Corriere della sera 18 luglio 2001 La sinistra in corteo tra i dimostranti LOPPOSIZIONE IN TUTA BIANCA di SERGIO ROMANO Massimo DAlema assicura che i Ds saranno a Genova per la manifestazione di sabato. Cesare Salvi parteciperà personalmente. Grazia Francescato sarà in piazza con le tute bianche per recitare in una «rappresentazione scenico-ludica» contro la globalizzazione. Pensoso e incerto, Pietro Folena, coordinatore dei Ds, non ha ancora deciso se assicurare o meno la sua presenza. Marco Minniti e Livia Turco hanno firmato con Achille Occhetto il documento dei «cattolici no global». Tralasciamo Grazia Francescato, leader di uno dei più piccoli partiti ambientalisti europei, e parliamo piuttosto di DAlema, Salvi, Minniti, Turco, Occhetto. La spiegazione, in termini crudamente politici, è semplice. I Ds sconfitti sono alla ricerca di un leader e di un programma. Come sempre, quando la sinistra deve fare i conti con i propri insuccessi, la scelta è fra gli eredi del riformismo di Bernstein, Turati, Saragat, Brandt, e quelli del massimalismo social-comunista da Serrati a Lafontaine. I primi vogliono conquistare lelettorato progressista di centro, i secondi vogliono riconquistare le frange più radicali e intransigenti della famiglia comune. Il G8 irrompe improvvisamente nelle loro discussioni, apre un nuovo campo da gioco e allarga lagenda del dibattito. Non basta essere astrattamente riformisti o massimalisti. Occorre decidere se il G8 è buono o cattivo, se la globalizzazione è una promessa o una minaccia. DAlema dimentica di avere detto, dopo le elezioni: «Noi ci siamo battuti per esserci a quel vertice e il fatto di avere perso le elezioni non può certo collocarci fra i contestatori». Salvi scende in piazza perché non vuole lasciare a Bertinotti la rappresentanza della «sinistra alternativa». Minniti, Turco e Occhetto non si spingono a tal punto, ma scelgono la strada «politicamente corretta» del dissenso cattolico e manifestano simbolicamente allombra del Santo Padre. Persino la Tobin Tax (la tassa sulle transazioni finanziarie), per molto tempo considerata dalla sinistra impraticabile, è diventata ora giusta e desiderabile. Questa è «politica», soprattutto in Italia dove i partiti impiegano più tempo a regolare i propri conti che a governare il Paese. Vale la pena di provare sorpresa e sconcerto? Credo di sì. DAlema è stato presidente del Consiglio quando lItalia mise il proprio territorio a disposizione della Nato e dellalleato americano per la guerra del Kosovo. Minniti è stato allora il suo principale collaboratore. Salvi è stato presidente del suo gruppo al Senato e ministro del Lavoro nella fase conclusiva della legislatura. Occhetto è stato presidente della Commissione affari esteri della Camera. Turco è stata ministro della Solidarietà sociale con Prodi, DAlema, Amato, vale a dire nei governi che hanno maggiormente lavorato per lingresso dellItalia nellUnione monetaria, partecipato a una decina di G8 e assecondato gli sforzi del Wto (Organizzazione del commercio mondiale) per la creazione di una grande economia integrata. DAlema, Salvi, Minniti e Turco erano in Consiglio dei ministri quando il governo accolse il suggerimento di un collega diessino, Claudio Burlando, e offrì ai propri partner una «città di sinistra», Genova, per il G8 del 2001. Dobbiamo presumere che quella scelta sia stata fatta con piena partecipazione e una punta di legittimo orgoglio. Se il centrodestra non avesse vinto le elezioni, Salvi e Turco sarebbero probabilmente a Palazzo Ducale, impegnati a convincere i contestatori che la globalizzazione può essere governata e che la loro impazienza non giova alle sorti della sinistra. La conversione degli ex ministri alla protesta sarebbe comprensibile soltanto se il governo Berlusconi, nel frattempo, avesse rovesciato la politica estera italiana e deciso di andare al G8 con una linea conservatrice. Ma questo, per ora, non è accaduto. Il G8 a Genova è stato una scelta nazionale e tale dovrebbe restare. Capisco il dramma di un partito alla ricerca di un leader. Mi è difficile capire perché alcuni dei suoi maggiori esponenti mettano a rischio, in un momento difficile, il suo maggiore capitale: la credibilità. |