Corriere della sera 17 luglio 2001
Pacco bomba a Genova, grave un carabiniere

Esplosione in caserma. Il militare: ho visto una fiammata. Trovato un altro ordigno vicino alla cittadella anti G8

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
GENOVA - Il Vertice comincia in anticipo con una bomba, un ragazzo di 21 anni che urla di dolore e Donatella che piange: «Ho sentito una esplosione al piano di sopra, e poi una cascata di vetri nel cortile. E poi ho visto il fumo nero che usciva dalla finestra, carabinieri e poliziotti che correvano e urlavano, con le pistole in mano. Sembravano tutti impazziti».
Sono le 10.30, mattina di sole e tanta tensione, quartiere San Fruttuoso. Inizia una giornata da cani, per Genova, per il G8, per tutti. L’impiegata Donatella si copre la testa con le mani e si accuccia sulla sua scrivania. I primi a entrare nell’ufficio posta della stazione dei carabinieri di San Fruttuoso guardano per terra e vedono l’ausiliario Stefano Storri, che cerca di muovere le mani ma non ci riesce, piange, sputa sangue e saliva. È accartocciato per terra, sbalzato dalla sua sedia da un plico-bomba che gli è esploso tra le mani. Non poteva sapere, non può sapere che il pacco che mezz’ora prima gli ha recapitato la postina è una trappola. Una busta con dentro soltanto un portafoglio da donna. L’ausiliario Storri lo apre e innesca un «dispositivo lamellare», dicono gli esperti. Un congegno a molla - «Come quelli dei biglietti d’auguri» - che libera pochi grammi di gelignite. L’esplosione strappa la camicia di dosso a Storri. Dirà un artificiere: «Quel ragazzo è fortunato ad essere ancora vivo». Da fuori si vedono i vetri spaccati di due finestre, gli infissi in legno crepati nel mezzo.
Dentro, l’intonaco è andato in pezzi, la scrivania sulla quale è stata aperta la busta sembra implosa su se stessa.
Dal fondo della via arriva il frastuono delle sirene, le pantere inchiodano e si fermano in mezzo a via Manuzio, nervi scoperti per tutti. «Sono cominciati i fuochi artificiali», sacramenta un ufficiale e si infila nelle scale che portano a questa piccola stazione di quartiere, tre stanze, dieci carabinieri. Nessuno sa perché la bomba è arrivata proprio qui. Tutti sono sicuri, non è un caso.
Questa è Genova, tra due giorni c’è il G8. La postina viene portata subito al comando provinciale. Piange, si dispera. Ma non si ricorda dove ha preso quella busta. Quel pezzo di carta è l’unico elemento reale in mano agli investigatori (il portafoglio si è come polverizzato). È arrivato come posta prioritaria da una città del Sud.
Gli investigatori si guardano tra loro. Ci sono tante, troppe analogie con l’attentato alla caserma milanese di Musocco del 1999. Qui, come allora, la pista porta agli anarchici insurrezionalisti. «Ma di queste trappole ce ne sono altre in giro», dicono gli investigatori. Nelle caserme della città viene subito diffuso un documento: «Possibile aspetto plichi contenenti esplosivi è il seguente. Aspetto esteriore: busta imbottita per recapito piccoli oggetti delicati. Dimensioni: centimetri 20x25 circa. Colore: marroncino, varie sfumature. Forma: similare a videocassetta. Si ribadisce ancora una volta l’importanza di porre in essere ogni forma di autotutela, in considerazione che analoghe buste sono già state impiegate per azioni terroristiche».
All’inizio di maggio una circolare interna dei carabinieri aveva segnalato il pericolo, mettendo i pacchi-bomba tra le ipotesi più probabili in caso «di eventuali atti terroristici diretti a esponenti delle forze dell’ordine». Era una delle ipotesi, ma era nel conto.
Il conto lo paga un ragazzo di 21 anni. Stefano Storri, un metro e 70 cm, toscano di Cortona. Ha ferite al basso ventre, alla gola, mano destra e naso quasi spappolati, rischia di perdere l’occhio destro. Doveva congedarsi tra sei giorni, gli mancava un mese effettivo, ma dopo il G8 avrebbe «recuperato» le vacanze. Alle 14.20 entra nella sala operatoria dell’ospedale San Martino per un intervento alla cornea.
Ne esce tre ore dopo. Trova la forza per sentire i tg e sorridere al cappellano del San Martino: «Mi sa che sono il caso del giorno, eh?». Al magistrato che ha cercato di avere qualche appiglio a cui aggrapparsi ha detto di ricordare solo il colore rosso: «Ho visto la fiammata, e mi è sembrato di sentire il botto, poi più niente». È in stato di choc, i carabinieri si portano via papà e mamma, minuti, spaventati.
Fuori dall’ospedale, la città è come impazzita. A carabinieri e polizia arrivano decine di segnalazioni di borse, pacchi, sacchetti sospetti.
Gli artificieri sono palline da flipper impazzite che corrono da Ponente a Levante. Quattordici interventi. Il primo è il più sospetto, perché arriva nella caserma più vicina a quella di San Fruttuoso, un’ora prima dell’esplosione. «Quasi un diversivo», dicono gli investigatori. Alle 11.30 c’è una specie di operazione di guerra intorno a un Ford Transit, che viene fatto «brillare». Dopo si saprà che appartiene a una coppia francese.
L’allarme scatta a ripetizione. Quando - ore 19 - arriva l’ultima telefonata in questura, ormai non ci crede più nessuno. Invece è quello buono. Sulla strada che porta allo stadio Carlini, una delle cittadelle degli anti-G8, c’è una valigetta infilata sotto a un furgone. Si intravedono timer e fili sospetti.
Arriva la polizia. È un «dispositivo incendiario», un ordigno rudimentale collegato a una tanica di benzina, programmato per accendersi alle 20.30. Viene disinnescato dopo l’evacuazione della strada. È finita, per oggi. Ma a Genova i giorni della paura e della tensione sono appena cominciati.
Marco Imarisio