Manifesto 15 luglio 2001 Conflitti
a colpi di mouse
Internet è un campo di battaglia per gli attivisti telematici contro la globalizzazione
neoliberista. Ma un conto è la contestazione digitale, altra cosa è la cyberwar, usata
solo da servizi segreti ed eserciti ARTURO DI
CORINTO
Il defacciamento dei siti (defacements) di Rainews24 e delle
Assicurazioni Generali, i presunti messaggi virali recapitati ai dipendenti del comune di
Genova e le intrusioni nei siti delle camere di commercio e di alcuni ministeri, hanno
fatto parlare dell'inizio di una cyberguerra da parte del cosiddetto "popolo di
Seattle". Ma la protesta informatica antiglobalizazione è cominciata già da un po'.
Facciamo solo due esempi.
Nel Novembre 1999 (r)TMark pubblica http://rtmark.com/gatt.html, un sito contente
informazioni sul meeting di Seattle del 30 Novembre. Il sito, formalmente identico a
quello ufficiale dell'Organizzazione per il commercio mondiale, a dispetto alle
aspettative dei visitatori mette in discussione gli assunti del libero mercato e della
globalizzazione economica.
Nel Febbraio 2001, invece, in occasione del Terzo Global Forum, quello sul governo
elettronico tenutosi a Napoli in Marzo, alcuni attivisti napoletani clonano il sito della
manifestazione ufficiale, ne modificano i contenuti e lo riversano su un loro dominio
ocse.org che, successivamente censurato, viene trasferito su www.noglobal.org/ocse.
Anche in questo caso il sito plagiato dagli antiglobalizzatori conteneva una critica
radicale al Forum che, secondo loro, era volto "a definire nuove modalità di
sfruttamento e controllo sociale attraverso l'informatizzazione degli stati" anziché
a promuoverne lo sviluppo democratico. In quell'occasione i contestatori digitali fecero
anche un netstrike (corteo telematico) al sito di "FinecoOnLine" (www.netstrike.it),
e lo usarono come occasione per dibattere la portata degli scambi finanziari on line e
delle bolle speculative del mercato borsistico telematico.
Queste pratiche di attivismo digitale, o hacktivism, non hanno niente a che vedere
con le cyberguerre e non solo perché a differenze della guerre non mirano a distruggere e
conquistare, ma perché la "guerriglia comunicativa" degli hacktivisti mira ad
occupare solo temporaneamente degli spazi. Spazi di comunicazione per parlare ad una
platea più vasta di quella degli altri cyberattivisti.
L'antagonismo in rete rappresenta l'altra faccia della globalizzazione economica. Così
come si intensificano gli scambi commerciali e l'economia diviene "virtuale",
mentre la legislazione rincorre, senza afferrarli, i cambiamenti sociali introdotti dalla
comunicazione globale, così i movimenti esprimono bisogni universali globalizzando la
rivendicazione dei diritti attraverso mezzi di comunicazione indifferenti alle frontiere
degli stati. L'hacktivism è quindi cosa diversa dalle cyberguerre e dal cosidetto
"terrorismo informatico". L'hacktivism è, in altre parole, l'uso di hacking
skills (capacità da hacker) per supportare l'azione diretta dei movimenti politici di
base (www.thehacktivist.com). E' bene chiarire, comunque, che c'è differenza tra
l'infowar (guerra dell'informazione) e le netwars (guerre su internet) e fra
queste e la cyberwar (guerra cibernetica). Vediamo perchè.
L'infowar è una guerra di parole, una guerra combattuta a colpi di propaganda.
L'infowar si ha quando gli attivisti politici oltre che ad usare strumenti tradizionali di
comunicazione (volantini, affissioni, annunci sui giornali), si armano di computers e
cominciano ad usare la rete come mezzo per comunicare le proprie ragioni ad una audience
globale, sfruttando le peculiarità di un mezzo potenzialmente accessibile a tutti da ogni
dove, indipendentemente dalla collocazione spaziale e temporale degli attivisti e del
pubblico. (Internet è certamente accessibile da ogni dove, ma non va tuttavia ignorata le
denunce sul digital divide che rende di fatto limitato il diritto d'accesso alla
rete).
