Manifesto 17 luglio

ANALISI
I padroni del mondo al contrattacco
SUSAN GEORGE

Pubblichiamo alcuni estratti dell'articolo della vice-presidente di Attac-Francia che uscirà sul numero di agosto dell'edizione francese diLe Monde diplomatique
Una questione lancinante angustia le multinazionali, le autorità nazionali e le istituzioni europee e internazionali prese di mira da coloro che i media definiscono movimenti "anti-globalizzazione": come screditare, indebolire, manipolare e, se possibile, annientare quel movimento internazionale che, da Seattle a Quebec City, da Praga a Genova, continua a disturbare ogni incontro tra i signori del mondo e ad impedire loro di decidere in tranquillità sui destini del genere umano? La situazione è tanto grave che, nel giugno scorso, si è deciso puramente e semplicemente di annullare un importante incontro della Banca mondiale previsto a Barcellona.
Nell'arsenale delle tecniche di contro-attacco, le risposte poliziesche e la repressione diretta sono le armi più utilizzate. Nell'aprile scorso, la primavera in Quebec profumava più dell'odore dei gas lacrimogeni che di quello dei fiori: le stime ufficiali parlano di 4709 cartucce lanciate in aria dalle forze dell'ordine contro i manifestanti anti-Acla (Area di libero scambio delle Americhe), una quantità definita "eccessiva" perfino da una commissione nominata dallo stesso governo del Quebec. A Göteborg, durante le azioni organizzate in occasione del vertice dei quindici capi di stato e di governo dell'Unione europea (Ue) a metà giugno, la polizia svedese non ha esitato a sparare veri proiettili sui manifestanti. Il 22 giugno, a Barcellona, dove si stavano tenendo varie manifestazioni per celebrare la pietosa defezione della Banca mondiale, alcuni ispettori in borghese infiltrati in coda al corteo hanno attaccato agenti in uniforme per provocare una reazione violenta della polizia nei confronti dei manifestanti pacifici.
Il contro-attacco ideologico è poi in pieno sviluppo. Come riconquistare credibilità dopo un fiasco come quello di Seattle? Prima tecnica: definire il proprio avversario "nemico dei poveri", metodo utilizzato a Londra dal quotidiano Financial Times e dal settimanale The Economist. Fin dal numero successivo agli eventi di Seattle, The Economist avanzava poi una seconda argomentazione. Di fronte al successo riportato dalle Organizzazioni non governative (Ong), lasciava intendere che esse "rappresentano un pericoloso slittamento di potere verso gruppi non eletti che non devono rendere conto a nessuno delle proprie azioni". Terza tattica: affermare fino alla nausea che i contestatori raccontano fesserie. Il Financial Times, con un tono vagamente minaccioso, ritiene che, se si vuol porre un freno a questi avversari della globalizzazione, "è ora di tracciare una linea gialla da non oltrepassare". Ma che fare se le "linee gialle" vengono allegramente oltrepassate e se i contestatori continuano a "raccontare le loro scempiaggini"? Già si stanno elaborando nuove tecniche.
Così, nel marzo 2000, il Cordell Hull Institute di Washington ha organizzato un seminario dal titolo "Dopo Seattle: ridare impulso all'Omc". Su una cinquantina di partecipanti - alti funzionari, ministri e ex ministri, consiglieri di grandi società, ambasciatori -soltanto due provenivano dal mondo delle Ong. Uno di loro, scandalizzato, ha descritto la riunione su Internet. L'ex ministro del commercio di Margaret Thatcher, Lord Parkinson, apriva le danze proclamando che queste riunioni non si dovevano più tenere sul suolo americano, dove è troppo facile organizzare le contestazioni. Il ministro degli esteri brasiliano proponeva di organizzare la prossima riunione "in mezzo al deserto" - come d'altronde accadrà nel novembre prossimo per la conferenza dell'Omc, che si terrà in Qatar - o su una "nave da crociera" (un'eventualità presa in considerazione per il G8 di Genova). Un alto funzionario, intenzionato a "delegittimare le Ong", ha proposto di convincere le fondazioni che le finanziano di tagliare i fondi e costringerle quindi a porre fine alle proprie attività.
E, quali che siano i reali motivi, le maggiori fondazioni americani sembrano aver recepito la richiesta. Secondo fonti sicure, alle organizzazioni che si oppongono alla globalizzazione liberale si stanno ormai tagliando i viveri. In ciò, si dirà, non c'è nulla di sconvolgente. Questa è anzi la prova, secondo alcuni, che gli avversari della globalizzazione liberale hanno notevole risonanza. Altrimenti i "padroni del mondo" non si occuperebbero di loro. Ciò non toglie, tuttavia, che non bisogna minimizzare l'importanza di questa battaglia per il capitale internazionale, che sta cercando di usare ogni mezzo a sua disposizione per consolidare il proprio dominio e proteggerlo da ogni scossa eventuale. Le elezioni di George W. Bush e di Silvio Berlusconi sono, a questo proposito, una vera manna. I movimenti di opposizione devono essere consapevoli che avanzano ormai su un terreno minato.