La Repubblica 16 luglio 2001 MUTANDE
GLOBALI
di MICHELE SERRA
I PANNI stesi ai davanzali sono molto "local", ma anche molto global. Fanno
parte dell'iconografia mediterranea mondializzata dal turismo, e mica dall'altro ieri: non
ci fu Grand Tour, potete scommetterci, che non impresse nella retina del viaggiatore
colto, tra tante vestigia, anche quello sbandierare di vesti.
Ci sono a Napoli, Bari, Palermo, ci sono a Cipro, a Marsiglia, ci sono nelle commedie di
Govi. Ci sono, insomma, ovunque sole e vento passino tra le case strette con sufficiente
vigore. E perfino in quei carrugi "dove il sole del buon Dio non dà i suoi
raggi" (de André "La città vecchia").
Vogliamo sperare, dunque, che la comica intimazione data ai genovesi dal loro sindaco -
niente bucato appeso, gente, durante il G8 - abbia come causa, o perlomeno come concausa,
lo sfinimento patito dal medesimo sindaco per avere avuto in groppa, ormai da settimane,
il Presidente ridens, che gli diceva che cosa mettere e togliere, che cosa spostare e
modificare, per suggerire infine che tutta quella biancheria appesa non era dignitosa.
Così non fosse, se cioè il sindaco Pericu avesse agito, come si dice, per un suo intimo
convincimento, bisognerebbe pensare che davvero tra destra e sinistra non c'è più
differenza alcuna, e anzi c'è la più sintonica delle concertazioni: se la destra mal
sopporta le mutande, la sinistra se le toglie.
Quando poi capita di leggere quanti e quali stock di balocchi e profumi sono stivati nella
cafonave degli ospiti illustri, attesi nelle loro cabine da una chincaglieria firmata che
farebbe la gioia di una baldracca d'altobordo, davvero viene da chiedersi come possa il
potere essere così tonto da giostrare coi simboli in modo così puerile e maldestro: un
velario sulle abitudini del popolo, fasci di riflettori sui ghingheri dei capi e delle
capesse, con la stessa sventata serenità di un qualunque ancién regime che travestiva e
imbavagliava le città ad ogni visita ufficiale.
Smutandare Genova è un po' come mettere i mutandoni vittoriani ai pianoforti, un gesto di
pruderie tanto inutile quanto ipocrita, un piccolo grande sgarbo al carattere di una
città già seriamente disturbata dall'invasione di scorte e scortati, di contestatori e
contestati. Come se i capi di Stato estero, poi, fossero così maleducati e ignoranti da
offendersi per un colpo d'occhio che la loro cultura ha già archiviato, da secoli, nel
pittoresco italiano.
Il massimo sarebbe se il sindaco Pericu, che come tutti gli esseri umani può sbagliare ma
può anche capire di essersi sbagliato, defalcasse almeno il bucato dal suo pacchetto di
salvezza Cittadina, Nazionale e Mondiale.
Anzi no, il massimo sarebbe che molti genovesi, in segno di festa e di disobbedienza
civile, inghirlandassero ogni balcone e davanzale di ogni genere di lingerie e lenzuola,
tovaglie e strofinacci, per un saluto al sole, e agli ospiti, massimamente ecologico e
«glocal».
Anzi no, il massimo sarebbe che uno dei Grandi, dimostrando infine che non si è Grandi
per caso, appendesse un copioso bucato fuori dal suo oblò, riscattando la povera cafonave
dalle sue lussuose miserie, e impavesandola di democratiche mutande. Ove si vedrebbe che,
per quanto sperequato sia il mondo, disponiamo pur sempre tutti di due chiappe a testa,
dal camallo al presidente.
michele serra |