Solo successivamente la rete viene usata come mezzo per realizzare azioni di protesta e di
disobbedienza civile. E' in questo passaggio che i computer e la rete Internet diventano
strumento e teatro della contestazione, lo spazio dove la protesta, il rifiuto, la
critica, espresse collettivamente, prendono forma e dalle parole si passa ai fatti. E'
questa la netwar. Le infowar e le netwars sono pratiche di conflitto
tipiche dell'hacktivism, le cyberguerre no. La cyberwar infatti si riferisce
alla guerra cibernetica, cioè a una guerra che usa computer e reti di comunicazione come
fossero armi convenzionali appannaggio solo degli stati e degli eserciti. La cyberwar
punta a smantellare i sistemi di comando, controllo e comunicazione delle truppe
avversarie in una maniera intenzionale e pianificata mettendo in campo ingenti risorse
computazionali centralizzate. Quindi è per antonomosia guerra di eserciti e servizi
segreti. Anche se questo non significa che gli attivisti politici non possano farvi
ricorso in casi particolari.
Le tecniche usate nei conflitti telematici sono spesso ibride e molteplici. Così come la
protesta cibernetica si esprime in molti modi - le tecniche di interferenza e boicottaggio
adottate nei vari contesti possono essere assai diverse fra di loro, ma spesso si
distinguono per intensità motivazioni e numero di partecipanti alle azioni - la stessa cyberwar
può fare uso di tecniche di propaganda ben codificate e di apposite "leggi di
guerra".
Le tecniche di infowar sono un miscuglio di campagne di informazione e di strategie
comunicative derivate dall'arte di avanguardia che mirano a mettere in cortocircuito
l'informazione istituzionale cannibalizzando l'attitudine al sensazionalismo tipico dei
media mainstream - tv, radio e giornali - e prendendosi gioco delle veline
d'agenzia e del modo di costruire la notizia.
Le campagne d'informazione su Internet non sono altro che l'estensione digitale di forme
di comunicazione tipiche dei movimenti politici di base dove l'e-mail sostituisce
il volantino, la petizione elettronica sotituisce il banchetto di firme all'angolo della
strada, il sito web i manifesti murali e i cartelloni. Il panico mediatico fa invece
ricorso a notizie false per creare diffidenza e allarme. E' il caso dei finti virus o
della soffiata relativa ad una improbabile intrusione dentro sistemi informatici protetti.
Le netwars, invece somigliano assai di più alle forme di azione diretta e puntano
a creare disturbo e interferenza nelle attività di comunicazione dell'avversario. Sia
esso una lobby politica o una azienda multinazionale, un governo locale o sovranazionale.
In ogni caso si tratta di iniziative collettive e pubbliche di comunicazione radicale.
Il fax-strike, il netstrike, il mass-mailing, sono le forme in cui in
Italia, si è sovente articolata la protesta collettiva degli attivisti digitali. Seppure
diversi, i defacements stessi - la sostituzione di una pagina web con un'altra o
con un messaggio irridente e critico - somigliano da vicino alla copertura di un
cartellone pubblicitario o alle scritte sui muri. E anche in questo caso l'obiettivo è
quello di appropriarsi di uno spazio per esprimere le proprie opinioni, anche quelle più
estreme (www.2600.org).
Le cyberguerre sono diverse. Tanto per cominciare non mirano a delegittimare oppure a
contrastare l'avversario attraverso la propaganda, piuttosto mirano a interrompere e
sabotarne i flussi informativi, danneggiando le sue infrastrutture di comunicazione. E' il
caso del D-Dos (distributed denial of service o blocco dei servizi), del synflood
(interferenza nei protocolli di comunicazione), del mailbombing, dei virus
informatici distruttivi, del furto e della diffusione di dati di alto valore strategico.
Assaggi di queste cyberguerre si sono avute all'epoca della crisi fra Usa e Cina a causa
della bomba recapitata "per sbaglio" all'ambasciata cinese di belgrado durante
la guerra del kosovo. In quel caso i computer del Pentagono e della Nasa furono
bersagliati da milioni di lettere elettroniche con virus. Oppure nel caso del conflitto
telematico che nell'inverno scorso hanno combattuto israeliani e filo-palestinesi.
Nell'ottobre scorso sono stati proprio i giornali di Tel Aviv a riportare la notizia di un
D-Dos che aveva messo fuori uso il sito ufficiale di Hezbullah, mentre attivisti
arabi avevano deturpato i siti dell'università ebraica di Gerusalemme e dell'accademia di
Netanya ed erano penetrati nel sito della difesa israeliano. Da qui il botta e risposta
informatico che ha visto l'impiego di "cyberkatiuscia", cioè l'uso massiccio
del mailbombing con virus distruttivi, entrambi diretti a mettere fuori uso i nodi di
comunicazione avversari. No, la protesta digitale non è la cyberguerra.
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