Manifesto 15 luglio 2001 DIVINO
Contro il pensiero unico
FILIPPO GENTILONI
Fino a qualche tempo fa il divino si accompagnava volentieri a
sostantivi come certezza, sicurezza: anche, soprattutto, unicità. Divino, cioè unico.
Oggi non più. Gli piaccia o meno, il divino deve abituarsi a coabitare con il pluralismo.
Quindi anche con il dubbio e l'incertezza.
Una svolta di notevole rilevanza, anche se non è sempre e del tutto compiuta. Non è
difficile individuarne le cause, più difficile indicare quali potrebbero essere le mete
di un cammino che è ancora a metà strada. Ancora più difficile valutare se si tratta di
un cammino positivo o negativo per le religioni e le società.
Fra i molti libri più recenti, segnalo un volume di grande interesse e con titolo
significativo: La religione nella società dell'incertezza, a cura di Roberto De
Vita e Fabio Berti (Franco Angeli). Si tratta degli atti di un convegno organizzato nel
settembre 2000 a Vallombrosa dall'università di Pisa, "Per una convivenza solidale
in una società multireligiosa".
Vale la pena di parlarne, proprio mentre la preparazione del G8 di Genova sta dimostrando
quanto sia forte il pluralismo nell'interno stesso del cattolicesimo italiano e mentre un
documento preparatorio è stato firmato insieme dai vertici vaticani e islamici. Sarebbe
stato inconcepibile qualche anno fa.
Ma il mondo cambia e con il mondo - immigrazione, mass media... - cambia la società con
la religione che ne è componente stretta e irrinunciabile. I tentativi - soprattutto
ottocenteschi - di spezzare il connubio società-religione appaiono, oggi, datati e
irrealizzabili. Ci piaccia o no. Il pluralismo è dunque il nuovo nome della laicità?
Nella premessa del volume: "Non si dovrebbe mai dimenticare che non solo la ricerca
ma anche la relazione con l'assoluto non esiste allo stato puro ma è sempre mediata
storicamente e culturalmente".
Per il divino si aprono capitoli nuovi, che saranno di grande interesse religioso e
culturale nel prossimo futuro. Soprattutto il capitolo del rapporto con la nuova
situazione - incertezza, pluralismo - e l'identità. Questa, che era stata sempre
declinata come assoluta, rischia, da una parte, l'indebolimento del relativismo e
dell'indifferenza, dall'altra l'irrigidimento dell'integralismo e della chiusura. Ne
vediamo già i primi accenni anche nel cristianesimo e soprattutto nell'islam. Riuscirà
la religione - il singolare sta per il plurale - a passare fra Scilla e Cariddi? E a quali
condizioni?
Una prima condizione è teorica: la convinzione che il divino, se è tale, è al di là di
ogni conoscenza. Non è un oggetto, per quanto supremo, da possedere; è piuttosto un
limite, una indicazione, una strada, una speranza. La religione - tutte le religioni -
deve recuperare il valore del negativo: il vero divino è negazione degli idoli che
continuamente ingombrano la strada.
La seconda condizione è politica. De Vita cita, correttamente, il grande teologo
Panikkar: "Pensare che un popolo, una cultura, una religione abbia diritto o il
dovere di dominare su tutto il resto del mondo resta il segno di una epoca ormai trascorsa
della storia. Il punto di incontro non può essere né la mia casa, né quella del mio
vicino: esso si trova all'incrocio delle strade, fuori delle mura, laddove potremmo
eventualmente decidere di piantare una tenda per il nostro presente". Non la casa,
dunque, ma la tenda.
E Morin: "Il futuro si chiama incertezza". Molta strada è stata compiuta dalle
"idee chiare e distinte" di Cartesio. E Martin Buber (citato da De Vita):
"Il termine Dio è la più compromessa di tutte le parole umane. Nessuna parola è
stata così imbrattata, così lacerata". Non dobbiamo dimenticarlo, mentre
continuiamo a riflettere sul divino in un tempo di incertezza.
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