Manifesto 18 luglio 2001 Le
mutande di Berlusconi
ALESSANDRO DAL LAGO
Nel cuore di Genova, proprio davanti a Palazzo Ducale, ripulito e
imbandierato per l'evento globale, c'è un brutto palazzo anni '50. Dopo che il Cavaliere
ha espresso sull'edificio le sue rimostranze estetiche (in seguito estese alle mutande al
sole), i solerti amministratori hanno provveduto a ricoprire la facciata con due enormi
pannelli che riproducono, in toni grigi, la facciata di Palazzo Ducale. Un penoso gioco di
specchi che imbruttisce ulteriormente il palazzo e non riesce a celare la realtà: infatti
l'orrido stabile travestito ospita un commissariato di polizia, centro del controllo
armato della città.
Il pannello sintetizza l'intero significato del G8. Vasi di fiori, palme (avvizzite),
fontane rifatte, palazzi rinfrescati sono il belletto su una faccia feroce, quella di una
militarizzazione che non ha precedenti nella storia di questo paese e soprattutto di
Genova, che pure ha conosciuto lo stadio d'assedio nel luglio '60. Persino l'olimpico
sindaco Peicu ha protestato. Ma si dovrebbe vedere le facce dei cittadini più anziani di
fronte a grate e sbarramenti che ieri notte sono stati inesorabilmente sigillati. E questo
è ben poco rispetto a quanto succede nei vicoli, soprattutto nella zona di Pré, dove
ogni trenta metri sostano pattuglioni che hanno l'evidente funzione di tenere gli anziani
in casa, gli immigrati nascosti e i dissenzienti fuori dalle scatole. Questa mobilitazione
dello stato, inaudita e spropositata, lascerà un'amarezza indelebile non solo qui ma in
chiunque l'abbia seguita, senza pregiudizi o illusioni, sui media. In questo senso, il G8
è già fallito, perché, oltre alle pesanti scocciature che sta infliggendo agli abitanti
di Genova, comunica un'immagine di tracotanza insostenibile. Prima ancora di essere
contestato, il vertice non interessa più a nessuno, perché al posto dei capi di stato
parlano le migliaia di armati, i blindati le grate di ferro, gli oscuramenti di cellulari,
le misteriose interruzioni delle linee telefoniche.
E soprattutto migliaia di altri parleranno nei tre giorni di manifestazioni. Tra questi,
lo diciamo una volta di più, gli stranieri avranno una voce particolare. Quello che i
cittadini di Genova stanno sperimentando in questi giorni, gli stranieri che stanno tra
noi lo vivono da sempre: i controlli di strada, l'angoscia del permesso, la difficoltà di
spostarsi, gli intralci burocratici che avvelenano la soddisfazione dei bisogni più
elementari e, soprattutto, la presenza di un potere lontano che fa perennemente di loro
dei sospetti. Una condizione che si è drammaticamente aggravata da quando la destra è al
governo. Per un Berlusconi che si interessa di mutande e un Ruggero che fa finta di
dialogare con il popolo di Seattle, ci sono le facce feroci di Fini e dei leghisti che
preparano i decreti repressivi sull'immigrazione. E soprattutto, sullo sfondo di questo
disegno politico, ci sono le intimidazioni contro gli stranieri, e sono tanti, che
vorranno essere in piazza il 19 luglio.
Per loro, più che ancora che per gli italiani e gli europei che stanno affluendo in
città, manifestare sarà un compito duro. Se, come sembra di capire, le autorità non
concederanno corridoi attraverso la zona rossa, gli stranieri concentrati nel ponente
cittadino dovranno affrontare distanze di diversi chilometri. E soprattutto il sospetto,
se non l'ostilità, di migliaia di difensori dello stato che saranno scaglionati sul
percorso della manifestazione. Per quanto la polizia abbia dato assicurazioni, è
necessario vigilare perché gli immigrati sia garantito il diritto costituzionale di
manifestare per la libertà di circolazione, la regolarizzazione e il godimento dei
diritti civili.
Il 19 luglio sintetizza la contrapposizione di una globalizzazione dal basso a quella
della finanza e delle multinazionali. Ogni immigrato che, schivando gli ostacoli e
ignorando la pesantezza che incombe su questi giorni, sarà presente alla manifestazione
porterà un'istanza pacifica di libertà individuale e collettiva. Forse quei cittadini
che oggi protestano contro grate, controlli e impedimenti potranno meditare
sull'indifferenza, se non sul fastidio, che spesso gli italiani provano per gli stranieri.
Ormai è chiaro che la lotta degli immigrati per i diritti civili è la lotta di chiunque
per i propri diritti.
Se, come siamo sicuri, il 19 luglio una folla imponente e festosa di italiani, immigrati e
manifestanti di tutto il mondo si raccoglierà nell'antica Piazza Sarzano, vorrà dire che
un passo ulteriore nell'emancipazione del lavoro dei migranti è stato compiuto. Dopo il
22 luglio, delle vuote decisioni dei grandi della terra ben pochi si ricorderanno. Ma di
quelle facce di stranieri che non tacciono resterà il ricordo per molto tempo.
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