La Stampa
Giovedì 19 Luglio 2001
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Mugugna la città ridotta a carcere
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Blocchi, grate, controlli anche nelle case
a caccia di irregolari
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inviato a GENOVA
CÈ «macaia», come dicono qua, come cantava Conte: afa, cielo grigio, umore
plumbeo. La zona rossa è ormai un quartiere espulso dalla città e il suo clima è una
«scimmia di luce e di follia». Esci di casa e trovi un carabiniere che ti chiede un
documento (Giovanbattista, 42 anni, impiegato). Giri langolo per andare dal lattaio,
e scopri che la strada è stata bloccata da una grata di ferro (signora Manuela,
pensionata). Percorri dieci metri e un altro carabiniere ti chiede i documenti (ancora
Giovanbattista, 42 anni). Vuoi prendere lauto che hai lasciato parcheggiata sullaltro
lato della strada ma adesso cè un muro e ti tocca camminare per almeno due
chilometri (Andrea, 63 anni). Torni indietro, e un poliziotto ti chiede un documento
(Giovanbattista, sempre lui). Bevi un caffè, esci dal bar, ti allacci una scarpa e un
finanziere ti chiede un documento (Elena e le sue due figlie). Stai per rientrare a casa e
un poliziotto ti blocca perché il documento che la Questura ti ha rilasciato era
sbagliato: «Mi spiace ma la devo accompagnare fuori dalla zona rossa» (Vittorio,
ricercatore Cnr, 53 anni). Sacramenti e un carabiniere ti chiede un documento (ancora
Vittorio, il ricercatore). Hai convinto il poliziotto e il carabiniere che abiti davvero
in zona rossa, stai finalmente per ritornare a casa e un finanziere ti chiede un
documento: «Mi spiace, la devo riaccompagnare fuori» (sempre Vittorio, il
ricercatore)...
Sembra un gioco invece è Genova, chiusa in gabbia da ieri mattina. Perché ora che le
grate sono tutte issate, che i check point funzionano, che i presidi sono attivi, il volto
arcigno della zona rossa si mostra in tutta la sua desolata tristezza: strade vuote,
negozi chiusi, insegne spente, polizia e blindati ovunque. E giornalisti in grandi
quantità, spersi e innervositi pure loro. Il fortino assediato, ma per ora solo da sè
stesso, è pronto ad accogliere il G8 come una bella confezione regalo senza dentro il
regalo: perché i genovesi che non sono fuggiti al mare, danno gli ultimi colpi di
martello ai pannelli di legno che blindano i negozi e si chiudono in casa. Del resto
nessuno riuscirebbe a vivere in una città dove si verifica un controllo ogni dieci metri,
per strada sincontrano quasi solo uomini in divisa e dove ogni tanto devi fuggire o
cambiare percorso perché cè un nuovo allarme bomba (una quindicina soltanto ieri).
La zona rossa è come unimmensa prigione dalla quale è facile uscire ma quasi
impossibile entrare e dove si circola con fatica, con timore. Il traffico delle 6.500 auto
che lanimavano è scomparso, nemmeno un motorino, neanche un monopattino. Un
silenzio surreale, un grande vuoto, ovunque. La gente non parla più, sussurra. E quando
dice qualcosa è con rassegnazione, più volte con rabbia. «Ma come si fa, come si fa a
stare così?», piange la signora Matilde Bianchi, 32 anni, un figlio in passeggino che
tossisce continuamente, mentre i carabinieri del check point di varco San Giorgio
controllano, chiamano la Questura, le fanno firmare dei fogli: «Io abito cento metri più
in là, zona gialla, tra i vicoli. Il bambino ha questa tosse strana e devo portarlo dal
pediatra che abita in zona rossa. Ho unora di tempo e sono qui da mezzora».
Il marito, rimasto dallaltra parte della grata la guarda come un detenuto dietro le
sbarre: lui non può passare. Ed è così lungo tutti i confini della zona rossa, dove al
mattino si formano code di persone che dopo un po tornano indietro, rinunciano, si
rassegnano. E per chi abita nella cittadella blindata è anche peggio: ieri mattina alle
7, la polizia ha svolto controlli in tantissime abitazioni, porta a porta per controllare
i documenti anche in casa: «Un lavoro infame, anche per noi», racconta un agente.
Perché in molti casi i poliziotti hanno trovato ospiti e amici sprovvisti di passi che
sono stati costretti ad abbandonare le abitazioni dove avevano dormito, dimenticandosi che
da ieri mattina si sarebbero svegliati fuorilegge, magari nel letto dellamante.
Si vive solo lontano dalle barriere, nei quartieri che stanno verso le colline, oppure
agli estremi di levante e di ponente. Si vive soprattutto dove i giovani del Genova Social
Forum stanno preparando la contestazione, alla scuola Diaz, nel quartiere Albaro, dove
commercianti e ristoratori hanno capito che sfamare le moltitudini di giovani, può
rivelarsi un affare. Oppure a piazza Kennedy, davanti al mare, dove si tengono le
assemblee e si svolgono i concerti. Qui il clima è festoso, attivo. E si sentono le cose
più incredibili. Come la decisione presa ieri dal «pink group», tra le realtà dei
manifestanti, forse i più alternativi: anche loro daranno lassalto alla Città
Proibita, e lo faranno, hanno detto, lanciando pizze e spaghetti cotti. E nei fucili dei
carabinieri, guarda un po che déjà vu, infileranno dei fiori...
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