati alle esportazioni dei paesi in via di sviluppo. Per molti prodotti potenzialmente esportabili, i paesi africani devono pagare tariffe doganali elevate. I dazi su carne, frutta e vegetali possono superare il 100%, mentre quelli sui prodotti tessili e le calzature vanno dal 15 al 30%.
Oltre ad abbattere le barriere doganali, i paesi ricchi devono onorare il loro impegno di destinare lo 0,7% del loro Pil annuale agli aiuti internazionali. Gli aiuti allo sviluppo destinati all'Africa sono diminuiti da 32 dollari pro capite nel 1990 a solo 19 nel 1998, nonostante l'evidente efficacia degli aiuti in quei paesi che hanno attuato politiche economiche e sociali mirate.
È semplicemente inaccettabile che oggi come oggi in Africa un bambino su 7 non arrivi a vedere il suo quinto compleanno. In un'epoca di prosperità senza precedenti, i paesi ricchi dovrebbero aumentare, non ridurre, i loro aiuti; dovrebbero tendere le mani e non voltare le spalle, all'Africa e ai suoi figli. È ora di fare un accorato appello ai capi di Stato dei principali paesi donatori perché sia chiaro, una volta per tutte, che gli aiuti allo sviluppo non sono un'elemosina, bensì un investimento per la pace e la sicurezza globale. Dobbiamo rammentare loro che l'attuale livello delle sovvenzioni, circa lo 0,24% del PiL annuale, è ben al di sotto del target dello 0,7% che avevano promesso di raggiungere. In termini finanziari, la differenza tra queste due percentuali equivale a circa cento miliardi di dollari all'anno, ma per milioni di bambini equivale alla differenza tra la vita e la morte.
Altri importanti cambiamenti hanno caratterizzato l'opera e l'attenzione della Banca Mondiale. Sei anni fa la Banca Mondiale aveva stanziato 36 milioni di dollari per combattere l'infezione da Hiv; oggi siamo passati a un miliardo di dollari: un aumento di quasi 30 volte. Attualmente lavoriamo sulla prevenzione e tramite programmi di informazione pubblica, cliniche locali e gruppi nei villaggi, ma ci siamo attivati anche nel campo della terapia e del finanziamento per l'acquisto di farmaci specifici.
Stiamo inoltre intensificando le nostre attività nelle situazioni postconflitto. Sei anni fa disponevamo di 15 apposite unità, mentre oggi ne abbiamo 35.
Sei anni fa, alla Banca Mondiale non parlavamo mai di corruzione; la consideravamo una faccenda puramente politica e comunque quasi impossibile da affrontare. Oggi collaboriamo a programmi di lotta alla corruzione e di buon governo in 95 paesi.
Sei anni fa, ci occupavamo poco o niente dello sviluppo guidato dalle comunità. Oggi abbiamo investito più di 1,5 miliardi di dollari in iniziative come il progetto di nutrizione in Mozambico o come il fondo sociale nel Malawi. Il nostro obiettivo è quello di vedere questi programmi comunitari replicati in tutta l'Africa e in tutti i paesi in via di sviluppo.
Noi riteniamo che gli individui che vivono nella povertà non debbano essere considerati come una palla al piede, quanto piuttosto come una risorsa umana capace di contribuire a estirpare la piaga della povertà. I poveri sono i primi a non volere l'elemosina, ma a chiedere che sia concessa anche a loro una possibilità, e i programmi di sviluppo basati sulle comunità possono offrirgliela.
Nei prossimi 25 anni la popolazione mondiale aumenterà di 2 miliardi, raggiungendo gli 8 miliardi di persone, e il 98% dell'aumento si avrà proprio nei paesi in via di sviluppo. Se operiamo tutti insieme fin da subito, entro il 2015 potremo raggiungere uno dei principali obiettivi, ovvero dimezzare la popolazione che vive in condizioni di povertà.
Tuttavia, se è vero che le attuali tendenze sono indicative, è altrettanto vero che nessuno degli obiettivi primari dello sviluppo, ossia riduzione di 2/3 della mortalità infantile nei primi 5 anni di età, riduzione di 3/4 della mortalità al parto ed istruzione elementare universale per tutti entro il 2015, potrà essere raggiunto a livello globale senza una campagna più concertata e decisa.
Non c'è mai stato un momento migliore per una campagna di questo genere. La consapevolezza dello sviluppo sostenibile, la ricchezza dei paesi industrializzati, la dinamicità della tecnologia, la chiarezza dei nostri obiettivi: tutto concorre a farci afferrare al volo questa occasione.
Dobbiamo diventare la prima generazione di individui che pensano sia come cittadini della propria nazione sia come cittadini globali, in un mondo che diventa sempre più piccolo e interconnesso. Se non combattiamo con decisione la povertà, non potremo avere pace e stabilità nel mondo. I nostri figli erediteranno il mondo che noi abbiamo creato. Le questioni da risolvere sono urgenti e il futuro dei nostri figli sarà la conseguenza delle nostre decisioni, del nostro coraggio e delle nostre capacità.
(Traduzione a cura del Gruppo Logos)
L'autore è presidente della Banca Mondiale