La Regione Ticino 18 luglio 2001
Il Muro di Genova
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di Lelio Demichelis |
E' tesissima la vigilia del G8 di Genova, un gioco politico sottile e rischioso si sta
giocando come tra gatto e topo. Genova, dunque. Da una parte centomila persone che
vorrebbero manifestare (pacificamente ma in modo visibile, dice il Genoa Social Forum,
promotore e coordinatore non solo di proteste ma soprattutto di proposte politiche ed
economiche alternative a quelle del G8): chiedono a gran voce una globalizzazione dal
volto umano; dall'altra, Otto Grandi forti e paurosi allo stesso tempo, che sembrano
volersi blindare nel loro potere autocratico: il loro è però un potere surreale e
irreale allo stesso tempo, perché il vero potere oggi è solo quello della tecnica e
dell'economia - eppure non vogliono rinunciare alla rappresentazione scenica del loro
potere. Due mondi lontani, ancora senza dialogo. Una città blindata. Alto il rischio di
violenze e terrorismo. Ma a Genova accade qualcosa che tocca il cuore delle nostre
democrazie, delle nostre società liberali, che le mette a confronto con il loro lato
oscuro e opaco (sì, anche le democrazie ne hanno uno). Qualcosa che dovrebbe
preoccuparci, indipendentemente dalla parte che difendiamo. Qualcosa che (volutamente) gli
Otto Grandi sembrano voler esibire come sfida simbolica, esasperando la percezione
immaginaria della propria forza. Un potere che avesse invece accettato il
confronto/dialogo con il dissenso, questo sì sarebbe stato un potere forte e saggio. A
Genova accade oggi, ma è già successo. Somiglia a un muro, anche se fatto di rete
metallica alta cinque metri, a maglie fittissime. E' la rete - il Muro - che divide la
zona rossa di Genova dal resto della città. Ha detto una donna, osservando la rete appena
alzata: "E' come se avessi capito d'improvviso cosa provarono gli ebrei dei ghetti
quando, una mattina, videro i nazisti che li chiudevano nei loro quartieri".
Esagerato? Forse. Ma un muro è sempre un muro: divide, esclude, limita. E' ambiguo,
imbarazzante, intrinsecamente violento. Anche se elevato a tutela dell'ordine pubblico. E'
però confuso oggi il confine tra difesa dell'ordine pubblico da un lato (esigenza
ineludibile di ogni Stato) e la tutela del diritto a manifestare pacificamente il proprio
pensiero dall'altro (diritto incomprimibile di ognuno) - e a difesa di questo diritto,
isolando i violenti si era impegnato il Genoa Social Forum, organismo ampio e variegato
(dalla Chiesa ad Attac, da molte Organizzazioni non governative ai contadini del terzo
mondo). Il confine è incerto, vero: ma la democrazia, la vera democrazia deve essere
sempre aperta e trasparente. Anzi, proprio accettare il dissenso (quando non tracima in
violenza), è la forza della democrazia - e della libertà. Anche a costo di qualche
rischio. Se invece una democrazia si chiude (troppo) in se stessa, estendendo oltre misura
(oltre i limiti fisiologici) la frontiera dell'ordine pubblico, nega la sua stessa ragione
d'essere. I terroristi non si fermano davanti a un Muro e la bomba carta di lunedì scorso
è arrivata per posta ai carabinieri, superando ogni controllo. Una vera democrazia è
allora solo quella che sa convivere col rischio del dissenso. Qualcosa di simile accadde a
Socrate, messo a morte da una Atene incapace di accettare il suo pensare non conformista -
quindi considerato sovversivo. Il conflitto infatti (regolato, non negato o represso) è
dunque connaturato alla democrazia liberale. Necessario.L'Occidente ha esecrato il Muro di
Berlino. Oggi è l'Occidente liberale che alza a Genova un nuovo Muro. Provvisorio, a
difesa temporanea dell'ordine pubblico, certo. Ma tutti dovremmo preoccuparci di un potere
che sembra chiudersi in se stesso. Sì: una società aperta è meglio di una società
chiusa. Meglio il dissenso e un po' di dis-ordine che troppo ordine. Ciò che accade a
Genova riguarda allora la nuova natura e la nuova forma che la nostra libertà e la
democrazia stanno assumendo in tempi di globalizzazione. Meglio rifletterci su. |
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